Continua la denuncia pubblica della nostra Ghisi sul degrado raggiunto dal quartiere a ridosso della Città del Vaticano,a cui concorrono diverse cause dirette e indirette ma su cui mai interviene la mano pubblica per normare una situazione ormai fuori controllo che si scarica sui residenti sempre più ostaggio di queste continue prepotenze e dalle folle dei turisti che si aggirano febbrili per catturare un'immagine e per "consumare" di tutto.Una situazione ormai insostenibile a cui dovrebbero porre riparo il Comune di Roma insieme ai responsabili della Città del Vaticano che non possono ignorare la loro responsabilità indiretta su tutto quanto accade intorno alla loro cittadella.Un concetto di responsabilità a cui il Comune di Roma si è già appellato in situazioni simili,come ad esempio con l'Università degli Studi La Sapienza per il degrado del quartiere di San Lorenzo.
Non dimenticando infine che le proprietà della Chiesa non pagano l'IMU e quindi non concorrono alle spese generali della città di Roma.
Non è più tempo che l'inefficienza delle istituzioni venga pagata,sempre e comunque, dai cittadini !
Domenico Fischetto
Chi o cosa sono le N.C.C.? Sono in generale delle enormi automobili, molto spesso con vetri scurissimi, che si possono noleggiare insieme ai conducenti i quali sono quasi sempre in cravatta e giacca anch’essa scurissima. Le N.C.C. fanno concorrenza ai taxi, possiedono una licenza spesso presa in qualche paesino o piccola città italiana dove è possibile ottenerla facilmente, ma anche senza permesso lavorano sulla piazza di Roma dove turismo e domanda sono maggiori. I tassisti si lamentano per la concorrenza scorretta e forse in questo caso hanno ragione; raramente si riesce a dare ragione a questa categoria di lavoratori perché, di solito, difendono solo dei diritti acquisiti in epoche di “vacche grasse” non pensando minimamente né di essere un servizio pubblico né di confrontarsi con gli altri servizi di taxi nel mondo.
Le N.C.C. non hanno quindi un posto dove “stare”, pertanto stazionano una dopo l’altra in doppia fila in prossimità dei grossi alberghi o delle basiliche, intasando – come se ce ne fosse bisogno– la circolazione più del dovuto. È una bella lotta quella per il diritto alla doppia fila perché lì si sono già posteggiati i pullman che portano i pellegrini a San Pietro oltre alle auto dei commercianti che, da quando sono state create le strisce blu (cioè da una decina di anni circa), sostano le proprie auto di fronte alla vetrine in seconda fila, tutti i santi giorni, ottenendo così di non pagare il parcheggio e di avere la possibilità di spostarla immediatamente nel caso (rarissimo) di vigili scrupolosi. I più furbi si sono fatti dare un’invalidità e quindi riescono ad avere anche un posto riservato.
Ciò naturalmente comporta che i residenti – che avrebbero diritto a un parcheggio gratuito in prima fila –debbano pagare un garage privato perché non c’è più posto per le auto nel quartiere. I garages privati, però, hanno orari di chiusura rigidi e quando succede di tornare tardi la sera si deve portare l’auto in un’altra zona: prese le strisce, presi i bidoni, piene le curve, le fermate d’autobus pure…tutti posti vietati che saranno puntualmente liberati la mattina tra le 7.30 e le 8.00 prima di un eventuale controllo da parte dei vigili e dell’avvento delle auto dei commercianti.
Al confine con il Vaticano
Tutta la zona adiacente a Piazza San Pietro intorno a Porta Cavalleggeri aveva una connotazione fisica e sociale come quartiere fino a qualche anno fa. Ha cominciato a subire delle profonde trasformazioni con l’avvento del Giubileo nel Duemila. I vari lavori urbani realizzati e la trasformazione di molti grossi edifici religiosi in Alberghi -come ad es. la Residenza Madri Pie e la Casa per Ferie Frati Trinitari - hanno espulso dalla zona le funzioni originarie e i servizi di quartiere. La casa delle Madri Pie, infatti, era una scuola elementare dove a mezzogiorno si sentiva il vociare dei bambini all’interno del bel giardino curato, insieme al cannone del Gianicolo.
