Senato, golpe bianco contro il referendum sulle riforme costituzionali
Per soli 4 voti il Senato approva in terza lettura, a maggioranza assoluta con 218 voti, il ddl costituzionale che istituisce il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali.
E' la seconda deliberazione del Senato. L'approvazione finale spetta ora alla Camera, che ha gia' votato il 10 settembre. Per quattro voti in più viene precluso il ricorso al referendum, infatti il non raggiungimento dei due terzi, che lo avrebbero permesso, presupponeva che i voti favorevoli fossero meno di 214. La maggioranza dei due terzi a Palazzo Madama e' di 214 senatori e il ddl costituzionale e'passato con soli 218 voti. Quindi si e' riusciti ad evitare il referendum costituzionale per soli 4 voti. Sulla carta (e senza contare il gruppo Misto, in cui siedono anche i senatori a vita) sommando Pdl, Pd, Sc, Gal e Autonomie, la maggioranza avrebbe dovuto avere 239 voti. Ne sono mancati cosi' 19. Un presidio di protesta è in corso in queste ore proprio al Senato.
Per Paolo Ferrero, segretario del Prc, siamo di fronte a "un vergognoso atto di forza del governo dell’inciucio che seppellisce la lotta di Liberazione. La modifica dell’articolo 138 non è un atto ordinario: rappresenta la demolizione del cardine della nostra Costituzione così come è stata pensata dai costituenti dopo la lotta di liberazione dal nazifascismo”. “Questo atto stravolge la Costituzione – aggunge Ferrero - trasformandola da quadro rigido garante della civile convivenza in flessibile strumento nelle mani di questa maggioranza politica. L’unica parola che definisce una simile forzatura è golpe bianco; un cambio di regime dall’alto, che avviene alle spalle e sulla testa del paese. Che non potrà esprimersi con un referendum su questo stravolgiment”.
Stefano Rodotà, proprio stamattina, aveva lanciato proprio stamattina dalle colonne di Repubblica un ultimo appello a non approvare la riforma costituzionale con una maggioranza di due terzi per consentire un referendum. ''Con una accelerazione violenta e senza una vera discussione pubblica nel 2012 – aveva scritto Rodotà - e' stata approvata una modifica dell'articolo 81 della Costituzione, prevedendo il pareggio di bilancio. Allora si chiese invano ai parlamentari di non approvare quella riforma con la maggioranza dei due terzi, per consentire di promuovere eventualmente un referendum. La ragione era chiara. Si parla molto di coinvolgimento dei cittadini e si dimentica che quella maggioranza era stata prevista quando la legge elettorale era proporzionale, dando cosi' garanzie in Parlamento che sono state fortemente ridotte dal passaggio al maggioritario''. ''Oggi la stessa richiesta viene rivolta ai senatori che si accingono a votare in seconda lettura la modifica dell'articolo 138. Vi sara' tra loro - si chiede Rodotà - un gruppo dotato di sensibilita' istituzionale che accogliera' questo invito, affidando anche ai cittadini il giudizio sulla sospensione di una procedura di garanzia che altri, in futuro, potrebbero utilizzare invocando qualche diversa urgenza o emergenza? Secondo Rodotà non basta, infatti aver previsto un referendum alla fine dell'iter della riforma finale, “se rimane un dubbio sulla correttezza del modo in cui quel cammino e' cominciato''.
Contro il voto al Senato si è pronunciata anche la Cgil, che "non puo' che confermare la propria contrarieta' ad un provvedimento che vuole promuovere un processo di riforma della Costituzione, introducendo un procedimento speciale che ignora quanto disposto dalla stessa Carta per le modifiche costituzionali, derogando alla normale procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione''. Il giudizio viene dal segretario confederale Danilo Barbi, che assicura che la Cgil "contrastera' le modifiche anche con lo strumento del referendum".
