La nuova legge elettorale, Renzi e la ola bipartizan
di Gianfranco Pagliarulo
La causa delle sciagure politiche del nostro Paese sono i piccoli partiti che, attraverso un’opera di interdizione e qualche volta di ricatto, impediscono ai grandi partiti di governare. Occorre invece un sistema bipolare incardinato su due grandi coalizioni. Chi vince avrà un premio kolossal che gli garantirà la maggioranza assoluta, e quindi la certezza di governare per tutta la legislatura. La questione principale è quella della governabilità che in questo modo verrà assicurata. Per evitare rischi soverchi, è meglio che chi decida i candidati da eleggere non sia l’elettore ma le segreterie dei grandi partiti. Questa è – ridotta all’osso – la filosofia della nuova legge elettorale concordata fra Renzi e Berlusconi, che viene presentata dalla grande parte dei quotidiani italiani come la salvatrice delle magnifiche sorti e progressive della Patria; dal Corriere al Giornale a Repubblica alla Stampa, è un tripudio, un osanna, una ola bipartizan. Dal pensiero unico alla legge elettorale unica.
Ma la storia recente del nostro Paese non è questa. Anzi, è il suo esatto contrario. Sono più di vent’anni che imperversa la retorica del bipolarismo; i due più grandi partiti si sono dimostrati incapaci di dare all’Italia un governo all’altezza dei tempi. Berlusconi ha portato il Bel Paese alla bancarotta e il Pd – non certo un piccolo partito – è riuscito prima a non eleggere Prodi alla Presidenza della Repubblica grazie a (perlomeno) 101 franchi tiratori e poi a dar vita al governo “delle larghe intese” che all’inizio comprendeva il partito allora di Bersani e quello di Berlusconi. Né, a dire il vero, era una novità, dato che il precedente governo Monti si reggeva sulla stessa alleanza politica. E oggi l’Italia è in parte sempre maggiore alla fame, grazie anche alla politica degli ultimi due governi. Questa è la realtà. Le chiacchiere, come si dice, stanno a zero.
Dopo la sentenza della Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna di Berlusconi, è avvenuto un fatto nuovo e positivo: la rottura del suo partito e la nascita di una nuova formazione di destra, più moderata rispetto a quella del tycoon di Arcore. Questo ha consentito al governo Letta di non cadere, garantendo, giustappunto, la governabilità.
Dunque chi attribuisce la responsabilità dell’ingovernabilità alla esistenza in parlamento delle rappresentanze dei piccoli partiti dice cose che non stanno né il cielo né il terra, mentre l’astensionismo, che viaggia a tutta forza verso il 50% dell’elettorato, dimostra che gli elettori non si sentono rappresentati, anche a causa nel fatto che non sono loro che decidono chi sarà eletto. La proposta di nuova legge elettorale non affronta minimamente il tema della rappresentanza.
Cosa dice questa proposta? Dice che chi raggiunge il 35% dei voti avrà dal 53 al 55% dei parlamentari; che se nessuno raggiuge il 35% si andrà al ballottaggio e chi vince avrà il 53% dei parlamentari; che gli sbarramenti sono i seguenti: una coalizione che non raggiunge il 12%, o un partito in coalizione che non raggiunge il 5%, o un partito che si presenta fuori da una coalizione e che non raggiunge l’8%; che i nomi delle liste sono bloccati e quindi prendere o lasciare, niente preferenze.
In sostanza si tratta di un meccanismo che premia, peraltro a dismisura, i partiti maggiori e punisce, sostanzialmente escludendoli, tutti gli altri. Il che vuol dire, rebus sic stantibus, che il futuro parlamento sarebbe ad oggi, in base a un sondaggio pubblicato ieri su Repubblica, così composto: Pd, Forza Italia, Movimento5Stelle, più Alfano se si presentasse in coalizione con Forza Italia, perché supererebbe il 5%. Fine del parlamento. Questa, per Matteo Renzi, sarebbe la Terza Repubblica.
Al tutto si aggiunge la restituzione allo Stato di alcune competenze attribuite alle Regioni con la folle riforma “federalista”, ed è una cosa buona, seppure andrebbero approfondite (ed aumentate) le competenze proprie dello Stato; la trasformazione del Senato in una “Camera delle Regioni”, che però non viene eletta, ed è una cosa inquietante assai.
