ProgettoRoma
Gruppo di Lavoro CULTURA
TRA
MEMORIA E CONTEMPORANEITA'
Cultura,
Patrimonio culturale e politiche di valorizzazione. Qualificazione e sviluppo
del Turismo
A. "Quale cultura. Quale
sviluppo?"
Non è
più ignorabile né procrastinabile
l’esigenza di raccordare, organicamente e funzionalmente, le politiche
culturali e le politiche di sviluppo, facendo "discendere" le
seconde dalle prime.
In Italia, a differenza di quanto avviene in altri paesi ad ordinamento istituzionale e partecipativo da tempo consolidato (Francia, G.B., Paesi scandinavi,.... tanto per limitarci all'Europa), le due anzidette linee d'azione marciano separatamente, ignorandosi reciprocamente. A questo insolito comportamento si può ricondurre quella politica che ha dato luogo ed avallato i pesanti tagli, lineari o meno, sulla formazione, sulla ricerca, sulle Istituzioni culturali e via dicendo. Un'aberrazione, evidentemente, poiché, proprio nei momenti di crisi si deve puntare sul capitale umano e sull'innovazione, sulla razionalizzazione e, soprattutto, sulle idee.
In Italia, a differenza di quanto avviene in altri paesi ad ordinamento istituzionale e partecipativo da tempo consolidato (Francia, G.B., Paesi scandinavi,.... tanto per limitarci all'Europa), le due anzidette linee d'azione marciano separatamente, ignorandosi reciprocamente. A questo insolito comportamento si può ricondurre quella politica che ha dato luogo ed avallato i pesanti tagli, lineari o meno, sulla formazione, sulla ricerca, sulle Istituzioni culturali e via dicendo. Un'aberrazione, evidentemente, poiché, proprio nei momenti di crisi si deve puntare sul capitale umano e sull'innovazione, sulla razionalizzazione e, soprattutto, sulle idee.
E' la
qualità dunque che genera sviluppo. E da dove proviene questa qualità? Non
certo dai tagli anzidetti, ma dalla storia. dalla tradizione, dall'identità,
dal patrimonio culturale che ci viene tramandato, attivamente vissuto ed
interpretato.
Nella
difficile congiuntura che stiamo vivendo e che introduce nuovi paradigmi
strutturali destinati , con tutta evidenza, a permanere per un durevole periodo
storico, il patrimonio culturale rischia di incorrere in una
marginalità di duplice natura: da una parte si corre l’alea che venga
considerato alla stregua di una delle tante comuni merci, utili ad
alimentare un lucroso consumo di massa, dall’altra, si fa strada il
timore di un progressiva involuzione del suo profondo significato di testimonianza
che guarda al futuro. La dissolvenza
della memoria e la progressiva perdita di identità dei luoghi e delle
collettività che vi insistono, provocata da una omologazione povera di valori
riconosciuti e condivisi, appare in ultima analisi ascrivibile alla crescente
frammentazione e dispersione e, quindi, al susseguente abbandono, dei codici
storico-critici che hanno caratterizzato l’evoluzione di realtà ancorate a
riferimenti saldi su cui far perno nei momenti di crescita ma, soprattutto, in
quelli di precarietà ed incertezza. Riferimenti offerti dalla cultura trasmessa
attraverso le sue espressioni, materiali ed immateriali, viventi (in quanto attraversate da
vibrazioni variamente percettibili), del passato e della contemporaneità,
materializzate nelle opere, nelle tracce e nei simboli, così come nelle
attività artistiche e culturali in genere (museali, teatrali, audiovisuali,
ecc.), che, ad una attenta lettura, possono consentire di interpretare, spiegare,
successi o insuccessi, pratiche di buon governo o crisi cicliche
economico-sociali.
