28 febbraio 2018

La newsletter di Roberto Speranza

Cari e Care,
mancano poche ore alla fine della campagna elettorale. Liberi e Uguali è stata la vera novità di questi mesi. Sono orgoglioso di aver dato il mio contributo a questo progetto.

Voglio chiudere il mio impegno tra le persone, perché penso che proprio in questi momenti sia giusto fare qualche post in meno su Facebook e rinunciare a qualche tweet per tornare a guardare i cittadini negli occhi.

Domani, giovedì 1 marzo, sarò a Potenza alla manifestazione di chiusura della campagna elettorale: “In Piazza per la Basilicata”, alle 19 Piazza Don Colucci – Viale Dante.



Venerdì 2 marzo parteciperò alla chiusura nazionale di Liberi e Uguali, “Per i molti, non peri i pochi” insieme a Pietro Grasso a Palermo in Piazza Verdi alle 18.



E’ nei prossimi giorni che avremo bisogno dell’aiuto di tutti per l’ultimo sforzo per assicurare il miglior risultato possibile a Liberi e Uguali.

Grazie per quello che avete fatto finora e buon lavoro a tutti.

Il neo fascismo



Seguendo l'intervista a Salvini ieri sera ed a Di Maio ho notato che i giornalisti ripetono in modo sistematico un errore ,dovuto è vero in parte all'impostazione del format televisivo .Essi rivolgono loro delle domande specifiche di punti singoli .Apparentemente sembra un buon metodo per denunciarne limiti e errori ma a mio sommesso avviso non è così . Credo che basti scorrere anche un buon manuale di storia universitaria ( il Viola ad esempio) ,per comprendere subito che tutti i Fascismi ......li si comprende davvero non guardando alle loro singole risposte su singoli punti .....quello che davvero fa la differenza è il modo complessivo ,generale teorico con cui questi movimenti guardano la Società ,le persone ,insomma i Valori Ultimi della loro impostazione e dei loro Credo . È in questa prospettiva che si può cogliere il loro potenziale distruttivo per la Democrazia ,le Libertà Individuali ,il rispetto della Dignità della Persona Umana . Quello che ci deve fare quindi paura è la natura di " contenitore vuoto ....." di questi movimenti ,che pertanto possono essere riempiti alla bisogna .....e come possono essere riempiti .....beh ....! Purtroppo ce lo insegna la Storia in specie quella del secolo appena trascorso ......"Intelligenti Pauca ......"
Luca Giordano per Tre Righe

LA GUERRA SPORCA CONTRO IL VENEZUELA

DA   http://www.altrenotizie.org/rubriche/analisi/7848-la-guerra-sporca-contro-il-venezuela.html
     
Con le annunciate manovre militari nelle Bahamas, gli Stati Uniti mostrano i muscoli al Venezuela. Lo fanno dopo le minacce di Trump, che annunciò avere “varie opzioni sul Venezuela, compresa quella militare”. Minacce reiterate dal Segretario di Stato, Rex Tillerson, nel suo recente tour latinoamericano, dove ha chiamato i paesi satelliti degli Stati Uniti (Mexico, Colombia, Argentina, Brasile, Perù, Paraguay, Cile ed altri) ad isolare il Venezuela, ricordando a tutti che la “Dottrina Monroe” continua ad essere l’essenza pura della relazione tra Washington e l’intero continente americano.

Alle minacce militari si aggiunge il tentativo d’isolamento politico, per una manovra a tenaglia che isoli politicamente Caracas nel contesto regionale, così da generare il retroterra di consenso ad una possibile avventura militare. Alla ricerca di casus belli, la propaganda ha inventato una migrazione massiccia di venezuelani verso la Colombia che metterebbe a rischio nientedimeno che la stabilità regionale!!

E’ esempio mirabile di fake news: non c’è nessuna particolare migrazione tra Venezuela e Colombia. L’unico traffico è quello delle merci che il governo bolivariano distribuisce a prezzo politico e che i commercianti disonesti accatastano per poi cederle agli speculatori venezuelani e ai loro complici colombiani. I prodotti vengono venduti in Colombia guadagnando cifre enormi, mentre lasciano il Venezuela con problemi nella rete di distribuzione degli alimenti e beni di varia natura. Il che genera file e difficoltà di ogni genere che servono ad alimentare malcontento e immagini utili alla propaganda antigovernativa.

