11 dicembre 2013

RELAZIONE DI LA ROCCA-NUNZIATA,GDL CULTURA,ASSEMBLEA GENERALE PROGETO ROMA


ProgettoRoma

 

Gruppo di Lavoro CULTURA

 

 

 

TRA MEMORIA E CONTEMPORANEITA'

 

Cultura, Patrimonio culturale e politiche di valorizzazione. Qualificazione e sviluppo del Turismo

 

A. "Quale cultura. Quale sviluppo?"

 

Non è più ignorabile né  procrastinabile l’esigenza di raccordare, organicamente e funzionalmente, le politiche culturali e le politiche di sviluppo, facendo "discendere" le seconde dalle prime.
In Italia, a differenza di quanto avviene in altri paesi ad ordinamento istituzionale e partecipativo da tempo consolidato (Francia, G.B., Paesi scandinavi,.... tanto per limitarci all'Europa), le due anzidette linee d'azione marciano separatamente, ignorandosi reciprocamente. A questo insolito comportamento si può ricondurre quella politica che ha dato luogo ed avallato i pesanti  tagli, lineari o meno, sulla formazione, sulla ricerca, sulle Istituzioni culturali e via dicendo. Un'aberrazione, evidentemente, poiché, proprio nei momenti di crisi si deve puntare sul capitale umano e sull'innovazione, sulla razionalizzazione e, soprattutto, sulle idee.

E' la qualità dunque che genera sviluppo. E da dove proviene questa qualità? Non certo dai tagli anzidetti, ma dalla storia. dalla tradizione, dall'identità, dal patrimonio culturale che ci viene tramandato, attivamente vissuto ed interpretato.

Nella difficile congiuntura che stiamo vivendo e che introduce nuovi paradigmi strutturali destinati , con tutta evidenza, a permanere per un durevole periodo storico, il patrimonio culturale rischia di incorrere in una marginalità di duplice natura: da una parte si corre l’alea che venga considerato alla stregua di una delle tante comuni merci, utili ad alimentare un lucroso consumo di massa, dall’altra, si fa strada il timore di un progressiva involuzione del suo profondo significato di testimonianza che guarda al  futuro. La dissolvenza della memoria e la progressiva perdita di identità dei luoghi e delle collettività che vi insistono, provocata da una omologazione povera di valori riconosciuti e condivisi, appare in ultima analisi ascrivibile alla crescente frammentazione e dispersione e, quindi, al susseguente abbandono, dei codici storico-critici che hanno caratterizzato l’evoluzione di realtà ancorate a riferimenti saldi su cui far perno nei momenti di crescita ma, soprattutto, in quelli di precarietà ed incertezza. Riferimenti offerti dalla cultura trasmessa attraverso le sue espressioni, materiali ed immateriali,  viventi (in quanto attraversate da vibrazioni variamente percettibili), del passato e della contemporaneità, materializzate nelle opere, nelle tracce e nei simboli, così come nelle attività artistiche e culturali in genere (museali, teatrali, audiovisuali, ecc.), che, ad una attenta lettura, possono consentire di interpretare, spiegare, successi o insuccessi, pratiche di buon governo o crisi cicliche economico-sociali.

Malauguratamente l’interdipendenza tra politiche culturali e politiche di sviluppo sembra ormai irrimediabilmente venir meno, come nel caso italiano. E ciò ha arrecato, e sta arrecando, notevole pregiudizio alle politiche pubbliche di sviluppo, prive di ispirazioni ideali e afflato sociale, ed al sistema imprenditoriale che avrebbe potuto giovarsi di una implementazione coerente e sostenibile del patrimonio culturale, sia sul versante dell’offerta, che su quello della sensibilizzazione, istruzione e ricerca. Si tende sempre più, nel settore, a vivere di rendita, nell’illusione, e questo avviene soprattutto in Italia, ma non solo, che la dovizia del patrimonio culturale di cui si dispone non ponga problemi di saturazione, che non ci si debba preoccupare soverchiamente di mantenere ed implementare la salvaguardia e la trasmissibilità del bene. In tale contesto, i tagli all’istruzione ed alla ricerca, ai Centri culturali (che hanno portato persino alla riduzione delle ore di insegnamento della storia dell’arte in un Paese che con l’arte ci vive e ci convive) hanno gravemente lesionato gli strumenti atti a sviluppare innovazioni e professionalità idonee a fronteggiare i momenti di difficoltà e disagio sociale, potenzialmente degenerativi, che stiamo attraversando.

