Pubblichiamo a beneficio dei nostri lettori che se lo fossero perso ,l'analisi di Stefano Silvestri, direttore di Affarinternazionali e consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali,sul recente viaggio del Presidente degli Stati Uniti d'America,Barak Obama,in Europa .
Approfittiamo poi della presenza oggi del Presidente Obama in Italia per augurargli una buona permanenza nel nostro Paese,con l'auspicio che gli incontri che ha in programma,in particolare e soprattutto con Papa Francesco,gli ispirino una politica di pace e di amore.
D.F.
Barack a spasso per il mondo Stefano Silvestri 27/03/2014
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Gli europei vorrebbero essere rassicurati. Di fronte ad una Russia minacciosa, con un Mediterraneo in pieno subbuglio, dalla Libia alla Siria, gli europei stanno sviluppando una forte domanda di America, quella tradizionale della Guerra Fredda, che garantiva stabilità e certezza dei rapporti internazionali anche di fronte alle crisi più difficili.
E naturalmente, almeno per quel che riguarda Vladimir Putin, Barack Obama ha fatto svariate dichiarazioni e appoggiato un ridispiegamento di alcune forze della Nato verso Est, soprattutto a maggior garanzia delle tre repubbliche baltiche. Ma la reazione è rimasta in qualche modo sotto tono, senza ad esempio prevedere l’arrivo in Europa di altre forze americane.
Conflitto Arabia Saudita-Qatar Lo stesso si può dire delle crisi arabe, Obama ha concentrato la sua attenzione sul Golfo, da dove arriva la maggior parte dei finanziamenti alle varie fazioni e partiti arabi contrapposti, e i cui equilibri sono in qualche modo resi fragili dai negoziati in corso con l’Iran.
Ma il suo tentativo di affrontare i problemi collettivamente, con una riunione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, si è scontrato con il conflitto politico in atto tra Arabia Saudita e Qatar, che inserisce un nuovo elemento di divisione molto difficile da risolvere (se i sauditi sono l’alleato di riferimento degli Usa nell’area, il Qatar ospita le maggiori basi americane ed è legato ad alcune delle più importanti think tanks di Washington). Né aiuta il sostanziale fallimento del tentativo di riprendere i negoziati di pace tra israeliani e palestinesi.
A Est come a Sud Obama si muove quindi con grande circospezione e lancia segnali agli europei perché, in una situazione di così grande incertezza, siano piuttosto loro a suggerire la direzione da prendere e ad assumersi maggiori responsabilità.
Un messaggio che se da un lato rassicura chi temeva una rapida escalation della crisi, dall’altro lato non risolve il problema del deficit militare e soprattutto decisionale degli alleati europei, costretti a trovare in proprio le risorse e la strategia che un tempo sarebbe stata servita “chiavi in mano” dall’alleato transatlantico.
Crisi in Ucraina Né gli europei sono gli unici a preoccuparsi. Anche in Asia, la crisi ucraina e l’annessione russa della Crimea sono guardati con preoccupazione. La questione non è tanto il potere degli Stati Uniti, che resta incontrastato, ma la loro volontà di impegnarsi, la loro dedizione, che in alcuni casi può essere inferiore a quella dell’avversario.
Questo è stato certamente il caso della Crimea, mentre è ancora aperto il giudizio per quel che riguarda il resto dell’Ucraina. Ma potrebbe presentarsi un caso analogo con la Cina, per il controllo di qualcuna delle tante micro-isolette contestate tra Pechino e gli alleati asiatici degli Usa nel Pacifico? C’è una linea rossa effettiva, e dove passa?
Non è sempre possibile né utile stabilire con chiarezza e in modo astratto simili “linee”. Questa anzi potrebbe diventare una ricetta pericolosa, o diminuendo la credibilità nell’appoggio americano (pensiamo a quanto è accaduto con la “linea rossa” evocata da Obama in Siria) o irrigidendo la situazione strategica e obbligando a pericolose escalation militari.
Ma è importante che gli alleati siano certi della disponibilità di fondo degli americani ad appoggiarli e soprattutto del fatto che non verranno prese decisioni alle loro spalle o a loro insaputa.
In altri termini, quello che gli europei (e gli alleati asiatici degli Usa) realmente vorrebbero da Obama è la garanzia di un maggiore coinvolgimento e il funzionamento di un sistema di consultazioni continuo ed efficace, che gli americani considerino in qualche modo vincolante e pienamente impegnativo, anche nelle situazioni di maggior rischio.
Alleanza atlantica Questa dopotutto è sempre stata la maggior funzione della Nato. Ma l’impressione degli ultimi anni è stata quella di un progressivo allentarsi dell’impegno americano, senza rinnegare nulla, ma lasciando sorgere dubbi fastidiosi sulla effettiva dedizione di Washington alla sicurezza degli alleati.
Un sentimento che si è alimentato, per quel che riguarda l’Europa, dai tanti segnali di un cosiddetto riorientamento verso Ovest, verso il Pacifico, delle priorità strategiche americane. Né hanno aiutato le rivelazioni sul massiccio spionaggio elettronico ai danni degli alleati, oltre che degli stessi cittadini americani, rispetto al quale la reazione di Obama è stata, almeno sino ad ora, molto tiepida.
Questa visita in Europa e nel Golfo rimane un’occasione importante per riprendere il filo delle relazioni transatlantiche, in particolare se, anche grazie al nuovo clima di crisi nei rapporti con la Russia, Obama riuscirà a superare le molte opposizioni interne e ad accelerare la conclusione del nuovo grande accordo di libero scambio tra Europa ed America.
Sarebbe un segnale importante che potrebbe riuscire a mettere in sordina molti dei dubbi ancora aperti.
Stefano Silvestri è direttore di Affarinternazionali e consigliere scientifico dello IAI.
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