Tsipras, l’anti Merkel d’Europa
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di Luca Sappino I violinisti, in lacrime, che però non smettono di suonare. L’orchestra della televisione pubblica greca che suona per l’ultima volta. E suona l’inno nazionale. La televisione pubblica che sospende le trasmissioni, perché i suoi quasi 2800 dipendenti non servono, tutti, al rilancio del Paese, almeno stando al piano del “memorandum”. Chi non si è commosso, chi non ha avuto paura, guardando quelle immagini? «Non dobbiamo finire come la Grecia» è il timore su cui fa continuamente leva chi sostiene le politiche dell’austerità. «Avete visto quanto è triste finire sul lastrico?». «Mica vorrete fallire?». «Bisogna abbattere il debito, ridurre la spesa, aumentare la flessibilità». Lo spauracchio funziona. Greci ben vestiti che frugano nei cassonetti. Greci che pagano, duramente ma «inevitabilmente», dicono, la propria proverbiale pigrizia. Il greco scansafatiche, statalista. Il greco che trucca i bilanci (e che si sappia che solo i greci truccano i bilanci!). Così ci dicono. E se non vogliamo finire come loro dobbiamo esser meno statalisti anche noi, via i privilegi, via le comodità. Tipo cos’è questa cosa del posto fisso? Il posto fisso non favorisce l’impresa. Troppo alto è il rischio, e l’imprenditore rischia solo se il rischio è condiviso. Suoi i profitti, di tutti i rischi. Altrimenti falliamo. Altrimenti non si cresce. Parliamo della Grecia o dell’Italia? Di entrambe, in realtà. Perché se Tsipras chi? (in libreria, pubblicato da Alegre), di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena, è un ritratto della Grecia, è il racconto della fortuna elettorale di Syriza, diventata – anche indipendentemente dal pronunciato profilo politico – collettore delle disperazioni, delle speranze e dei dissensi più disparati, questo non può non ricordarci cos’è il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, per molti, in Italia. In Grecia c’è Alba dorata, sì, ma è Syriza e Alexis Tsipras a rappresentare l’alternativa all’Europa del memorandum. Allo stesso modo sondaggi e rilevazioni più o meno scientifiche dipingono da noi le prossime europee (e poi le politiche) come il campo di uno scontro a due. Renzi contro Grillo. Le istituzioni contro «i cittadini». Perché «Alexis Tsipras è solo un megafono» nota Valeria Parrella nella prefazione del libro, che è un instant ma solo perché esce al momento giusto. Ma è un megafono di una Grecia a cui somigliamo già. Se non nell’intensità della crisi, nel sentimento verso l’Europa, nel rapporto con i governi. E nelle politiche, nel loro indirizzo se non nella loro violenza. Siamo già come la Grecia, se pensiamo al modo in cui siamo arrivati fin qui, al percorso: «Per quasi due decenni il Pse ha partecipato alla rottura del contratto sociale del Dopoguerra, il quale – paradossalmente – aveva ispirato e contribuito a far nascere». Lo nota Tsipras intervistato dagli autori, pensando al Pasok. L’avrebbe però potuto notare un politico nostrano, da sinistra o da una delle cinque stelle, pensando al Pd, che proprio per queste europee, non a caso, ha deciso di aderire formalmente al Pse. In Grecia Tsipras ha riunito la sinistra (ed è utile scoprire come), e ha dialogato con i movimenti. Con quella «generazione 700 euro» (da noi era «mille euro», bei tempi!) che difendeva l’università pubblica in via di privatizzazione e subiva il precariato, già prima che la crisi scoppiasse e la sinistra raccogliesse un così vasto consenso. Tsipras e Syriza sono riuscite a politicizzare la disperazione, la rabbia. Chi vota Syriza? Chi sceglie la «sinistra di governo», che – strano, no? – vuole andare al governo senza cambiare, e senza paura per questo di «diventare destra», come dice Matteo Renzi? E’ centrale la figura del leader, certo. E Russo Spena e Pucciarelli ne ricostruiscono la carriera, la formazione, i rapporti con Rifondazione Comunista e i movimento del Social Forum. Il vezzo di vestirsi senza cravatta. La forza di mollare le riunioni per tornare a casa ad addormentare i figli. I limiti, e i rischi. «Spero non si monti la testa, ora che in Italia c’è una lista che porta il suo nome, cosa per noi inconcepibile», confessa agli autori Vassilis Moulopoulos, compagno di Tsipras. Ma non è solo questo. E’ una via d’uscita alternativa, diversa dalla «dottrina dell’austerità espansiva, secondo cui l’austerità dovrebbe assicurare la crescita» e da quella più recente, sancita dall’incontro tra Matteo Renzi e Angela Merkel – come nota l’economista Emiliano Brancaccio – «della "precarietà espansiva": l'idea cioè che attraverso ulteriori dosi di precarizzazione del lavoro si possa generare crescita dei redditi e dell'occupazione». Una via alternativa che per molti può essere una qualunque, in Italia come in Grecia, ma che per Syriza non lo è. E Tsipras chi? spiega perché. Con le parole di Tsipras (ditemi voi se non vi suonano familiari): «Non importa se la Grecia alla fine fallisce e sprofonda nella miseria. Ciò che conta è che, in un Paese della zona euro, ora si discuta apertamente di salari alla cinese, di abolizione del diritto del lavoro, di dissoluzione della sicurezza sociale e dello stato sociale, e di completa privatizzazione dei beni pubblici. Con il pretesto di combattere la crisi, il sogno neoliberista delle menti più perverse diventa finalmente realtà». E con la storia recente della Grecia. Che forse non è proprio come ce l’hanno raccontata. |