Il successo del pontificato di Papa Giovanni Paolo II, in buona parte, è dovuto, al suo essere stato primo papa mediatico; è noto che fu il primo pontefice a rilasciare un’intervista televisiva e per di più in aereo. Tale notorietà ha consolidato l’attrazione del Vaticano da parte del mondo a spese del quartiere romano. Il turismo religioso è un tipo di turismo povero che non porta benefici economici alla città. In quegli anni i pullman tutto-incluso che venivano da Cracovia o quelli spagnoli per i neo-beatificati dal papa hanno affollato la zona a ridosso della piazza S. Pietro senza incentivare i consumi. Nelle grandi occasioni il Comune di Roma ha sempre distribuito, almeno, centinaia di migliaia di bottiglie d’acqua gratuite.
Nonostante la costruzione di megaparcheggi i pullman dei turisti scaricano i passeggeri in prossimità di Porta Cavalleggeri, spesso sostando lì con i motori accessi aumentando così l’inquinamento atmosferico e acustico.
Sull’asse di via di Porta Cavalleggeri fino a Piazzale Gregorio VII gli affitti degli immobili (quasi tutti sono di proprietà del Vaticano) sono cominciati ad aumentare in maniera esponenziale così che i negozi – servizi di quartiere – sono stati a poco a poco mandati via: cartolerie, lingerie, oggetti sanitari, gioielleria-orologeria, cioccolateria, ma anche frutta e verdura all’ingrosso) hanno chiuso o si sono trasferiti altrove lasciando posto a pizzerie, gelaterie, bar….attualmente in quella strada ci sono più bar di sanpietrini!
Il turismo cosiddetto mordi-e-fuggi porta anche a una dequalificazione della qualità dei prodotti che sono venduti una tantum (spesso anche scaduti) perché non c’è nessuno stimolo a far sì che il cliente torni. Tanto “domani è un altro giorno” e altri turisti.
Gli edifici residenziali (quei pochi stabili non di proprietà del Vaticano, di preti o suore) hanno aperto bed & breakfast, case-vacanze e quant’altro a discapito della cura degli edifici dove ascensori bloccati, chiavi spezzate nei cancelli e sporcizia negli ascensori sono un dato di fatto quotidiano. È inutile forse accennare ai cassonetti dell’immondizia strabordanti nonostante che a cinquanta metri si trovi la sede dell’AMA con i famosi presepi dei Netturbini che tutti i papi conservatori hanno visitato. Papa Francesco ancora no.
L’ultimo scempio di questa zona: l’Istituto Madri Pie nel curatissimo triangolo verde tra via Alcide De Gasperi, Via Stazione di S. Pietro e Via Alessandro III sta costruendo un edificio ex-novo. Iniziati i lavori a metà marzo, sono stati già buttati giù una casupola di legno, probabilmente luogo degli attrezzi dei giardinieri, cinque alberi e smantellato il verde. Dopo l’interessamento di alcuni residenti presso il Municipio è apparso un cartello che oltre ai dati della DIA (da verificare) mostra i renderings del progetto: un enorme edificio in cemento armato su tre piani (2 più un seminterrato) con inclusa una cappella.
È mai possibile che l’ampliamento del“Piano Casa” (regalo dell’accoppiata Berlusconi-Polverini) possa aver contemplato anche edifici di totale nuova costruzione? Può essere che il micro-clima dell’ambiente creato da quel delizioso giardino sia spazzato via da interessi economici delle suore che, peraltro non pagano neanche l’IMU?