Sul piano squisitamente politico l’attacco al governo Maduro si spinge alla richiesta da parte di alcuni paesi filo statunitensi di non celebrare le elezioni anticipate venezuelane, previste per il prossimo 22 Aprile, data accordata tra governo e opposizione con la mediazione dell’ex primo ministro spagnolo Zapatero negli incontri svoltisi nella repubblica Dominicana. Qui l’opposizione era pronta a firmare un documento congiunto con il governo ma fu bloccata un momento prima da Washington e Bogotà.

Il fatto è che la cosiddetta “opposizione” ha deciso di non partecipare perché lacerata al suo interno e senza speranze di vincere; emergono però, al di fuori della MUD, candidati che tentano di catalizzare i voti antigovernativi, conferendo così ulteriore, definitiva legittimità al confronto elettorale.

Alla Casa Bianca sono preoccupatissimi. Una vittoria elettorale di Maduro obbligherebbe al silenzio gli sponsor della destra violenta e l’unico modo per impedirlo è non andare al voto. La storia è sempre la stessa nel filmino dei “democratici”: chiedono elezioni, ma quando arrivano le boicottano perché sanno di perderle rovinosamente, dato che i settori popolari sanno chi sono e da chi prendono ordini.

Se l’opposizione riuscisse a rinviare la consultazione, trasformerebbe la propria debolezza in un atto di forza e ridurrebbe la forza politica del bolivarismo. Perché in Venezuela (come lo fu, inutilmente, in Nicaragua) il tentativo è di non validare, con la propria presenza, il confronto democratico interno. E partecipare significa riconoscere, implicitamente ed esplicitamente, che l’agibilità politica c’è, dunque definire poi il governo una dittatura diventa come minimo una contraddizione in termini.

Per questo, cosciente della scarsa credibilità dell’opposizione che litiga al suo interno per spartirsi denaro e appoggi, la Casa Bianca ha mobilitato l’osceno Segretario dell’Organizzazione degli Stati Americani, Luis Almagro, che verso Caracas ha da sempre una posizione di aperto conflitto che sfocia sovente nell’isteria. A Lima ha riunito i fedelissimi filo statunitensi e ha costruito una posizione di rifiuto alla presenza di Nicolas Maduro al prossimo Vertice delle Americhe previsto per la seconda metà di Aprile.

Lo si accusa di “violare i diritti umani”, ovvero di non riconsegnare il Venezuela alla destra filo statunitense ed alle compagnie petrolifere che la supportano. Diversi paesi, circa la metà, non condividono affatto la posizione del “gruppo di Lima” contro il Venezuela e se il corrotto Perù, anfitrione ma non padrone del Vertice, dovesse prestarsi al giogo di non permettere l’arrivo di Maduro, lo scontro diplomatico e politico interno ai paesi latinoamericani diverrebbe furente.

Per l’Amministrazione Trump il Venezuela sembra esser divenuto il termometro della sua politica regionale. Anche solo per dimostrare di realizzare ciò che Obama non riuscì a compiere, il tycoon dedica ogni sforzo all’aumento della tensione, soffiando sul fuoco di ogni polemica e gettando acqua gelata su ogni ipotesi di dialogo. Nessuno si è chiamato fuori dal richiamo statunitense contro Caracas, nemmeno la pessima Unione europea, che anzi si è particolarmente adoperata nella costruzione del film che è passato dall’horror alla fantascienza. Con il rovesciamento del tavolo dove si poggiano colpe e meriti, nell’attacco a Maduro la guerra di propaganda dell’Occidente si è scatenata in tutta la sua potenza.

Il Venezuela, infatti, è il luogo nel mondo dove si sono concentrate il numero maggiore di fake news. Menzogne a cielo aperto, ribaltamento della verità senza onere di prova, finzione assoluta che ha trasformato i terroristi in democratici e i democratici in autoritari.

Che vuole Washington?

Cosa cercano gli Stati Uniti nel tentare di provocare un incidente militare che apra il via alla guerra contro il Venezuela? Secondo alcuni analisti l’obiettivo sarebbero petrolio, litio, acqua, gas e coltan, oltre ad un patrimonio straordinario di biodiversità offerto dall’area amazzonica. Certo, sono materie prime che fanno gola ad una economia in crisi come quella statunitense, che sebbene alzi artificiosamente gli indici di borsa non vede nemmeno da lontano la presunta ripresa che il Tycoon col riporto aveva garantito.