Oggi la cultura ed il patrimonio culturale sono entrati a far parte dei fattori di produzione, alla stregua di tanti altri settori industriali e imprenditoriali. Spicca tra questi quello del turismo. Ma  non si considera il "valore aggiunto" posseduto da questa risorsa, se viene assunta come fattore di civilizzazione e di ispirazione politica.

 Chi forse, più di altri, si è avvicinato a questa  “filosofia” è stato Renato Nicolini, cui oggi va rivolto un cenno di riconoscenza e di omaggio. La sua "Estate Romana", il suo effimero, portano i segni inconfondibili di una adesione aperta ed innovativa della coniugazione tra cultura e sviluppo.
Le sue trovate sono state divertenti ma non chiassose, mai sguaiate. Stimolanti, impegnate, ma non tediose. Inclusive. Raffinate ma non elitarie. Rionali ma aperte al mondo, mai chiuse in se stesse, con un indotto che, allora, propose un modello di moderna "industria culturale”. Oggi, di quella esperienza è stato raccolto ben poco. Per ignoranza, per insensibilità o, peggio, per non modificare consolidate "rendite di posizione" di consorterie e corporazioni. Oggi è rimasta una "movida" senza ispirazione. Scomposta e spesso violenta.

Quale cultura, quale sviluppo?” diviene inoltre paradigma della possibilità di far coesistere virtuosamente competizione globale e sviluppo locale. Uno sviluppo, quest’ultimo, da vedere pertanto come argine al disorientamento provocato dalla pressione dei sistemi finanziario-commerciali a scala planetaria e come leva per promuovere filiere produttive di elevata convenienza per tipicità e costo. Il patrimonio culturale è altresì la chiave per evidenziare e sostenere il tessuto imprenditoriale ad alto contenuto tecnologico ed innovativo che si muove a supporto delle attività di manutenzione,  catalogazione, conservazione e digitalizzazione e delle inerenti esigenze di gestione; un tessuto quindi in espansione, ad alto valore aggiunto, che può offrire significative opportunità sviluppo economico e di qualificati sbocchi occupazionali.

Solo nelle ultime fasi dell'aspra  campagna elettorale, appena terminata,  si può forse intravedere uno spiraglio, un’apertura alla considerazione del valore non esclusivamente commerciale ma sopratutto “politico” della cultura. Sembrerebbe ovvio e persino  banale affermarlo, dal momento che tutte le grandi civiltà si sono ispirate a modelli culturali di matrice politica, antropologica, religiosa. Ma in realtà tanto ovvio non è dal momento che, solo adesso, da tanti settori della società, dell’economia, della stessa politica, e quindi non solo dal mondo delle istituzioni culturali, viene rilanciata con grande evidenza la proposta di istituire un Ministero della Cultura, volto a darle centralità, sul modello francese.

 

B. Quale idea di Roma?

 

Se quanto detto vale per l’intero Paese, vale ancor più per Roma.

Roma, più di ogni altra città al mondo, vanta un "continuum" di segni e testimonianze di una bimillenaria vicenda sociale, religiosa e politica: dalle origini allo sviluppo e decadenza di un impero "globale", al periodo paleocristiano e medioevale, alle grandiose espressioni rinascimentali e barocche, architettoniche ed artistiche, dovute in gran parte  allo splendore ed al mecenatismo di una corte pontificia dotata, allora, di grande sensibilità estetica e culturale.
Detto “continuum” si è interrotto e non è più leggibile ne come "forma urbis" ne come percezione di identità da parte dei cittadini e dei visitatori. A Roma è in atto lo svilimento dei suoi connotati semantici. Privi di conoscenze avanzate ed incapaci di decrittare i processi storici e formulare le prospettive che ne discendono, i suoi attuali amministratori rincorrono quotidianamente un consenso destrutturato e destrutturante, basato su interessi di parte e di corto respiro.