Lo storico accordo – tutto compreso – è stato raggiunto con un signore recentemente condannato in via definitiva per gravissimi reati contro lo Stato (cosa diversa dalla condanna ricevuta da Grillo per un drammatico e terribile incidente stradale in cui morirono tre persone; non confondiamo, per cortesia). Con questa operazione il voodoo-Renzi ha rimesso politicamente in vita lo zombi-Berlusconi, assumendosi così una responsabilità politica e istituzionale, prima ancora che morale, di straordinaria grandezza. Dunque la critica ci sta tutta. Ci sta meno quella dei dissidenti Pd, dato che dal tempo di Monti il Pd governa col partito di Berlusconi, giustificandosi con lo “stato di necessità”.
Davanti al decisionismo del giovin segretario e al suo sbrigativo liberarsi degli oppositori interni tramite l’attacco frontale o il dileggio, c’è da chiedersi cosa farà la minoranza “di sinistra” (ancorché moderatissima). Sembrerebbe che la sua prima mossa sia quella di dividersi al suo interno. Niente di nuovo: è la maledizione della sinistra italiana. Certo è che la coabitazione sotto lo stesso renziano tetto del placido Cuperlo e del fantasioso Bersani si fa sempre più complicata. Infatti il placido Cuperlo si è inciprignito, causa del Renzi la greve sgarbatezza, e si è dimesso dalla direzione del Pd. Insomma, si vedrà.
Ciò che intanto sembra sicuro è che l’inizio della segreteria Renzi coincide con la fine di qualsiasi possibilità di sinistra del Pd. Né, a questo scopo, soccorre la sua scelta di entrare nel Partito Socialista Europeo. Tale decisione, infatti, si spiega con la ragione molto pragmatica di far parte di una “famiglia” europea consistente e non certo con l’adesione del Pd ai valori che ispirano il socialismo. Con Renzi la politica perde qualsiasi dimensione progettuale, qualsiasi fascinazione utopica e si riduce a mera tecnica di governo esercitata anche attraverso qualche “grande riforma” istituzionale. Quelle che Craxi non fece in tempo a realizzare.
La causa delle sciagure politiche del nostro Paese sono i piccoli partiti che, attraverso un’opera di interdizione e qualche volta di ricatto, impediscono ai grandi partiti di governare. Occorre invece un sistema bipolare incardinato su due grandi coalizioni. Chi vince avrà un premio kolossal che gli garantirà la maggioranza assoluta, e quindi la certezza di governare per tutta la legislatura. La questione principale è quella della governabilità che in questo modo verrà assicurata. Per evitare rischi soverchi, è meglio che chi decida i candidati da eleggere non sia l’elettore ma le segreterie dei grandi partiti. Questa è – ridotta all’osso – la filosofia della nuova legge elettorale concordata fra Renzi e Berlusconi, che viene presentata dalla grande parte dei quotidiani italiani come la salvatrice delle magnifiche sorti e progressive della Patria; dal Corriere al Giornale a Repubblica alla Stampa, è un tripudio, un osanna, una ola bipartizan. Dal pensiero unico alla legge elettorale unica.
Ma la storia recente del nostro Paese non è questa. Anzi, è il suo esatto contrario. Sono più di vent’anni che imperversa la retorica del bipolarismo; i due più grandi partiti si sono dimostrati incapaci di dare all’Italia un governo all’altezza dei tempi. Berlusconi ha portato il Bel Paese alla bancarotta e il Pd – non certo un piccolo partito – è riuscito prima a non eleggere Prodi alla Presidenza della Repubblica grazie a (perlomeno) 101 franchi tiratori e poi a dar vita al governo “delle larghe intese” che all’inizio comprendeva il partito allora di Bersani e quello di Berlusconi. Né, a dire il vero, era una novità, dato che il precedente governo Monti si reggeva sulla stessa alleanza politica. E oggi l’Italia è in parte sempre maggiore alla fame, grazie anche alla politica degli ultimi due governi. Questa è la realtà. Le chiacchiere, come si dice, stanno a zero.