Malauguratamente
l’interdipendenza tra politiche culturali e politiche di sviluppo sembra ormai
irrimediabilmente venir meno, come nel caso italiano. E ciò ha arrecato, e sta
arrecando, notevole pregiudizio alle politiche pubbliche di sviluppo,
prive di ispirazioni ideali e afflato sociale, ed al sistema imprenditoriale
che avrebbe potuto giovarsi di una implementazione coerente e sostenibile del
patrimonio culturale, sia sul versante dell’offerta, che su quello della
sensibilizzazione, istruzione e ricerca. Si tende sempre più, nel settore, a vivere
di rendita, nell’illusione, e questo avviene soprattutto in Italia, ma non
solo, che la dovizia del patrimonio culturale di cui si dispone non ponga
problemi di saturazione, che non ci si debba preoccupare soverchiamente di
mantenere ed implementare la salvaguardia e la trasmissibilità del bene. In
tale contesto, i tagli all’istruzione ed alla ricerca, ai Centri culturali (che
hanno portato persino alla riduzione delle ore di insegnamento della storia
dell’arte in un Paese che con l’arte ci vive e ci convive) hanno gravemente
lesionato gli strumenti atti a sviluppare innovazioni e professionalità
idonee a fronteggiare i momenti di difficoltà e disagio sociale, potenzialmente
degenerativi, che stiamo attraversando.
Oggi
la cultura ed il patrimonio culturale sono entrati a far parte dei fattori di
produzione, alla stregua di tanti altri settori industriali e imprenditoriali.
Spicca tra questi quello del turismo. Ma
non si considera il "valore aggiunto" posseduto da questa
risorsa, se viene assunta come fattore di civilizzazione e di ispirazione
politica.
Chi forse, più di altri, si è avvicinato a
questa “filosofia” è stato Renato
Nicolini, cui oggi va rivolto un cenno di riconoscenza e di omaggio. La sua
"Estate Romana", il suo effimero, portano i segni inconfondibili di
una adesione aperta ed innovativa della coniugazione tra cultura e sviluppo.
Le sue trovate sono state divertenti ma non chiassose, mai sguaiate. Stimolanti, impegnate, ma non tediose. Inclusive. Raffinate ma non elitarie. Rionali ma aperte al mondo, mai chiuse in se stesse, con un indotto che, allora, propose un modello di moderna "industria culturale”. Oggi, di quella esperienza è stato raccolto ben poco. Per ignoranza, per insensibilità o, peggio, per non modificare consolidate "rendite di posizione" di consorterie e corporazioni. Oggi è rimasta una "movida" senza ispirazione. Scomposta e spesso violenta.
Le sue trovate sono state divertenti ma non chiassose, mai sguaiate. Stimolanti, impegnate, ma non tediose. Inclusive. Raffinate ma non elitarie. Rionali ma aperte al mondo, mai chiuse in se stesse, con un indotto che, allora, propose un modello di moderna "industria culturale”. Oggi, di quella esperienza è stato raccolto ben poco. Per ignoranza, per insensibilità o, peggio, per non modificare consolidate "rendite di posizione" di consorterie e corporazioni. Oggi è rimasta una "movida" senza ispirazione. Scomposta e spesso violenta.
“Quale
cultura, quale sviluppo?” diviene inoltre paradigma della possibilità di
far coesistere virtuosamente competizione globale e sviluppo locale. Uno
sviluppo, quest’ultimo, da vedere pertanto come argine al disorientamento
provocato dalla pressione dei sistemi finanziario-commerciali a scala
planetaria e come leva per promuovere filiere produttive di elevata convenienza
per tipicità e costo. Il patrimonio culturale è altresì la chiave per
evidenziare e sostenere il tessuto imprenditoriale ad alto contenuto
tecnologico ed innovativo che si muove a supporto delle attività di
manutenzione, catalogazione,
conservazione e digitalizzazione e delle inerenti esigenze di gestione; un
tessuto quindi in espansione, ad alto valore aggiunto, che può offrire significative
opportunità sviluppo economico e di qualificati sbocchi occupazionali.