 

La situazione generale di Roma, infatti, dopo anni di tale amministrazione, restituisce un quadro di totale degrado e svilimento caratterizzato da:

la manomissione sistematica del Centro Storico ridotto a mera vetrina di un commercio sempre più sciatto e invasivo;

la mancanza di regole certe e la tracotante invadenza dell'interesse privato di categorie “protette” a discapito dell'interesse pubblico; 

il degrado, l'abbandono, la totale mancanza di identità di periferie che continuano a crescere con la perdita di ettari su ettari di agro romano;

la mancanza di una visione unitaria per la ridefinizione, il recupero e la valorizzazione del Centro Storico e di tutta la Città Storica, così come delle aree periferiche di espansione, attraverso la creazione di nuove identità  e di nuovo patrimonio.

Tutto questo, e non solo, rappresentano aspetti riconducibili ad un'unica realtà che testimonia della profondissima trasformazione antropologica subita da questa area metropolitana e dalla collettività che su di essa insiste.


Roma sta divenendo sempre più ingovernabile e provinciale, perdendo di fatto la possibilità di essere una capitale che dialoga con l'Europa in quanto depositaria delle principali fonti d'ispirazione della civiltà occidentale, che dovrebbe tenere alto questo prestigio.

Appare  impensabile che qualunque “Idea di Roma”, non faccia  un puntuale ed esplicito riferimento all'Europa E' difficile che Roma si proponga e si muova come “faro” internazionale senza recepire le culture, le politiche ed  i principi europei e senza contribuire al loro sviluppo. Alla costruzione di un'Europa "politica" e "solidale".

In quest’ottica, va posta  la concezione di” Roma città europea e mediterranea” nonché città leader  mondiale nel campo del management del “Cultural Heritage”,, sede di alte scuole internazionali specializzate nel settore, di Agenzie internazionali di promozione, divulgazione, coordinamento di risorse di provenienza pubblica e privata, nazionali ed internazionali (Venezia è dotata di un “Ufficio Cultura” UNESCO non si vede perché la capitale non possa essere sede di analogo ufficio).

I principi fondanti di inclusività, di partecipazione dal basso, di bellezza, di sostenibilità che rappresentano i pilastri di HORIZON 2020 devono diventare il primo riferimento sul quale impostare qualsiasi progetto per Roma.


Dovrebbe essere quindi il Patrimonio Culturale, uno dei primi, se non il primo, motore dello sviluppo di Roma.

 

Lo è già in parte “per forza di cose”: basti pensare all’’indotto turistico. Ma manca una strategia tecnico-politica che imprima questa “cifra”  all’insieme delle attività che danno vita all’economia ed al sistema sociale della città.

Si tratta di dar corpo ad attività innovative, ad alto contenuto tecnologico, trasferendo i concetti che sono alla base della visione di smart city verso una Historic Smart City. Oggi  il patrimonio culturale (da quello archeologico a quello librario ecc.)  richiede una manutenzione, una gestione, un’attività di comunicazione, marketing, ecc. basate su sistemi tecnologici avanzati,  collegati a strutture formative e di assistenza tecnica di alta qualità e  “poli di eccellenza internazionali”.

 

La coniugazione della cultura con la tecnologia è una delle più vitali sfide del nostro tempo, che Roma non può eludere.

L’inclinazione dell’asse della filiera tecnologica della “Tiburtina Valley”, sia pur parzialmente ma organicamente, verso il  patrimonio culturale potrebbe forse dare una prima, efficace, coerente risposta a questa sfida.

 

C. Quale legame con il turismo?

 

Lungi dal voler mercificare o privatizzare il patrimonio culturale è indubbio che, specie per la città di Roma, detta risorsa dispieghi il suo potenziale a sostegno di una economia legata al fenomeno turistico ed alle sue evidenti ed essenziali  ricadute sul piano dell’occupazione e dell’articolazione sociale ed imprenditoriale. Non si tratta qui di intercettare il segmento del cosiddetto “turismo culturale”, ma di acquisire la consapevolezza che, salvo alcune aberrazioni, ogni attività turistica – il viaggio, la vacanza, la scoperta dell’altrove – ha un carattere culturale e pedagogico in quanto accresce  la conoscenza e la  personalità del visitatore e lascia traccia nell'immaginario dei residenti.

