15 aprile 2018

Dai giornali di oggi 15 aprile


I missili sulla Siria dividono la politica italiana e spaccano il centrodestra. Salvini contro gli Usa: “Attacco pazzesco” (Sole). Berlusconi lo gela: “A volte meglio tacere” (Giornale e tutti). E in una lettera al Corriere scrive: “L'Italia avrebbe bisogno di un governo nella pienezza dei poteri. La Russia di Putin va vista come un partner strategico e coinvolta, in quanto unico Paese in grado di condizionare le scelte di Assad, che oggi non è realistico sostituire, ma che va messo nelle condizioni di non nuocere alla sua stessa popolazione”. Ma il leghista Fontana al Corriere ribadisce: “I raid in Siria sono stati un grave errore. Il metodo non può essere questo”. Sul raid in Siria Lega distante anche dal M5S (Corriere). Di Maio conferma l'appoggio agli alleati Nato, apre all'utilizzo delle basi italiane ma chiede di evitare l'escalation (Stampa). Dubbi nella base grillina pacifista: “Sembriamo democristiani”. Dal Pd sostegno agli sforzi di pace e contro l'inaccettabile uso delle armi chimiche. Finora, dalle basi italiane solo sostegno logistico, ma nei prossimi giorni potrebbe essere chiesta l'autorizzazione per i mezzi da guerra (Corriere): sarà necessario l'ok del Parlamento, visto che il governo è in carica solo per gli affari correnti.
L'escalation militare può spianare la strada al governo del presidente. Se fallisse il tentativo dell'esploratore, l'unica possibilità è il “governissimo”, con il Pd che tornerebbe in gioco per un incarico affidato probabilmente a Fico (Sole). Fassino al Mattino: “Se Lega e 5S falliscono si aprono nuovi scenari”. Per il Messaggero possibile un dialogo Pd-M5S sulla scia del moderatismo di Di Maio. Il Quirinale conferma la road map ed esclude rinvii: mentre i partiti fanno pressione per Casellati esploratore, prevale al Colle l'ipotesi di accelerare, dando subito il mandato a Salvini o Di Maio (Messaggero). Secondo Breda (Corriere) se Mattarella deciderà per un pre-incarico lo offrirà in prima istanza al centrodestra, mentre l'ipotesi di un mandato esplorativo – con Casellati favorita su Fico – possibile solo se proseguisse l'impasse. Di Maio lavora allo schema se toccasse a lui: alla Lega dicasteri importanti come Economia e Interni. Ma restano le pregiudiziali nei confronti di Berlusconi (Corriere), che a sua volta attacca: “Ingiustificabile Di Maio premier” (Avvenire). “In caso di preincarico al leader grillino il veto su Fi può cadere” ammette al Mattino il giurista Celotto, vicino al M5S. Ma proseguono le schermaglie, con Salvini che – mettendo sullo stesso piano Berlusconi e Di Battista - invita tutti a finirla con gli insulti (su tutti). “Dal Quirinale in poi non riconosco Berlusconi” dice il leghista Fontana al Corriere. L'esponente del Carroccio apre a un'intesa per il governo: “Incarico a Salvini se esiste una maggioranza forte, dunque con il M5S, ma non romperemo con il centrodestra”.
Su QN il sondaggio di Noto evidenzia l'incoerenza dell'opinione pubblica che, se da un lato chiede tempi veloci per la formazione del governo, dall'altro condivide le posizioni intransigenti dei leader sulle alleanze. Da Fi maggioranza per il no a Di Maio premier, nel M5S il 70% contro l'ipotesi di un capo del governo diverso da Di Maio. Nella Lega, il 52% disposto ad abbandonare il centrodestra per un esecutivo con i 5S, ma l'80% non vuole Di Maio a Palazzo Chigi.