Solo
nelle ultime fasi dell'aspra campagna
elettorale, appena terminata, si può
forse intravedere uno spiraglio, un’apertura alla considerazione del valore non
esclusivamente commerciale ma sopratutto “politico” della cultura. Sembrerebbe
ovvio e persino banale affermarlo, dal
momento che tutte le grandi civiltà si sono ispirate a modelli culturali di
matrice politica, antropologica, religiosa. Ma in realtà tanto ovvio non è dal
momento che, solo adesso, da tanti settori della società, dell’economia, della
stessa politica, e quindi non solo dal mondo delle istituzioni culturali, viene
rilanciata con grande evidenza la proposta di istituire un Ministero della
Cultura, volto a darle centralità, sul modello francese.
B.
Quale idea di Roma?
Se quanto detto vale
per l’intero Paese, vale ancor più per Roma.
Roma, più di ogni altra città al mondo, vanta un "continuum" di segni e testimonianze di una bimillenaria vicenda sociale, religiosa e politica: dalle origini allo sviluppo e decadenza di un impero "globale", al periodo paleocristiano e medioevale, alle grandiose espressioni rinascimentali e barocche, architettoniche ed artistiche, dovute in gran parte allo splendore ed al mecenatismo di una corte pontificia dotata, allora, di grande sensibilità estetica e culturale.
Detto “continuum” si è interrotto e non è più leggibile ne come "forma urbis" ne come percezione di identità da parte dei cittadini e dei visitatori. A Roma è in atto lo svilimento dei suoi connotati semantici. Privi di conoscenze avanzate ed incapaci di decrittare i processi storici e formulare le prospettive che ne discendono, i suoi attuali amministratori rincorrono quotidianamente un consenso destrutturato e destrutturante, basato su interessi di parte e di corto respiro.
Roma, più di ogni altra città al mondo, vanta un "continuum" di segni e testimonianze di una bimillenaria vicenda sociale, religiosa e politica: dalle origini allo sviluppo e decadenza di un impero "globale", al periodo paleocristiano e medioevale, alle grandiose espressioni rinascimentali e barocche, architettoniche ed artistiche, dovute in gran parte allo splendore ed al mecenatismo di una corte pontificia dotata, allora, di grande sensibilità estetica e culturale.
Detto “continuum” si è interrotto e non è più leggibile ne come "forma urbis" ne come percezione di identità da parte dei cittadini e dei visitatori. A Roma è in atto lo svilimento dei suoi connotati semantici. Privi di conoscenze avanzate ed incapaci di decrittare i processi storici e formulare le prospettive che ne discendono, i suoi attuali amministratori rincorrono quotidianamente un consenso destrutturato e destrutturante, basato su interessi di parte e di corto respiro.
La
situazione generale di Roma, infatti, dopo anni di tale amministrazione,
restituisce un quadro di totale degrado e svilimento caratterizzato da:
la
manomissione sistematica del Centro Storico ridotto a mera vetrina di un
commercio sempre più sciatto e invasivo;
la
mancanza di regole certe e la tracotante invadenza dell'interesse privato di
categorie “protette” a discapito dell'interesse pubblico;
il
degrado, l'abbandono, la totale mancanza di identità di periferie che
continuano a crescere con la perdita di ettari su ettari di agro romano;
la
mancanza di una visione unitaria per la ridefinizione, il recupero e la
valorizzazione del Centro Storico e di tutta la Città Storica, così come delle
aree periferiche di espansione, attraverso la creazione di nuove
identità e di nuovo patrimonio.
Tutto
questo, e non solo, rappresentano aspetti riconducibili ad un'unica realtà che
testimonia della profondissima trasformazione antropologica subita da questa
area metropolitana e dalla collettività che su di essa insiste.
Roma sta divenendo sempre più ingovernabile e provinciale, perdendo di fatto la possibilità di essere una capitale che dialoga con l'Europa in quanto depositaria delle principali fonti d'ispirazione della civiltà occidentale, che dovrebbe tenere alto questo prestigio.
Appare
impensabile che qualunque “Idea di Roma”, non faccia un puntuale ed esplicito riferimento
all'Europa E' difficile che Roma si proponga e si muova come “faro”
internazionale senza recepire le culture, le politiche ed i principi europei e senza contribuire al
loro sviluppo. Alla costruzione di un'Europa "politica" e
"solidale".