Ma parallelamente al sogno di rientrare in possesso dei beni venezuelani, l’obiettivo appare anche politico e strategico. Il Venezuela è asse centrale nella struttura continentale democratica ed economica. Essa, con le sue ricchezze e la sua centralità strategica, non è isola sperduta in un oceano, non è luogo remoto sulla cartina dove può esser tollerato il sovvertimento dell’ordine capitalistico.

Come Cuba, come il Nicaragua Sandinista, come la Bolivia di Evo Morales, il Venezuela produce paradigmi nuovi, genera prospettive, annulla la rassegnazione atavica, plasma indipendentismo. Ha rappresentato - e nonostante la crisi continua a rappresentare - il ribaltamento dell’ordine delle priorità nelle politiche economiche e sociali rispetto ai regimi conservatori, un’inversione di rotta totale nei confronti dell’obbedienza a Washington.

Lasciar prosperare il blocco democratico ed indipendentista diventa esiziale per i prostrati all’impero e pericoloso per l’impero stesso, che ha nell’annessione il suo unico modello di relazione con l’America Latina.

La nuova offensiva diplomatica, politica e militare statunitense tende a riposizionare il continente sotto il suo tallone. Una crescente cooperazione Sud-Sud, la rimodulazione delle relazioni commerciali con l’Europa e l’apertura di nuove cooperazioni con Russia, Cina e Iran, avevano caratterizzato sotto la sfera economica e commerciale il nuovo indipendentismo latinoamericano, sancito politicamente dal ritorno di Cuba negli OSA e dalla capacità di parlare con voce unica nel confronto con gli USA.

Scenario intollerabile per la parte più retriva e colonialista dell’establishment statunitense, in particolare quello legato elettoralmente agli stati del Sud. Già Obama volle correggere quella che alcuni ritennero una “disattenzione” delle amministrazioni Bush nei confronti dell’America Latina operata in favore dello sguardo ad Oriente e nel Golfo Persico e stabilì come priorità il recupero del comando assoluto sull’insieme del continente, che si era ormai decisamente emancipato dal Washington Consensus.

Iniziato con il golpe militare in Honduras per deporre il legittimo presidente Zelaya e proseguito con l’organizzazione della sovversione interna in Venezuela, Argentina e Brasile, il cambio di rotta ordinato da Obama riportò in agenda una aggressiva politica regionale. Si riaprirono ostilità politica e minacce militari da parte di Washington verso il Centro e Sud America.

Si implementarono sanzioni economiche e s’investirono risorse enormi nell’organizzazione della sovversione interna ai paesi con governi progressisti, finanziando, armando e sostenendo politicamente la bande militari e paramilitari, coprendole sotto il mantello dell’opposizione politica. Alla bisogna, si ricostruirono antiche logge e consorterie affaristico-mafiose legate all’intelligence statunitense civile e militare.

Nei disegni statunitensi la caduta del Venezuela comporterebbe anche gravi ripercussioni economiche su Cuba e Nicaragua, con cui Caracas, oltre ad una alleanza politica, mantiene importantissimi accordi per scambi commerciali e fornitura di servizi sociali utili anche a mantenere un buon livello di welfare. Mettere in ginocchio il Venezuela, cacciare il governo bolivariano, oltre a riconsegnare il Sud America alla mappa dell’obbedienza, riproporrebbe la quinta essenza della Dottrina Monroe come modello di governance del continente. Restituirebbe agli Stati Uniti un pezzo strategico per il dominio sulle economie continentali.

La partita che si gioca in Venezuela non ha un epilogo già scritto. Per quanto sia forte e a cerchi concentrici l’attacco alla democrazia popolare bolivariana, le conseguenze sul piano regionale di un’aggressione sono difficili da calcolare ed il rischio per gli USA di restare impantanati in una guerra che non può vincere non può essere sottovalutato dal Pentagono.

Sebbene la Colombia governata formalmente da Santos, ma praticamente da Uribe, si candidi a svolgere il lavoro sporco, spalleggiata dall’Argentina di Macrì e dal Brasile del corrotto Temer, una valutazione prudente ed assennata costruita sul terreno inviterebbe a non sottovalutare la capacità di reazione da parte del Venezuela. Caracas, comunque, mentre da anni si prepara a difendersi, cerca in ogni modo di scongiurare la dimensione militare dello scontro. Che, d’altra parte, è tutt’altro che epilogo inevitabile del quadro.