ESTERI
Notte di missili e bombe sui depositi chimici della Siria: americani, britannici e francesi colpiscono obiettivi militari. Nessuna vittima. Gli Usa pronti a colpire ancora se le armi chimiche verranno usate di nuovo. Trump esulta: “Missione compiuta”. Mosca minaccia: “Ci saranno conseguenze” (Corriere). Ma Trump compatta gli alleati sullo stop alle armi chimiche e stacca Erogan dai russi (Stampa). “E ora più duri con l’Iran” (Messaggero). Come reagirà Putin? si chiede il Corriere. Per il Sole la rappresaglia di Mosca non sarà militare ma economica: i russi sono al lavoro per preparare ritorsioni contro il business americano. Da Mosca avvertimento anche all’Europa: “Si unirà a questa assurdità oppure no?” si è chiesto il vicepremier Dvorkovich. Macron si candida “pontiere”: sua la telefonata a Putin alla vigilia del raid, mentre domani andrà a Washington a incontrare Trump. Questo, scrive il Sole, per far tornare la Francia protagonista in Medio Oriente ma le relazioni con Mosca sono un’incognita: Putin potrebbe preferire rilanciare le relazioni con Berlino. Il Messaggero parla di fuga in avanti di Macron, mal digerita dai Paesi Ue. Bruxelles è stata informata prima del raid, sostiene Francia e Regno Unito, direttamente coinvolti, e condivide la “valutazione della situazione”. Tajani a QN:”L’uso delle armi chimiche è un limite invalicabile, ma ora la parola passi alla diplomazia. Gli Stati dell’Unione obbligati a fare da ponte tra Stati Uniti e Russia”. Gentiloni: “Risposta motivata, ma ora si eviti l’escalation” (Sole). Il premier rimarca l’alleanza con gli Stati Uniti ma precisa che l’Italia non ha partecipato all’attacco: dalle basi italiane solo supporto logistico, nessuna partenza verso la Siria (Messaggero). “Sintonia tra Turchia e Italia sulle basi – dice l’ambasciatore turco a Roma Salim Esenli – Anche la Turchia sostiene che si debba punire l’uso delle armi chimiche ma questo non è stato un attacco sconsiderato, bensì un’operazione chirurgica. Speriamo che il regime recepisca il messaggio. Non c’è posto per Assad nella nuova Siria, non c’è futuro per lui”. Per il Fatto il raid è stata solo una messinscena, sostanzialmente concordata tra Trump e Putin: ora si passa alle cose serie, ovvero la contesa sul Medio Oriente.
[15/4, 09:51] Michele Cardulli: Dal manifesto
Sinistra italiana non si scioglie: “avanti con Leu ma ora deve cambiare tutto”
Liberi e uguali è andata male al voto, «un risultato al di sotto delle aspettative e delle necessità», ma per salvarsi Sinistra italiana non si aggrapperà alla zattera del centrosinistra: perché quella zattera a sua volta sta affondando. Ora i «compagni» di Mdp sono ufficialmente avvertiti.

Ieri a Roma la prima giornata dell’assemblea nazionale di Sinistra italiana. Oltre cinquanta interventi, un dibattito schietto e aperto e senza innocenti su tutto quello che non ha funzionato, che è tanto, nella lista e a casa propria. Un confronto che è merce rara dopo il 4 marzo: a sinistra non se n’è visto uno così, dal Pd procedendo verso sinistra. Ieri, alla fine, anche Mdp ha convocato la sua assemblea per il 12 maggio. Il segretario Nicola Fratoianni, che in qualche modo rimette il mandato («decideremo insieme», dice) premette una proposta di iniziativa contro le bombe in Siria. Ma il cuore del discorso è sbrogliare la matassa del futuro della sinistra svuotata di voti da M5S. Mdp predica che Leu si trasformi in partito unitario, e i suoi parlamentari riallacciano i fili con gli ex del Pd. Fratoianni dice sì a Leu perché è la strada «della costruzione di una sinistra politica adeguata alla contemporaneità, che abbia come suo tema fondativo la lotta alle diseguaglianze». Ma per Si, e non da oggi, non è la strada che porta al centrosinistra: formula «identificata con le politiche dell’ “establishment” corresponsabile della condizione sociale dei molti». È l’opposto dell’analisi di Massimo D’Alema e di Mdp. La conseguenza non è sulle imminenti amministrative, dove si procede in ordine sparso, ma sulle europee del 2019: «La strada del rapporto privilegiato con il socialismo europeo per noi è senza uscita e del tutto improponibile», dice Fratoianni. Altro macigno sulla via unitaria di Leu.