 

Guardando al   potenziamento ed alla riqualificazione del già cospicuo indotto turistico, urge la messa in campo di complessi ed avanzati interventi  per accogliere, senza troppi indugi e senza perdere la battuta rispetto ai nostri concorrenti euro-mediterranei, il già consistente e rapidamente crescente flusso di visitatori provenienti da Paesi che sono le nuove potenze mondiali (Russia Cina, , India, Brasile, Sud Africa,ecc.), ma a anche dai Paesi emergenti.

Roma, per tutto quel che si è detto, per la sua stessa posizione geografica, per il “racconto” del suo unico ed impareggiabile vissuto dovrebbe divenire la “prima meta” di un viaggio  oltre i propri  confini, nell’altrove. Come lo è stata Londra, come è tuttora Parigi. 

L’incontro con detti nuovi turisti potrebbe aprire ai nostri operatori nuovi mercati per viaggi e vacanze nei loro paesi di provenienza, dotati anch’essi di inestimabili, insoliti e misconosciuti patrimoni culturali. Si potrebbero ad esempio attivare delle proficue joint venture.

 

In questo quadro, per ogni Municipio( o ciascuna delle nuove entità politico-amministrative decentrate che scaturiranno dalla prossima trasformazione di Roma in “Città Metropolitana”), si potrebbe pensare a piccoli progetti con un “format” analogo ma con contenuti specifici.

Senza al momento dilungarsi su tali iniziative (inerenti peraltro alla grande tematica delle periferie,)  si  potrebbe mirare a  fare uscire dal tradizionale, standardizzato e spesso scontato  circuito, i turisti; almeno quelli più “curiosi” ed interessati  a comprendere come vive realmente un Paese, una Metropoli che, anche nella più lontana periferia mostra testimonianze storico-artistiche belle ed intriganti e talora sorprendenti paesaggi urbani ed ambientali. Sarebbe interessante anche per i residenti creare momenti di  incontro e scambio di idee con gruppi di turisti e intrattenerli con eventi, visite guidate, conferenze illustrative ecc.

Anche attivando attività commerciali dedicate o agili strutture di accoglienza “low cost”

 

 

D. Quali progetti?

 

Le proposte di seguito avanzate non intendono assorbire  le molteplici sfaccettature dell’argomento trattato ma tendono a configurarsi come “Progetti esemplari”, sul piano dei contenuti e metodologico, sugli aspetti istituzionali ed amministrativi, sulla sostenibilità finanziaria.

 

Tenuto conto che il patrimonio culturale, non si esaurisce nell’edificato storico o nelle preesistenze “fisiche” del passato, ma comprende anche le risorse proprie della cultura immateriale (le arti visive, il patrimonio archivistico e librario, il patrimonio sonoro e audiovisivo, ecc.)  i sei progetti individuati vanno considerati come espressione delle  priorità assunte da Progetto Roma, sia perché ritenuti strategici sia in quanto concretizzabili a tempi brevi. Non è esclusa quindi alcuna altra opzione, alcuna possibilità di integrare “in progress” il quadro delineato.

Ognuno di questi  progetti andrà  presumibilmente articolato in subprogetti, in modo da estenderne la riverberazione sull’intero sistema territoriale romano.

In linea di massima, ci si trova di fronte ad operazioni relativamente  “low cost” perché si tratta prevalentemente di interventi di razionalizzazione o di ricucitura o di integrazione dell’esistente. Più che  fondi  servono capacità politiche, in primo luogo,ma anche professionali, tecniche e gestionali.

Si tratta naturalmente di elaborazioni frutto di scelte meditate, ma solo delineate poiché su dette proposte verrà aperto un confronto tecnico e politico con i destinatari degli interventi : gli operatori, le categorie, le aggregazioni sociali maggiormente interessati. Un’attenzione particolare verrà dedicata alla copertura finanziaria, ai tempi ed ai piani di realizzazione.

 

Progetto 1. “Patrimonio archeologico

 

L’incommensurabile patrimonio archeologico di Roma si estende per tutta la delimitazione amministrativa. Questo impone una selezione e scansione degli interventi che li renda realisticamente fattibili, alla luce delle capacità tecnico progettuali e della sostenibilità finanziaria. Naturalmente, senza trascurare l’assoluta importanza del patrimonio dislocato nelle fasce urbane più distanti dal cosiddetto “centro storico”, da trattare peraltro all’interno di una dialettica con i Municipi.