In quest’ottica, va posta la concezione di” Roma città europea e
mediterranea” nonché città leader mondiale nel campo del management del
“Cultural Heritage”,, sede di alte scuole internazionali
specializzate nel settore, di Agenzie internazionali di promozione,
divulgazione, coordinamento di risorse di provenienza pubblica e privata,
nazionali ed internazionali (Venezia è dotata di un “Ufficio Cultura” UNESCO
non si vede perché la capitale non possa essere sede di analogo ufficio).
I principi fondanti di inclusività,
di partecipazione dal basso, di bellezza, di sostenibilità
che rappresentano i pilastri di HORIZON 2020 devono diventare il primo
riferimento sul quale impostare qualsiasi progetto per Roma.
Dovrebbe essere quindi il Patrimonio Culturale, uno dei primi, se non il primo, motore dello sviluppo di Roma.
Lo è
già in parte “per forza di cose”: basti pensare all’’indotto turistico.
Ma manca una strategia tecnico-politica che imprima questa “cifra” all’insieme delle attività che danno vita
all’economia ed al sistema sociale della città.
Si
tratta di dar corpo ad attività innovative, ad alto contenuto tecnologico,
trasferendo i concetti che sono alla base della visione di smart city
verso una Historic Smart City. Oggi
il patrimonio culturale (da quello archeologico a quello librario
ecc.) richiede una manutenzione, una
gestione, un’attività di comunicazione, marketing, ecc. basate su sistemi
tecnologici avanzati, collegati a strutture
formative e di assistenza tecnica di alta qualità e “poli di eccellenza internazionali”.
La
coniugazione della cultura con la tecnologia è una delle più vitali sfide del
nostro tempo, che Roma non può eludere.
L’inclinazione dell’asse della filiera
tecnologica della “Tiburtina Valley”, sia pur parzialmente ma
organicamente, verso il patrimonio
culturale potrebbe forse dare una prima, efficace, coerente risposta a questa
sfida.
C. Quale legame con il turismo?
Lungi dal voler mercificare o
privatizzare il patrimonio culturale è indubbio che, specie per la città di
Roma, detta risorsa dispieghi il suo potenziale a sostegno di una economia
legata al fenomeno turistico ed alle sue evidenti ed essenziali ricadute sul piano dell’occupazione e
dell’articolazione sociale ed imprenditoriale. Non si tratta qui di
intercettare il segmento del cosiddetto “turismo culturale”, ma di acquisire la
consapevolezza che, salvo alcune aberrazioni, ogni attività turistica – il
viaggio, la vacanza, la scoperta dell’altrove – ha un carattere culturale e
pedagogico in quanto accresce la
conoscenza e la personalità del
visitatore e lascia traccia nell'immaginario dei residenti.
Guardando al potenziamento ed alla riqualificazione del
già cospicuo indotto turistico, urge la messa in campo di complessi ed avanzati
interventi per accogliere, senza troppi
indugi e senza perdere la battuta rispetto ai nostri concorrenti
euro-mediterranei, il già consistente e rapidamente crescente flusso di
visitatori provenienti da Paesi che sono le nuove potenze mondiali (Russia
Cina, , India, Brasile, Sud Africa,ecc.), ma a anche dai Paesi emergenti.
Roma, per tutto quel che si è detto,
per la sua stessa posizione geografica, per il “racconto” del suo unico ed
impareggiabile vissuto dovrebbe divenire la “prima meta” di un viaggio oltre i propri confini, nell’altrove. Come lo è stata
Londra, come è tuttora Parigi.
L’incontro con detti nuovi turisti
potrebbe aprire ai nostri operatori nuovi mercati per viaggi e vacanze nei loro
paesi di provenienza, dotati anch’essi di inestimabili, insoliti e
misconosciuti patrimoni culturali. Si potrebbero ad esempio attivare delle
proficue joint venture.
In questo quadro, per ogni Municipio(
o ciascuna delle nuove entità politico-amministrative decentrate che
scaturiranno dalla prossima trasformazione di Roma in “Città Metropolitana”),
si potrebbe pensare a piccoli progetti con un “format” analogo ma con contenuti
specifici.