Sanno bene, a Washington, che  invece di una passeggiata trionfale statunitense il Venezuela potrebbe trasformarsi in un Afghanistan vicino casa. Una inevitabile quanto prevedibile estensione del conflitto non risparmierebbe nessuno e la presidenza Trump, già traballante, finirebbe rapidamente. E, con essa, i militari che l’hanno sostenuta e che sarebbero i primi a pagare le conseguenze di una ennesima guerra persa.

Dai giornali di oggi 28 febbraio

Dai giornali
Di Maio fa le prove per Palazzo Chigi (Stampa e tutti). Il leader M5S nomina i ministri, li riunisce e manda via mail l'elenco al Colle. Nella squadra dei 18 Lorenzo Fioramonti al Mise, Giuseppe Conte alla Pa, Pasquale Tridico al Lavoro, Alessandra Pesce all'Agricoltura (su tutti). Restano coperte le caselle più importanti: Economia, Esteri, Interni e Difesa. Gentiloni attacca:  “Un governo ombra. Surreale” (Repubblica e tutti). La replica di Di Maio: “Quale governo ombra, questo è alla luce del sole. Gentiloni pensa già agli inciuci post voto”. L'economista Tridico, indicato per il Lavoro, alla Stampa: “Il livello delle personalità è altissimo. E non è stata violata nessuna norma”.  Conte, scelto per sburocratizzare la Pa, a Repubblica: “Prima votavo a sinistra, ma gli schemi ideologici del '900 non sono più adeguati. I movimenti si giudicano sulle proposte utili ai cittadini”. Ma la lista non ha nessun valore istituzionale per il Colle scrive il Messaggero; Mattarella non prenderà in considerazione la mail fino a dopo il voto (Corriere). Il Costituzionalista Luciani al Corriere: “è solo un'iniziativa politica, i giochi per il governo si aprono dopo il voto”. Per Franco (Corriere) quella del M5S è una mossa d'anticipo che rischia di essere una forzatura. Ferrara sul Foglio definisce “pericoloso” il placet di Mattarella al M5S
Centrodestra, nuovo scontro a distanza tra Berlusconi e Salvini sul nome di Tajani (Stampa). “Aspetto il suo ok” dice il leader di Fi (Corriere e tutti), anche se, in caso di stallo, vorrebbe tornare al voto tra un anno e ricandidarsi premier (Giornale e altri). Sul nome di Tajani, nuova chiusura di Salvini, che alla Stampa dice: “Fa egregiamente il suo lavoro all'Europarlameno e continuerà a farlo. Perchè il 4 marzo vinciamo noi”. Per il Messaggero la scelta di Tajani serve a Berlusconi per recuperare il Centrosud – dove Fi teme il flop del Pd che potrebbe aiutare il M5S - perchè il suo profilo euromediterraneo rafforza il messaggio anti-Lega sulla premiership. Tajani, in un colloquio col Foglio, si smarca: “Parliamo di come deve essere una destra di governo. Serve una cura da cavallo per il Meridione, poi un abbassamento delle tasse, un'economia sociale di mercato. Poi sicurezza e controllo del territorio. Le riforme? Il modello presidenziale e le riforme istituzionali sono da sempre un nostro obiettivo”. Sul programma, Salvini alla Stampa dice: “Stiamo già lavorando sul post legge Fornero, sulla flat tax, sulla legittima difesa e sull'immigrazione”. La Meloni al Messaggero: “L'Italia, se vinciamo noi, dovrà dialogare con il gruppo dei Paesi Visegrad piuttosto che con l'asse franco-tedesco: l'Europa dell'Est si sta impegnando a difendere i confini dell'Ue dall'immigrazione incontrollata. Per questo oggi sarò da Orban”. Intanto, in dubbio la presenza di Berlusconi alla manifestazione di domani.  Per il Corriere non ci sarà, ma per Repubblica e altri Berlusconi si. Salvini alla Stampa: “L'Atlantic di Roma è prenotato, io ci sarò. Gli altri, non so”. La Meloni al Messaggero convinta della presenza degli alleati: “Finalmente uniti sul palco, i continui distinguo rischiavano di confondere i nostri elettori”.
Centrosinistra, Gentiloni avvisa Renzi: “Nessuno strappo a sinistra” (Stampa). Il presidente del Consiglio conferma che “il Pd ha tanti candidati premier, l'importante è che confermi il suo ruolo di partito guida”. Renzi e il premier alla kermesse romana con Zingaretti: “non ci divideranno”. Ma Orlando e la Bonino insistono su Gentiloni: “Deve essere lui il nostro candidato” (Messaggero). Sul Corriere l'apertura di Bersani, che ipotizza un bis del capo del governo per fare la riforma elettorale. “Il Rosatellum era l'unico compromesso possibile. E' possibile migliorarlo, ma con due Camere e tre poli non basta la legge elettorale a garantire la governabilità. Potevano votare sì al referendum costituzionale” accusa Rosato al Sole. Grasso (Leu) intervistato dal QN: “Il Pd ha smesso da tempo di parlare alla sua gente e ha fatto cadere le bandiere della sinistra. Dal 5 marzo daremo vita a un partito di sinistra. Noi siamo la vera novità dopo 25 anni di Berlusconi, 3 di Renzi, le pericolose valanghe populiste”.