Ai municipi occorre attribuire e riconoscere una specifica identità storico-sociale che stimoli nei residenti il senso di appartenenza ad una realtà urbana di cui sentirsi protagonisti e parte integrante. Il patrimonio culturale, storico- artistico, paesaggistico, letterario, materiale ed immateriale, tramandato dal passato o ancorato alla contemporaneità (ad esempio, quello urbanistico-architettonico) dovrebbe essere il perno intorno al quale sviluppare gli anzidetti valori di cittadinanza.

 

In quest’ottica, il focus di questo intervento è polarizzato su un ideale continuum che va dai fori all’Appia antica.

Sotto il profilo funzionale, ferma restando l’unitarietà, l’operazione è articolata in due subprogetti.

 

a) Realizzare il Parco dell'Appia Antica

L’unica, grande proposta sempre presente all’interno della vicenda della Roma moderna è quella del Parco dell’Appia Antica, una realizzazione in grado di ridisegnare la fisionomia dell’intero versante sud-est della città. Se ne è cominciato a parlare dal lontano 1887 con un voto del Consiglio comunale, poi diventato legge,  che prevedeva una serie di interventi da eseguire in una grande area urbana a ridosso del percorso da Piazza Venezia fino a Porta Capena, Porta Latina e Porta San Sebastiano. Poi, circa quaranta anni più tardi, fu avanzata anche la proposta che questo insieme integrato di verde e di persistenze archeologiche dovesse essere prolungato oltre le mura nella campagna circostante fino ai Castelli Romani. Ma nè l’una nè l’altra hanno avuto un grande successo e, a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, si è avviata una devastante campagna di aggressione a quel prezioso territorio che, è bene ricordarlo, appartiene ancora oggi per la stragrande parte a privati, il che rende impari la battaglia che sostiene giornalmente la Soprintendenza. Una battaglia, peraltro, che non potrà mai essere vinta fino a che non si affiancherà alla logica della difesa, il cui unico strumento è il vincolo, quella dell’attacco con l’avvio di un progetto di gestione pubblica dell’intero comprensorio, a partire dal “Piano del Parco Regionale dell‘Appia Antica, adottato fin dal 2002 ma mai approvato dalla Regione Lazio.

 

b) Realizzare il “Progetto Fori

Nel cuore dell’area urbana di Roma, si trova un’imponente area archeologica che va dal Teatro di Marcello, al Circo Massimo, al Palatino, al Colosseo, al Celio, al Colle Oppio, ai Fori Imperiali. Sicuramente la più vasta e importante area archeologica del mondo. Il dibattito su come trattare questa preziosa parte del centro storico di Roma è aperto fin dal tempo della lacerazione prodotta dalla costruzione, tra il 1931 e il 1933, di Via dell’Impero. Nel tempo, le posizioni circa le soluzione da adottare sono state diverse e contrapposte, in particolare tra archeologi e architetti, e ne è derivato che non si è fatta che una blanda e un po’ patetica chiusura domenicale al traffico tra Piazza Venezia e il Colosseo. La nuova amministrazione di Roma Capitale deve porre la questione come una di quelle centrali del suo mandato, ripartendo dal piano dell’intera area archeologica predisposto, ormai quasi trenta anni fa, da Benevolo, Cagnardi e Gregotti, noto come il “Progetto Fori”. Da quel progetto occorre ripartire, per dare avvio ad una campagna sistematica di scavi e per costruire un sistema di relazioni tra quello straordinario patrimonio archeologico e il suo intorno, rendendo pervasiva una visione di Roma che costruisce il suo futuro di città post-moderna sulle spalle del suo imponente passato.