Senza al momento dilungarsi su tali
iniziative (inerenti peraltro alla grande tematica delle periferie,) si
potrebbe mirare a fare uscire dal
tradizionale, standardizzato e spesso scontato
circuito, i turisti; almeno quelli più “curiosi” ed interessati a comprendere come vive realmente un Paese,
una Metropoli che, anche nella più lontana periferia mostra testimonianze
storico-artistiche belle ed intriganti e talora sorprendenti paesaggi urbani ed
ambientali. Sarebbe interessante anche per i residenti creare momenti di incontro e scambio di idee con gruppi di turisti
e intrattenerli con eventi, visite guidate, conferenze illustrative ecc.
Anche attivando attività commerciali
dedicate o agili strutture di accoglienza “low cost”
D. Quali progetti?
Le proposte di seguito avanzate non
intendono assorbire le molteplici
sfaccettature dell’argomento trattato ma tendono a configurarsi come “Progetti
esemplari”, sul piano dei contenuti e metodologico, sugli aspetti
istituzionali ed amministrativi, sulla sostenibilità finanziaria.
Tenuto conto che il patrimonio
culturale, non si esaurisce nell’edificato storico o nelle preesistenze
“fisiche” del passato, ma comprende anche le risorse proprie della cultura
immateriale (le arti visive, il patrimonio archivistico e librario, il
patrimonio sonoro e audiovisivo, ecc.) i
sei progetti individuati vanno considerati come espressione delle priorità assunte da Progetto Roma, sia
perché ritenuti strategici sia in quanto concretizzabili a tempi brevi. Non
è esclusa quindi alcuna altra opzione, alcuna possibilità di
integrare “in progress” il quadro delineato.
Ognuno di questi progetti andrà presumibilmente articolato in subprogetti, in
modo da estenderne la riverberazione sull’intero sistema territoriale romano.
In linea di massima, ci si trova di
fronte ad operazioni relativamente “low
cost” perché si tratta prevalentemente di interventi di razionalizzazione o
di ricucitura o di integrazione dell’esistente. Più che fondi
servono capacità politiche, in primo luogo,ma anche
professionali, tecniche e gestionali.
Si tratta naturalmente di elaborazioni
frutto di scelte meditate, ma solo delineate poiché su dette proposte verrà
aperto un confronto tecnico e politico con i destinatari degli
interventi : gli operatori, le categorie, le aggregazioni sociali
maggiormente interessati. Un’attenzione particolare verrà dedicata alla copertura
finanziaria, ai tempi ed ai piani di realizzazione.
Progetto 1. “Patrimonio archeologico”
L’incommensurabile patrimonio
archeologico di Roma si estende per tutta la delimitazione amministrativa.
Questo impone una selezione e scansione degli interventi che li renda
realisticamente fattibili, alla luce delle capacità tecnico progettuali e della
sostenibilità finanziaria. Naturalmente, senza trascurare l’assoluta importanza
del patrimonio dislocato nelle fasce urbane più distanti dal cosiddetto “centro
storico”, da trattare peraltro all’interno di una dialettica con i Municipi.
Ai municipi occorre attribuire e
riconoscere una specifica identità storico-sociale che stimoli nei residenti il
senso di appartenenza ad una realtà urbana di cui sentirsi protagonisti e parte
integrante. Il patrimonio culturale, storico- artistico, paesaggistico,
letterario, materiale ed immateriale, tramandato dal passato o ancorato alla
contemporaneità (ad esempio, quello urbanistico-architettonico) dovrebbe essere
il perno intorno al quale sviluppare gli anzidetti valori di cittadinanza.
In quest’ottica, il focus di
questo intervento è polarizzato su un ideale continuum che va dai fori all’Appia
antica.
