26 maggio 2018

Recensione film: HOTEL GAGARIN , regia di Simone Spada

Con Claudio Amendola, Barbora Bulova, Luca Argentero, Giuseppe Battiston, Silvia D’Amico, Caterina Shulha, Tommaso Ragno, Italia 2018. Fotografia di Maurizio Calvesi, musiche di Maurizio Filardo, montaggio Clelio Benevento.



Dalla commedia alla fiaba

Nonostante in “Hotel Gagarin” ci siano molti attori da commedia italiana, il film non lo è. Ha un gusto poco italiano, forse un po’ francese. Infatti, gli elementi del sogno e della fiaba appartengono poco al nostro cinema, sempre più neorealista e che recentemente si occupa prevalentemente di periferie e di storie di violenza.

Anche qui, comunque, l’ambiente romano è descritto come un milieu squallido in una realtà ostile: Nicola Speranza (Giuseppe Battiston), professore di storia al ginnasio, ha la passione del cinema che viene presa in giro dai suoi alunni, Sergio (Luca Argentero) è un fotografo assalito dagli spacciatori cui deve molti soldi per aver consumato troppe canne, Elio Beato (Claudio Amendola) è un handyman che conduce una vita mediocre senza particolari soddisfazioni e Anna (Silvia D’Amico) fa il triste mestiere di prostituta. Valeria (Barbora Bulova) a sua volta, è una faccendiera russa che organizza eventi (e truffe), ma non riesce più a spillare molti soldi ai suoi clienti.

La vicenda, nata come un imbroglio per utilizzare i fondi europei, vede al centro un film da girare nell’Europa orientale dove, peraltro, tutto costa meno. Franco Paradiso (Tommaso Ragno), un improvvisato produttore truffaldino dell’inesistente Tindaro film, riesce a spedire cinque sfigati in Armenia a girare un film che non si farà mai perché lui stesso ne incasserà il finanziamento prima di scomparire e scappare con i soldi. La trama del film scritto da Nicola, parla di una ragazza che a cavallo va alla ricerca delle proprie matrici (armene), ma più di questo non si saprà. Nessuno si è letto il copione. Con un van guidato da Kira (Caterina Shulha), una punk incinta piena di piercing che fuma sempre, i cinque protagonisti (la troupe) raggiungono la loro destinazione.

Alloggiati nell’isolato Hotel Gagarin - un edificio della fine-Ottocento o primo-Novecento, su un lago ghiacciato, circondato da boschi e spianate di neve che evoca, pur nella differenza, il “Grand Budapest Hotel” di Wes Anderson del 2014 ma anche “Shining” di Stanley Kubrick del 1980 - i nostri eroi si troveranno invischiati in un conflitto bellico che non permette loro più né di partire né di lasciare l’albergo. Le riprese non inizieranno mai, ma gli abitanti del villaggio più vicino sono attratti dalla notizia dell’allestimento di un set. Arrivano quindi in tanti, ognuno con un proprio sogno per farlo realizzare dalla troupe confinata nell’Hotel. Così, passando dal registro della commedia a quello della fiaba surreale, il film mostra i cinque personaggi che si metteranno al lavoro per esaudire i desideri di ognuno e dare un senso al loro essere lì: ciò costituirà un’inattesa revanche creativa. «Se vuoi essere felice, comincia!» dice Lev Tolstoi, citato da Nicola.

Nascono e si sviluppano in questa situazione di semi-prigionia, un paio di relazioni amorose e si consolidano e amicizie e affetti. Ci sarà posto pure per Virgil, l’angelo che gioca a scacchi, per un’apparizione di Philippe Leroy.

Il film è garbato e ironico, poetico e surreale, trasmette momenti di tenerezza pur confezionando le caricature dei personaggi, scelti e addobbati con attenzione.

Il giovane regista Simone Spada, che ha scritto la sceneggiatura con Lorenzo Rossi Espagnet, aveva già lavorato come aiuto-regista con registi Gabriele Mainetti (“Lo chiamavano Jeeg Robot”), Claudio Caligari (“Non essere cattivo”) e Gennaro Nunziante (“Che bella giornata”).

Due cose mi sono piaciute molto nel film. I quadri surrealisti, presentati con delicatezza nei titoli di coda, dove sono mostrate le realizzazioni dei sogni dei contadini armeni: i due cow-boys a duello, il bambino cavaliere, la ginnasta olimpionica, l’uomo finalmente a New York, quello che impersona Humprey Bogart, quello che impersona l’astronauta Yuri Gagarin e il calciatore con la maglia n. 10 (esplicito omaggio a Totti!)…L’altra cosa che mi ha colpito è lo sguardo maturo del regista esordiente rispetto al paesaggio, al territorio e a Erevan, una città così diversa dalle nostre per dimensioni degli spazi, epoche storiche e clima. Attraverso la telecamera di Spada (e della fotografia attenta di Maurizio Calvesi, piena di riverberi e sfumature) le architetture – perfino quelle sovietiche di industrializzazione pesante – presentano tutte un certo fascino.



Ghisi Grütter




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