"Roma , polvere di stelle" di Paolo Berdini

 
 
 
 
 
Il 26 febbraio, alla libreria Il Libraccio di Via Nazionale, Paolo Berdini ha presentato il suo «Roma, polvere di stelle» insieme ad altri tre big super esperti nella storia delle bellezze e delle miserie della Capitale: Emiliani, Rizzo e Flores D'Arcais. Presenti all'ascolto eravamo un centinaio, la grande maggioranza anziani. Riporto in serie, per come ho registrato, quelle che mi sono apparse le perle più significative negli interventi dei relatori. 
1. Il libro di Berdini è uno spaccato dei mali di Roma. Un manuale delle politiche scellerate da cui è stata rovinata.
2. La principale è quella dell'edilizia contrattata e dei suoi frutti tossici. Con essa la parte a favore del privato è stata sempre pienamente realizzata, quasi mai la parte a favore del pubblico.
3. Il libro di Berdini è un libro sulla corruzione. Il partito che domina a Roma è quello dei palazzinari, della rendita e della speculazione edilizia. Solo il vecchio PCI si è opposto e ha resistito, ma fino a un certo punto. Sicuramente con Petroselli, e con il primo Rutelli e la sua Giunta dei Verdi. Poi è arrivato il disastro Veltroni con i suoi devastanti parcheggi sotterranei. Ma la vera età dell'oro per Roma è stata quella della Giunta Nathan.
4. La stampa a Roma ha sempre svolto il ruolo di quarto potere. Di critica radicale delle cattive politiche con Paese e Paese Sera e il primo Messaggero diretto da Emiliani. Al totale servizio del potere palazzinaro quella successiva e di oggi.
5. Nessuno dei Piani Regolatori Generali, a partire dagli Anni Sessanta, è mai stato attuato. Il principale proprietario immobiliare di Roma è il Vaticano. Da sempre e anche ora.
6. Il centro di Roma è un enorme casino. Le periferie peggio ancora. Andrebbero fatti interventi drastici, radicali coraggiosi. 
7. Le pubbliche istituzioni - governo, ministeri, forze armate, enti vari - sono dislocate in 180 sedi sparse ovunque in maniera semplicemente assurda. Questo in gran parte è l'effetto di logiche di scambio di affitti a vantaggio dei proprietari degli edifici a danno del pubblico.
8. Molti dei meccanismi imperversanti nella Pubblica Amminstrazione andrebbero semplicemente scardinati. Ad esempio quelli dei bracci di ferro che vedono in conflitto i vari dipartimenti del Comune con i Municipi con relativa paralisi. L'esempio da seguire potrebbe essere Berlino. Un potere centrale forte, una autonomia decentrata reale. 
9. Lo sfascio romano, ma dello stesso Paese, viene dal fatto che per impedire il cambiamento c'è sempre chi mette i pali tra le ruote Lo scopo è quello di occupare suolo ed elevare le cubature e fine di mero profitto del privato.
10. La domanda da porsi è: chi decide il destino di una città: il pubblico o il privato? Possibile mai che Armellini affitti al Comune di Roma 1080 case che possiede a Ostia senza neppure pagare l'Imu?
Alla fine Berdini ha tenuto ad affermare che tra lui e i 5 Stelle non vi è alcuna affinità culturale. Ma allora, mi sono chiesto, perché ha accettato di fare l'Assessore all'Urbanistica con la Raggi? E se lui fin dall'inizio è stato contro lo stadio del duo Parnasi-Pallotta, e a favore delle Olimpiadi nel 2024, a maggior ragione perché per nove mesi ha partecipato? E come mai sulle olimpiadi invece si è trovato in sintonia con Malagò, presidente del Coni? Avrei fatto volentieri queste domande a Paolo Berdini, ma la libreria doveva chiudere perché si erano fatte le otto. Ma sicuramente ci sarà per farle un'altra occasione.
 