Il cantiere si è fermato per un paio di giorni perché continuando a scavare nel giardino delle suore, sono stati trovati dei resti, forse archeologici, poi rinterrati. Sono stati allertati l’Assessore all’Urbanistica, il Municipio XIII e vari Enti e Associazioni, di cui stiamo aspettando gli esiti: “Salvaguardiamo il paesaggio”, “Italia Nostra”, “Progetto Roma” e “Cittadinanza attiva”.
Partecipazione
Nonostante questo quadro drammatico, o forse proprio per questo - particolarmente incombente in questa zona ma che riguarda molti quartieri di Roma - spuntano in alcuni quartieri romani occasioni sociali in cui è palese la voglia di community, il desiderio di solidarietà, di neighborhoods. Nascono così le social streets spesso prendendo spunto dai social networks. A Roma la prima che si è costituita è quella di Via Pavia, strada situata nel quartiere intorno a Piazza Bologna, con un progetto di cittadinanza attiva portato avanti dalle famiglie dei residenti. Questo esempio vede la luce grazie all’interessamento dei cittadini della zona che vogliono prendersi cura, in prima persona, delle aree verdi, dei beni pubblici e dei progetti di riqualificazione del quartiere.
Sono stata invitata due sere fa a un aperitivo in piazza Santa Maria delle Fornaci organizzato dal gruppo Facebook“Residenti Quartiere Fornaci Social Street”: un gruppo di più di cento membri ben organizzato che, con spirito di campeggiatore, in quattro e quattr’otto ha allestito tavolini con tovaglia rossa e tante cose da bere e varie da sgranocchiare. È quasi commovente vedere la voglia di vivere (o meglio di sopravvivere?) di queste persone e l’amore che hanno per ogni dettaglio urbano. Qualche settimana fa hanno piantato un albero e tanti fiorellini in un piccolo triangolo di verde, dove i proprietari di cani li indirizzavano per i loro bisogni. In modo del tutto semplice e volontario è stata messa in atto “la cura” delle proprie piazze e strade da parte della cittadinanza del quartiere. Ciò che dovrebbero fare i servizi municipali – garantire la pulizia e la cura – viene praticato da abitanti di buon(issim)a volontà con amore, senso del decoro urbano e dignità.
Concludendo
Mi chiedo perché in Italia solo così le cose funzionano? Perché, ad esempio, gli ospedali romani vanno bene solo se c’è una caposala “de’ core” che crea i nessi tra i settori specialistici non dialoganti? Perché ciò che dovrebbe funzionare non va e invece ciò che nasce spontaneo e volontario si? Non è così in Europa, non in Francia né tantomeno in Germania. A nessuno verrebbe in mente di supplire una carenza comunale o statale.
Delle volte ci vorrebbe poco per ridurre il degrado. Ad esempio, siamo sempre più invasi dai mozziconi di sigarette nonostante moltissimi italiani abbiano smesso di fumare e la moda delle sigarette elettroniche stia dilagando. I mozziconi di sigarette sono ovunque: nelle strade, nelle piazze, lungo i marciapiedi, nei giardini. Molti amministratori pubblici protestano e chiedono aiuto ai cittadini con il pretesto che non riescono a raccoglierli tutti e così la città non sarà mai pulita. Siamo sommersi ovunque da quelle maledette cicche che gettiamo a terra – e per di più quasi sempre accese - senza preoccuparci mai dei danni che procuriamo e dei rischi che facciamo correre agli altri. È sicuramente un ennesimo segno di inciviltà di noi cittadini e di impotenza delle amministrazioni comunali di fronte al caos sporcizia. Eppure basterebbe veramente poco per fare dei progressi significativi. Ad esempio, mettere dei visibili oggetti di design come contenitori-posaceneri sarebbe una buona idea che alcune città, non italiane, hanno già avuto. A quel punto non ci sarebbero scuse e andrebbero sanzionati in modo severo tutti quelli che non buttano le cicche nei posaceneri.
Ghisi Grütter
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