Sotto il profilo funzionale, ferma
restando l’unitarietà, l’operazione è articolata in due subprogetti.
a) Realizzare il Parco dell'Appia
Antica
L’unica,
grande proposta sempre presente all’interno della vicenda della Roma moderna è
quella del Parco dell’Appia Antica, una realizzazione in grado di ridisegnare
la fisionomia dell’intero versante sud-est della città. Se ne è cominciato
a parlare dal lontano 1887 con un voto del Consiglio comunale, poi diventato
legge, che prevedeva una serie di
interventi da eseguire in una grande area urbana a ridosso del percorso da
Piazza Venezia fino a Porta Capena, Porta Latina e Porta San Sebastiano. Poi,
circa quaranta anni più tardi, fu avanzata anche la proposta che questo insieme
integrato di verde e di persistenze archeologiche dovesse essere prolungato
oltre le mura nella campagna circostante fino ai Castelli Romani. Ma nè l’una
nè l’altra hanno avuto un grande successo e, a partire dagli anni cinquanta del
secolo scorso, si è avviata una devastante campagna di aggressione a quel
prezioso territorio che, è bene ricordarlo, appartiene ancora oggi per la
stragrande parte a privati, il che rende impari la battaglia che sostiene
giornalmente la Soprintendenza. Una battaglia, peraltro, che non potrà mai
essere vinta fino a che non si affiancherà alla logica della difesa, il cui unico
strumento è il vincolo, quella dell’attacco con l’avvio di un progetto di
gestione pubblica dell’intero comprensorio, a partire dal “Piano del
Parco Regionale dell‘Appia Antica, adottato fin dal 2002 ma mai approvato dalla
Regione Lazio.
b) Realizzare il “Progetto Fori
Nel
cuore dell’area urbana di Roma, si trova un’imponente area archeologica che va
dal Teatro di Marcello, al Circo Massimo, al Palatino, al Colosseo, al Celio,
al Colle Oppio, ai Fori Imperiali. Sicuramente la più vasta e importante area
archeologica del mondo. Il dibattito su come trattare questa preziosa
parte del centro storico di Roma è aperto fin dal tempo della lacerazione
prodotta dalla costruzione, tra il 1931 e il 1933, di Via dell’Impero. Nel
tempo, le posizioni circa le soluzione da adottare sono state diverse e
contrapposte, in particolare tra archeologi e architetti, e ne è derivato che
non si è fatta che una blanda e un po’ patetica chiusura domenicale al traffico
tra Piazza Venezia e il Colosseo. La nuova amministrazione di Roma Capitale
deve porre la questione come una di quelle centrali del suo mandato, ripartendo
dal piano dell’intera area archeologica predisposto, ormai quasi trenta anni
fa, da Benevolo, Cagnardi e Gregotti, noto come il “Progetto Fori”. Da quel progetto
occorre ripartire, per dare avvio ad una campagna sistematica di scavi e per
costruire un sistema di relazioni tra quello straordinario patrimonio
archeologico e il suo intorno, rendendo pervasiva una visione di Roma che
costruisce il suo futuro di città post-moderna sulle spalle del suo imponente
passato.
Progetto 2. “Sistema museale ed
istituzioni artistiche”
Il circuito museale romano di
competenza comunale è interamente gestito da Zetema Progetto Cultura, una
s.p.a. al 100% di proprietà di Roma Capitale. Zetema funziona con Presidente di
nomina politica, un Amministratore Delegato e un Consiglio di Amministrazione
politicamente controllato. Quando viene eletto un nuovo Sindaco questi nomina
il nuovo Presidente e quindi cambia l’indirizzo di gestione, ma Zetema rimane
comunque la “longa manus” di ogni giunta. Di fatto Zetema - istituzione valida
per tutte le stagioni – ha esautorato la Sovraintendenza comunale, senza
peraltro dichiarare al suo interno le competenze tecniche necessarie. Sindaci e
assessori, di destra e di sinistra, hanno preso l’abitudine di delegare a
Zetema la gestione culturale romana, bypassando l’organo istituzionale e
tecnico competente. Il risultato è che Zetema ha acquistato potere decisionale
su mostre, musei, aree archeologiche e progetti urbani (vedi ad esempio
l’abbattimento del muretto dell’Ara Pacis, progettato e messo in gara da Zetema
su input del Sindaco). Ma accanto ad un “gestore” forte deve sussistere una
Sovraintendenza altrettanto autorevole e un Assessorato all’altezza di una
Capitale culturale europea. E qui la
soluzione sta nella nomina di personalità di riconosciuta competenza,
autorevoli, dotati di idee, ma soprattutto in grado fronteggiare gli interessi
“particolari” che oggi spingono le scelte dell’Amministrazione cittadina.