Gian Carlo Marchesini

Liberi e Uguali dalla parte dell'uguaglianza di genere



In occasione della Giornata Europea per la Lotta al Divario Contributivo (Gender Day Gap), che si celebra oggi 28 febbraio, pubblichiamo un contributo di Rossella Cossu, del Gruppo Donne di Liberi e Uguali.



DIVARIO DEL SALARIO DI GENERE (GENDER PAY GAP)

GRUPPO DONNE  

 
 

Abbattere le disuguaglianze di genere è diventata una questione non rinviabile, sia perché è un problema  di giustizia sociale sia perchè rappresenta una grande opportunità di sviluppo del paese.   Liberi e Uguali è l’unica forza in campo che ha saputo cogliere la sfida per la parità di genere proponendo innanzitutto la parità di salario/guadagno fra uomo e donna.

 

E’ stato calcolato che le donne nel mondo guadagnano in media il 23% in meno degli uomini: l’ONU definisce questa realtà come il più grande furto della storia.

In generale l’uguaglianza fra uomo e donna, ossia il raggiungimento della parità di genere, contribuisce in modo fondamentale alla crescita e allo sviluppo economico-sociale di un paese. Con la piena integrazione di donne e ragazze la società acquista strategie, idee, prospettive per affrontare meglio le difficoltà e sfruttare nuove opportunità.

L'Italia, secondo parametri calcolati e pubblicati dal Global Gender Gap Report  del 2017 del World Economic Forum presenta risultati preoccupanti per la parità di genere. Nella classifica globale del divario di genere – su 144 paesi – l'Italia è scesa, in un solo anno, dal 50_esimo posto del 2016 all’82_esimo del 2017, come mostrato in Tabella 1.

La graduatoria globale è ottenuta dalle diseguaglianze fra uomo e donna nei settori di Economia (Economic partecipation and opportunity), Istruzione (Educational attainment), Salute (Health and survival) e Politica (Political empowerment). Nel Report l’indice sul divario è calcolato in una scala da 0 a 1: "0" totale disparità della donna nei confronti dell'uomo e "1" totale parità. Noi per comodità faremo uso delle percentuali corrispondenti, e con 100% indichiamo la totale parità.

L’indice calcolato non è influenzato dal livello di sviluppo raggiunto dalle donne nei vari paesi esaminati, ma è costruito per valutare la differenza tra la condizione maschile e femminile in termini di accesso alle risorse e alle opportunità.

 

Dati globali
 
Economia
Istruzione
Salute
Politica
Anno
Posto
Punteggio
Posto
Punteggio
Posto
Punteggio
Posto
Punteggio
Posto
Punteggio
 
2017
82
69,2 %
118
57,1%
60
99,5%
123
96,7%
46
23,4%
 
2016
50
71,9%
117
57,4%
56
99,5%
72
97,4%
25
33,1%
 

Tabella 1

 

Secondo i dati del Report 2017 l’Europa Occidentale è l’area che nel mondo presenta l’indice migliore di parità, superando anche l’America settentrionale. Ma l’Italia è al terzultimo posto nella classifica europea con un valore complessivo del 69,2%, come mostrato in Tabella 2. Dietro di noi ci sono solo Cipro e Malta.

Senza la realizzazione di importanti progetti per il futuro,  da un semplice calcolo utilizzando  i dati del Report, la parità di genere sarà raggiunta per il nostro paese fra 81 anni.

 

Il valore più inquietante, mostrato dal Report, è che le donne presentano un guadagno stimato del 52% rispetto agli uomini, cioè le donne italiane guadagnano complessivamente la metà dei loro concittadini di sesso maschile. Un dato così preoccupante è dovuto a diversi fattori. Infatti il guadagno è il risultato di un calcolo che tiene conto di:

§   Disoccupazione femminile. Le donne occupate e attive sono meno degli uomini.  Nel nostro paese solo la metà delle donne è occupata, 48,8% (dati ISTAT) ben lontana dal 66,8 degli uomini, con una popolazione femminile attiva pari a 54,1% e una maschile del 74,1% (dati ISTAT).