Dopo la sentenza della Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna di Berlusconi, è avvenuto un fatto nuovo e positivo: la rottura del suo partito e la nascita di una nuova formazione di destra, più moderata rispetto a quella del tycoon di Arcore. Questo ha consentito al governo Letta di non cadere, garantendo, giustappunto, la governabilità.
Dunque chi attribuisce la responsabilità dell’ingovernabilità alla esistenza in parlamento delle rappresentanze dei piccoli partiti dice cose che non stanno né il cielo né il terra, mentre l’astensionismo, che viaggia a tutta forza verso il 50% dell’elettorato, dimostra che gli elettori non si sentono rappresentati, anche a causa nel fatto che non sono loro che decidono chi sarà eletto. La proposta di nuova legge elettorale non affronta minimamente il tema della rappresentanza.
Cosa dice questa proposta? Dice che chi raggiunge il 35% dei voti avrà dal 53 al 55% dei parlamentari; che se nessuno raggiuge il 35% si andrà al ballottaggio e chi vince avrà il 53% dei parlamentari; che gli sbarramenti sono i seguenti: una coalizione che non raggiunge il 12%, o un partito in coalizione che non raggiunge il 5%, o un partito che si presenta fuori da una coalizione e che non raggiunge l’8%; che i nomi delle liste sono bloccati e quindi prendere o lasciare, niente preferenze.
In sostanza si tratta di un meccanismo che premia, peraltro a dismisura, i partiti maggiori e punisce, sostanzialmente escludendoli, tutti gli altri. Il che vuol dire, rebus sic stantibus, che il futuro parlamento sarebbe ad oggi, in base a un sondaggio pubblicato ieri su Repubblica, così composto: Pd, Forza Italia, Movimento5Stelle, più Alfano se si presentasse in coalizione con Forza Italia, perché supererebbe il 5%. Fine del parlamento. Questa, per Matteo Renzi, sarebbe la Terza Repubblica.
Al tutto si aggiunge la restituzione allo Stato di alcune competenze attribuite alle Regioni con la folle riforma “federalista”, ed è una cosa buona, seppure andrebbero approfondite (ed aumentate) le competenze proprie dello Stato; la trasformazione del Senato in una “Camera delle Regioni”, che però non viene eletta, ed è una cosa inquietante assai.
Lo storico accordo – tutto compreso – è stato raggiunto con un signore recentemente condannato in via definitiva per gravissimi reati contro lo Stato (cosa diversa dalla condanna ricevuta da Grillo per un drammatico e terribile incidente stradale in cui morirono tre persone; non confondiamo, per cortesia). Con questa operazione il voodoo-Renzi ha rimesso politicamente in vita lo zombi-Berlusconi, assumendosi così una responsabilità politica e istituzionale, prima ancora che morale, di straordinaria grandezza. Dunque la critica ci sta tutta. Ci sta meno quella dei dissidenti Pd, dato che dal tempo di Monti il Pd governa col partito di Berlusconi, giustificandosi con lo “stato di necessità”.
Davanti al decisionismo del giovin segretario e al suo sbrigativo liberarsi degli oppositori interni tramite l’attacco frontale o il dileggio, c’è da chiedersi cosa farà la minoranza “di sinistra” (ancorché moderatissima). Sembrerebbe che la sua prima mossa sia quella di dividersi al suo interno. Niente di nuovo: è la maledizione della sinistra italiana. Certo è che la coabitazione sotto lo stesso renziano tetto del placido Cuperlo e del fantasioso Bersani si fa sempre più complicata. Infatti il placido Cuperlo si è inciprignito, causa del Renzi la greve sgarbatezza, e si è dimesso dalla direzione del Pd. Insomma, si vedrà.
Ciò che intanto sembra sicuro è che l’inizio della segreteria Renzi coincide con la fine di qualsiasi possibilità di sinistra del Pd. Né, a questo scopo, soccorre la sua scelta di entrare nel Partito Socialista Europeo. Tale decisione, infatti, si spiega con la ragione molto pragmatica di far parte di una “famiglia” europea consistente e non certo con l’adesione del Pd ai valori che ispirano il socialismo. Con Renzi la politica perde qualsiasi dimensione progettuale, qualsiasi fascinazione utopica e si riduce a mera tecnica di governo esercitata anche attraverso qualche “grande riforma” istituzionale. Quelle che Craxi non fece in tempo a realizzare.
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