La Cgil, infatti, "non si sottrarra' dal contrastare nel merito, anche con lo strumento referendario, ogni ipotesi di modifica del
nostro ordinamento che tradisca la perfetta funzionalita' dell'architettura istituzionale o che miri allo stravolgimento dell'ordinamento della Repubblica, rompendo l'imprescindibile equilibrio di poteri tra governo e parlamento, come avverrebbe con il semipresidenzialismo o il premierato, e limitando la partecipazione plurale e la rappresentanza democratica''
E' la seconda deliberazione del Senato. L'approvazione finale spetta ora alla Camera, che ha gia' votato il 10 settembre. Per quattro voti in più viene precluso il ricorso al referendum, infatti il non raggiungimento dei due terzi, che lo avrebbero permesso, presupponeva che i voti favorevoli fossero meno di 214. La maggioranza dei due terzi a Palazzo Madama e' di 214 senatori e il ddl costituzionale e'passato con soli 218 voti. Quindi si e' riusciti ad evitare il referendum costituzionale per soli 4 voti. Sulla carta (e senza contare il gruppo Misto, in cui siedono anche i senatori a vita) sommando Pdl, Pd, Sc, Gal e Autonomie, la maggioranza avrebbe dovuto avere 239 voti. Ne sono mancati cosi' 19. Un presidio di protesta è in corso in queste ore proprio al Senato.
Per Paolo Ferrero, segretario del Prc, siamo di fronte a "un vergognoso atto di forza del governo dell’inciucio che seppellisce la lotta di Liberazione. La modifica dell’articolo 138 non è un atto ordinario: rappresenta la demolizione del cardine della nostra Costituzione così come è stata pensata dai costituenti dopo la lotta di liberazione dal nazifascismo”. “Questo atto stravolge la Costituzione – aggunge Ferrero - trasformandola da quadro rigido garante della civile convivenza in flessibile strumento nelle mani di questa maggioranza politica. L’unica parola che definisce una simile forzatura è golpe bianco; un cambio di regime dall’alto, che avviene alle spalle e sulla testa del paese. Che non potrà esprimersi con un referendum su questo stravolgiment”.
Stefano Rodotà, proprio stamattina, aveva lanciato proprio stamattina dalle colonne di Repubblica un ultimo appello a non approvare la riforma costituzionale con una maggioranza di due terzi per consentire un referendum. ''Con una accelerazione violenta e senza una vera discussione pubblica nel 2012 – aveva scritto Rodotà - e' stata approvata una modifica dell'articolo 81 della Costituzione, prevedendo il pareggio di bilancio. Allora si chiese invano ai parlamentari di non approvare quella riforma con la maggioranza dei due terzi, per consentire di promuovere eventualmente un referendum. La ragione era chiara. Si parla molto di coinvolgimento dei cittadini e si dimentica che quella maggioranza era stata prevista quando la legge elettorale era proporzionale, dando cosi' garanzie in Parlamento che sono state fortemente ridotte dal passaggio al maggioritario''. ''Oggi la stessa richiesta viene rivolta ai senatori che si accingono a votare in seconda lettura la modifica dell'articolo 138. Vi sara' tra loro - si chiede Rodotà - un gruppo dotato di sensibilita' istituzionale che accogliera' questo invito, affidando anche ai cittadini il giudizio sulla sospensione di una procedura di garanzia che altri, in futuro, potrebbero utilizzare invocando qualche diversa urgenza o emergenza? Secondo Rodotà non basta, infatti aver previsto un referendum alla fine dell'iter della riforma finale, “se rimane un dubbio sulla correttezza del modo in cui quel cammino e' cominciato''.
Contro il voto al Senato si è pronunciata anche la Cgil, che "non puo' che confermare la propria contrarieta' ad un provvedimento che vuole promuovere un processo di riforma della Costituzione, introducendo un procedimento speciale che ignora quanto disposto dalla stessa Carta per le modifiche costituzionali, derogando alla normale procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione''. Il giudizio viene dal segretario confederale Danilo Barbi, che assicura che la Cgil "contrastera' le modifiche anche con lo strumento del referendum".
La Cgil, infatti, "non si sottrarra' dal contrastare nel merito, anche con lo strumento referendario, ogni ipotesi di modifica del
nostro ordinamento che tradisca la perfetta funzionalita' dell'architettura istituzionale o che miri allo stravolgimento dell'ordinamento della Repubblica, rompendo l'imprescindibile equilibrio di poteri tra governo e parlamento, come avverrebbe con il semipresidenzialismo o il premierato, e limitando la partecipazione plurale e la rappresentanza democratica''
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