Peraltro solo una politica culturale di ampio respiro, di livello
internazionale, è in grado di attirare su Roma capitali privati. Al
contrario, la Giunta uscente ha de-finanziato sia il settore Restauri che
l’Ufficio Mostre della Sovraintendenza di Roma Capitale, con il risultato che
Roma affronterà i duemila anni dalla morte di Augusto con il Mausoleo del suo
primo imperatore in disfacimento e che le uniche mostre che si tengono nel
circuito museale sono quelle che, indipendentemente dalla loro qualità,
arrivano già auto-finanziate. Con quale ricaduta sulla qualità è sotto gli
occhi di tutti.
Progetto 3. “HT per la cultura ed il
turismo”
Il progetto Roma Digitale
rimane una delle opere incomplete e forse è da qui che dovrebbe ripartire il
piano di crescita dei servizi digitali che possono ruotare attorno alla
cultura. Servizi a valore aggiunto ma anche servizi turistico informativi,
servizi professionali a pagamento e servizi free. La rete a larga banda e la
multicanalità rappresentano sempre di più il fulcro per lo sviluppo
dell'economia cittadina che parte dal suo patrimonio culturale. I tanti
progetti che si sono intercalati, il distretto dei beni culturali, il distretto
del digitale, le iniziative di Roma digitale, rappresentano una serie di
piccoli e frammentati progetti pilota che non sembrano rispondere ad una
visione di un grande progetto che a partire dalla rete e dai servizi digitali e
dai contenuti digitali possa trasformare il patrimonio culturale della
capitale in un valore concreto ed in una fonte di sviluppo per il tessuto
produttivo della città.
La Tiburtina Valley ha subito
una graduale trasformazione dal mercato della difesa e dello spazio con il
Tecnopolo Tiburtino si e' venuto a sviluppare un aggregato di eccellenze industriali
nel settore dell'audiovisivo e dei servizi digitali. Un settore che vede nella
rete di imprese un punto di forza ma che puo' trovare un forte impulso dall'uso
delle tecnologie e delle competenze alsettore della digitalizzazione e dei
servizi attinenti il patrimonio culturale. La concentrazione di aziende al
Tecnopolo puo' divenire la Silicon Valley dei servizi digitali e dare un forte
sviluppo innovativo al settore. Il Tecnopolo e le sue aziende possono
accelerare il loro processo di sviluppo e di competizione internazionale se
attorno ad esse si crea un progetto di logistica, indirizzo e verticalizzazione
la cui visione oggi manca e si sente l'assenza di un disegno politico o
meglio progettuale di sviluppo.
Progetto 4. “Per una rete di organizzazioni di servizi
culturali”
Posto che i processi partecipativi
sono un metodo utile per attivare risorse materiali e immateriali prima
indisponibili, per migliorare la qualità delle soluzioni e minimizzare il
rischio delle crisi decisionali, e per rafforzare l’identità e il senso di
appartenenza dei cittadini, allora l’investimento in infrastrutture e attività
di produzione e consumo di cultura è remunerativo. Infatti Il complesso di
attività per la conservazione, la valorizzazione, lo sviluppo e la fruizione
del patrimonio culturale costituisce a tutti gli effetti una filiera
produttiva, al cui interno operano svariati settori. Con punti di forza e
strategie di ampio respiro possono attrarre nuove risorse e implementare quelle
esistenti; con attività ad alto valore aggiunto culturale contribuiscono
in modo decisivo alla definizione dell’identità collettiva e del capitale
simbolico del sistema locale, in termini di immagine, di attrattività
turistica, di creazione di nuove opportunità di lavoro, di potenziamento dei
servizi connessi , di miglioramento della qualità della vita e di senso di
integrazione sociale. quindi anche funzionale alla necessità di riqualificare
zone soggette al degrado o in crisi di riqualificazione.Appare allora
importante promuovere una rete di organizzazioni di servizi culturali
che con una strategia comune e condivisa attuino le finalità della politica
culturale istituzionale; attivare sistemi di monitoraggio e valutazione dei
risultati prodotti, affinché la presenza di tali istituzioni sul territorio
induca positivi effetti economici sull’occupazione e la distribuzione dei
redditi nonché effetti moltiplicativi per i servizi connessi, stimoli mercati
economicamente remunerativi come il turismo e l’artigianato passando attraverso
altri mercati di produzione e consumo culturale (cinematografico, teatrale,
discografico, letterario, televisivo, fotografico…).