Progetto 2. “Sistema museale ed istituzioni artistiche”

 

Il circuito museale romano di competenza comunale è interamente gestito da Zetema Progetto Cultura, una s.p.a. al 100% di proprietà di Roma Capitale. Zetema funziona con Presidente di nomina politica, un Amministratore Delegato e un Consiglio di Amministrazione politicamente controllato. Quando viene eletto un nuovo Sindaco questi nomina il nuovo Presidente e quindi cambia l’indirizzo di gestione, ma Zetema rimane comunque la “longa manus” di ogni giunta. Di fatto Zetema - istituzione valida per tutte le stagioni – ha esautorato la Sovraintendenza comunale, senza peraltro dichiarare al suo interno le competenze tecniche necessarie. Sindaci e assessori, di destra e di sinistra, hanno preso l’abitudine di delegare a Zetema la gestione culturale romana, bypassando l’organo istituzionale e tecnico competente. Il risultato è che Zetema ha acquistato potere decisionale su mostre, musei, aree archeologiche e progetti urbani (vedi ad esempio l’abbattimento del muretto dell’Ara Pacis, progettato e messo in gara da Zetema su input del Sindaco). Ma accanto ad un “gestore” forte deve sussistere una Sovraintendenza altrettanto autorevole e un Assessorato all’altezza di una Capitale culturale europea.  E qui la soluzione sta nella nomina di personalità di riconosciuta competenza, autorevoli, dotati di idee, ma soprattutto in grado fronteggiare gli interessi “particolari” che oggi spingono le scelte dell’Amministrazione cittadina. Peraltro solo una politica culturale di ampio respiro, di livello internazionale, è in grado di attirare su Roma capitali privati. Al contrario, la Giunta uscente ha de-finanziato sia il settore Restauri che l’Ufficio Mostre della Sovraintendenza di Roma Capitale, con il risultato che Roma affronterà i duemila anni dalla morte di Augusto con il Mausoleo del suo primo imperatore in disfacimento e che le uniche mostre che si tengono nel circuito museale sono quelle che, indipendentemente dalla loro qualità, arrivano già auto-finanziate. Con quale ricaduta sulla qualità è sotto gli occhi di tutti.

 

 Progetto 3. “HT per la cultura ed il turismo”

 

Il progetto Roma Digitale rimane una delle opere incomplete e forse è da qui che dovrebbe ripartire il piano di crescita dei servizi digitali che possono ruotare attorno alla cultura. Servizi a valore aggiunto ma anche servizi turistico informativi, servizi professionali a pagamento e servizi free. La rete a larga banda e la multicanalità rappresentano sempre di più il fulcro per lo sviluppo dell'economia cittadina che parte dal suo patrimonio culturale. I tanti progetti che si sono intercalati, il distretto dei beni culturali, il distretto del digitale, le iniziative di Roma digitale, rappresentano una serie di piccoli e frammentati progetti pilota che non sembrano rispondere ad una visione di un grande progetto che a partire dalla rete e dai servizi digitali e dai contenuti digitali possa trasformare il patrimonio culturale della capitale in un valore concreto ed in una fonte di sviluppo per il tessuto produttivo della città.

La Tiburtina Valley ha subito una graduale trasformazione dal mercato della difesa e dello spazio con il Tecnopolo Tiburtino si e' venuto a sviluppare un aggregato di eccellenze industriali nel settore dell'audiovisivo e dei servizi digitali. Un settore che vede nella rete di imprese un punto di forza ma che puo' trovare un forte impulso dall'uso delle tecnologie e delle competenze alsettore della digitalizzazione e dei servizi attinenti il patrimonio culturale. La concentrazione di aziende al Tecnopolo puo' divenire la Silicon Valley dei servizi digitali e dare un forte sviluppo innovativo al settore. Il Tecnopolo e le sue aziende possono accelerare il loro processo di sviluppo e di competizione internazionale se attorno ad esse si crea un progetto di logistica, indirizzo e verticalizzazione la cui visione oggi manca e si sente l'assenza di un disegno politico o meglio progettuale di sviluppo. 

 

Progetto 4.  “Per una rete di organizzazioni di servizi culturali”

 