C’è chi non la pensa così, nel senso che porta a conseguenza il ragionamento. Claudio Riccio, che all’ultimo congresso ha guidato la confluenza dell’associazione Act nel partito, ha raccolto trecento firme su una «verifica» dell’accordo con Leu che nei fatti è una ritirata dal soggetto unitario. Nessuno crede sul serio a questa confluenza, spiega Riccio, «con Mdp non c’è accordo sulle prossime amministrative, sull’analisi dei 5 stelle, sul Pd, sul reddito di cittadinanza, e infatti siamo afoni», «inutile un altro processo costituente che non costituisce nulla, o arrivare agonizzanti all’ennesimo cartello per le europee».

Il voto europeo sarà uno spartiacque: la famiglia socialista a Bruxelles è alla vigilia di un terremoto (se non della sua sparizione), Mdp ha tutti i suoi eletti nel gruppo Socialisti&Democratici e fin qui non sembra dell’avviso di far loro cambiare casa. In Sinistra italiana la ’questione europea’ è dalla nascita un dibattito mai affrontato davvero. In famiglia, accanto all’europeismo spinelliano ci sono posizioni più radicali: «La parabola della sinistra segue quella dello stato nazionale», dice dal palco Stefano Fassina, «dobbiamo decidere se stare con il ’movimento comune’ di Libona fra France Insoumise, Podemos e la portoghese Bloco de Izquerda, oppure con Varoufakis e De Magistris»; ma poi in Italia invita a «costruire Liberi e uguali come spazio politico plurale». Riccio per le Europee guarda a sinistra, anche a Potere al popolo, per una lista costruita per tempo che non rompa il fronte antiliberista. Ma quanto al fronte italiano, propone di non andare all’assemblea de Leu (era stata pensata il 27 maggio, potrebbe slittare). Buona parte degli interventi spinge per non «innestare la marcia indietro» verso un ritorno a Sinistra italiana (Tino Magni), d’altro canto uno dei bersagli della discussione, soprattutto dei toscani, è il presidente Enrico Rossi, il più sbilanciato su posizioni coalizioniste con il Pd: «non ha senso riappiccicare i cocci del centrosinistra ormai morto e sepolto» (Daniela Lastri), «noi facciamo la battaglia contro l’aeroporto e ce lo troviamo a favore» (Alessia Petraglia). Insomma «è chiaro che non possiamo tornare indietro ma dobbiamo capire come andare avanti» (Angelo Fredda), «se dobbiamo chiudere Leu o chiuderci in Leu» (Peppino Buondonno). «Non possiamo raccontarci la favola di una ripartenza egemonizzando Leu» (Paola Natalicchio) , eppure «se in Leu c’era un problema di crediubilità non possiamo cavarcela con l’ipocrisia di dire che è solo colpa degli altri» (Peppe De Cristofaro), «anziché non andare all’assemblea di Leu andiamoci e apriamo una contraddizione pubblica, imponiamo un’agenda, rovesciamola. Senza di noi Leu non esiste (Luca Casarini), «Bisogna andare oltre nella costruzione di un polo più ampio, progressista, che ricostruisce a partire dai territori una nostra utilità sociale e politica» (Paolo Cento).

Oggi si continua (all’Hotel Radisson, via Turati). Parleranno i ’padri nobili’ Vendola e Mussi. Il documento dei 300 potrebbe non diventare il testo su cui contarsi. A patto che nelle conclusioni Fratoianni trovi la strada, difficile, per convincere anche chi vuole rompere con Leu.

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