§   Lavoro non retribuito. Ad esempio le donne svolgono 300 minuti al giorno  di lavoro non pagato, a fronte di 100 minuti degli uomini, per attività domestiche, cura di bambini, adulti e anziani della famiglia, volontariato, aiuti informali (dati OECD 2016). Il 71% delle ore di lavoro non retribuito, pari quindi a 50,6 miliardi di ore, è stato svolto da donne. Nonostante che le donne istruite siano sensibilmente più numerose degli uomini.

§   Segregazione orizzontale. Lavori part-time a maggioranza femminile, lavori a basso costo, orari più brevi e meno straordinari.

§   Segregazione verticale. Esiste una discriminazione nelle carriere e negli incentivi. E quindi difficoltà a raggiungere posizioni apicali in ambito sia pubblico sia privato.

 

Tabella 2

Europa Occidentale
 
Nazione
 
 
Posto
 
Punteggio
Islanda
1
87,8%
Norvegia
2
83,0%
Finlandia
3
82,3%
Svezia
5
81,6%
Irlanda
8
79,4%
Francia
11
77,8%
Germania
12
77,8%
Danimarca
14
77,6%
Regno Unito
15
77,0%
Svizzera
21
75,5%
Spagna
24
74,6%
Belgio
31
73,9%
Olanda
32
73,7%
Portogallo
33
73,4%
Austria
57
70,9%
Lussemburgo
59
70,6%
Grecia
78
69,2%
Italia
82
69,2%
Cipro
92
68,4%
Malta
93
68,2[U1] %

Da questa situazione si evince che anche nei luoghi di lavoro dove il personale femminile e maschile prende lo stesso salario, come nel lavoro dipendente pubblico e privato definito dai CCNL, il divario di stipendio esiste.

Naturalmente lavorare meno ore e percepire stipendi più bassi si riflette sulla qualità delle pensioni: le donne ricevono una pensione più bassa rispetto agli uomini.

Secondo dati Eurofund 2016, in Italia il divario costa al nostro paese 88 miliardi di euro (5,7 % del PIL), e 51 miliardi di euro (3,3% del PIL) se si considerano solo le donne attive.

Da quanto descritto si deduce che è essenziale per tutti conquistare le pari opportunità, al fine di realizzare economie inclusive, solidali e dinamiche non a beneficio  di alcuni fortunati ma “Per i molti e non per i pochi”.

Secondo Liberi e Uguali “La parità di salario tra uomo e donna è una priorità assoluta perché rappresenta una delle sfide più importanti per il futuro del Paese”.,

In questo contesto, LEU intende perseguire politiche potenti per la parità di retribuzione uomo donna:

§   realizzare un piano straordinario per l’occupazione femminile allo scopo di abbattere la disoccupazione delle donne,

§   abrogare le leggi di lavoro precario, compreso il Jobs Act e il Decreto Poletti, che comportano lavori a basso reddito e facili licenziamenti  a danno di giovani madri e donne in attesa di un figlio,

§   aumentare il congedo parentale dei padri fino a 15 giorni, che può portare risultati positivi nella divisione del lavoro domestico,

§   facilitare la conciliazione famiglia-lavoro e incrementare i servizi come asili nido e scuole per l’infanzia in ambito pubblico. Infatti, è noto che l’occupazione femminile è più alta nei paesi europei e nelle regioni italiane che offrono maggiori servizi alla famiglia,

§   favorire l'accesso delle donne in posizioni apicali in ambito pubblico e privato, al fine di infrangere quel soffitto di cristallo ancora molto solido.

§   riconoscere a  fini pensionistici il lavoro di cura familiare e di assistenza ai disabili e agli anziani.

 

Liberi e Uguali ha voluto rispondere con proposte politiche efficaci e importanti all’appello fatto dalle donne per accelerare il raggiungimento dell’uguaglianza di genere. L’obiettivo è di dare priorità al conseguimento della parità di guadagno, un imperativo “senza se e senza ma” per la libertà e l’autonomia delle donne.



Rossella Cossu