Progetto 5. “Un politecnico dei beni culturali ed il turismo”
Come detto in precedenza, “In linea di
massima, ci si trova di fronte ad operazioni relativamente “low cost” perché si tratta di interventi di
razionalizzazione o di ricucitura o integrazione dell’esistent. Più che i fondi
servono le capacità politiche, in primo luogo,ma anche professionali,
tecniche e gestionali”.
Serve quello che il nostro Paese sta
mortificando e depauperando che è facile intuire: il capitale umano.
Sotto questo profilo potrebbe rivelarsi più che opportuno
integrare il sistema universitario romano con un Politecnico dei beni
culturali e del turismo.
Le due tematiche cui si riferisce
l’intitolazione sono attualmente trattate,in modo parziale e conseguentemente
disorganico, in varie Facoltà presenti nelle tre Università statali e nella
miriade di Università e strutture formative private, laiche e religiose, più o
meno consistenti.
Se si parte dal presupposto che i due campi
disciplinari ormai, non solo nella percezione del pubblico ma anche nel
pensiero scientifico, inevitabilmente si intrecciano, si deve argire che la
loro coniugazione diviene una necessità per accrescerne la conoscenza,
producendo studi e ricerche specifici e formando dei professionisti che
aggiungano alla competenza tecnica e specialistica, adeguate capacità
gestionali.
Si potrebbe cercare di raccogliere
in un unico contenitore, appositamente dedicato, le tante valide esperienze
condotte nelle vari Atenei romani, ragionando con i relativi, attuali
Dipartimenti. Roma ha, tra l’altro,
delle potenziali sedi, anche prestigiose, che sono attualmente sottoutilizzate,
quando non utilizzate. Il Comune potrebbe metterne una a disposizione dei
promotori del Progetto.
Si dovrebbe puntare naturalmente ad
una struttura di altissimo profilo, operante a scala internazionale,
ambiziosamente protesa ad assumere una leadership nel settore, di
sicuro appeal e forte attrattiva per
studiosi ed allievi di provenienza
nazionale, europea, e continentale.
Ci sono naturalmente da superare tutte
le prevedibili difficoltà burocratiche ed istituzionali, ma ove ci fosse la
volontà politica ed accademica, l’operazione non sarebbe difficile da
realizzare.
Progetto 6. “Il Piano di Gestione di
Roma, Patrimonio dell'Umanità nell'ottica dell'Historic Urban Landscape (HUL)”
Si tratta di definire quel “progetto
integrato” di gestione, obbligatorio per le realtà (puntuali o areali) inserite
nell'elenco dello World Heritage dell'UNESCO.
Anche su questo punto, Roma sconta
ritardi non più tollerabili.
L'ultima Raccomandazione UNESCO
sottolinea il valore dell'Historic Urban Landscape (HUL), anche come
superamento del concetto – per certi versi statico – di “centro storico”,
sottolineando l'importanza della contestualizzazione e della armonizzazione
degli spazi antropizzati con la natura e il paesaggio che li contiene.
Su questo indirizzo, la riflessione
dovrebbe orientarsi alla salvaguardia del Patrimonio esistente, ma
contemporaneamente alla riqualificazione delle periferie mediante la creazione
di nuovo Patrimonio nell'ottica di un ritrovato rapporto città-campagna.
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