Posto che i processi partecipativi sono un metodo utile per attivare risorse materiali e immateriali prima indisponibili, per migliorare la qualità delle soluzioni e minimizzare il rischio delle crisi decisionali, e per rafforzare l’identità e il senso di appartenenza dei cittadini, allora l’investimento in infrastrutture e attività di produzione e consumo di cultura è remunerativo. Infatti Il complesso di attività per la conservazione, la valorizzazione, lo sviluppo e la fruizione del patrimonio culturale costituisce a tutti gli effetti una filiera produttiva, al cui interno operano svariati settori. Con punti di forza e strategie di ampio respiro possono attrarre nuove risorse e implementare quelle esistenti; con attività ad alto valore aggiunto culturale contribuiscono in modo decisivo alla definizione dell’identità collettiva e del capitale simbolico del sistema locale, in termini di immagine, di attrattività turistica, di creazione di nuove opportunità di lavoro, di potenziamento dei servizi connessi , di miglioramento della qualità della vita e di senso di integrazione sociale. quindi anche funzionale alla necessità di riqualificare zone soggette al degrado o in crisi di riqualificazione.Appare allora importante promuovere una rete di organizzazioni di servizi culturali che con una strategia comune e condivisa attuino le finalità della politica culturale istituzionale; attivare sistemi di monitoraggio e valutazione dei risultati prodotti, affinché la presenza di tali istituzioni sul territorio induca positivi effetti economici sull’occupazione e la distribuzione dei redditi nonché effetti moltiplicativi per i servizi connessi, stimoli mercati economicamente remunerativi come il turismo e l’artigianato passando attraverso altri mercati di produzione e consumo culturale (cinematografico, teatrale, discografico, letterario, televisivo, fotografico…).

 

Progetto 5. “Un politecnico dei  beni culturali ed il turismo”

 

Come detto in precedenza, “In linea di massima, ci si trova di fronte ad operazioni relativamente  “low cost” perché si tratta di interventi di razionalizzazione o di ricucitura o integrazione dell’esistent. Più  che i fondi  servono le capacità politiche, in primo luogo,ma anche professionali, tecniche e gestionali”.

Serve quello che il nostro Paese sta mortificando e depauperando che è facile intuire: il capitale umano.

 Sotto questo profilo  potrebbe rivelarsi più che opportuno integrare il sistema universitario romano con un Politecnico dei beni culturali e del turismo.

 Le due tematiche cui si riferisce l’intitolazione sono attualmente trattate,in modo parziale e conseguentemente disorganico, in varie Facoltà presenti nelle tre Università statali e nella miriade di Università e strutture formative private, laiche e religiose, più o meno consistenti.

Se si parte dal presupposto che i due campi disciplinari ormai, non solo nella percezione del pubblico ma anche nel pensiero scientifico, inevitabilmente si intrecciano, si deve argire che la loro coniugazione diviene una necessità per accrescerne la conoscenza, producendo studi e ricerche specifici e formando dei professionisti che aggiungano alla competenza tecnica e specialistica, adeguate capacità gestionali.

Si potrebbe cercare di raccogliere in un unico contenitore, appositamente dedicato, le tante valide esperienze condotte nelle vari Atenei romani, ragionando con i relativi, attuali Dipartimenti.  Roma ha, tra l’altro, delle potenziali sedi, anche prestigiose, che sono attualmente sottoutilizzate, quando non utilizzate. Il Comune potrebbe metterne una a disposizione dei promotori del Progetto. 

Si dovrebbe puntare naturalmente ad una struttura di altissimo profilo, operante a scala internazionale, ambiziosamente protesa ad assumere una leadership nel settore, di sicuro  appeal e forte attrattiva per studiosi ed allievi  di provenienza nazionale, europea, e continentale.

Ci sono naturalmente da superare tutte le prevedibili difficoltà burocratiche ed istituzionali, ma ove ci fosse la volontà politica ed accademica, l’operazione non sarebbe difficile da realizzare.

 

Progetto 6. “Il Piano di Gestione di Roma, Patrimonio dell'Umanità nell'ottica dell'Historic Urban Landscape (HUL)”

 

Si tratta di definire quel “progetto integrato” di gestione, obbligatorio per le realtà (puntuali o areali) inserite nell'elenco dello World Heritage dell'UNESCO.

Anche su questo punto, Roma sconta ritardi non più tollerabili.

L'ultima Raccomandazione UNESCO sottolinea il valore dell'Historic Urban Landscape (HUL), anche come superamento del concetto – per certi versi statico – di “centro storico”, sottolineando l'importanza della contestualizzazione e della armonizzazione degli spazi antropizzati con la natura e il paesaggio che li contiene.

Su questo indirizzo, la riflessione dovrebbe orientarsi alla salvaguardia del Patrimonio esistente, ma contemporaneamente alla riqualificazione delle periferie mediante la creazione di nuovo Patrimonio nell'ottica di un ritrovato rapporto città-campagna.

 

 

 

 

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