Da AffarInternazionali Conflitto israelo-palestinese L’attivismo pacifista di Francesco Aldo Maria Valli 05/06/2014 |
"L’incontro di preghiera organizzato da papa Francesco tra il presidente israeliano Shimon Peres e il suo omologo palestinese Abu Mazen avrà un carattere religioso.
Non sarà quindi una riedizione vaticana dei summit di Camp David cari a Bill Clinton. Nasce infatti da una proposta spontanea del pontefice che ha voluto mettere a disposizione la propria casa anche per superare le difficoltà legate alla sede in cui tenere questo tipo di vertice".
“Sarà un incontro di preghiera, non per fare una mediazione“, ha detto Bergoglio ai giornalisti durante il volo di ritorno da Tel Aviv. “Con i due presidenti ci riuniremo a pregare soltanto e io credo che la preghiera sia importante e fare questo aiuta. Poi tutti tornano a casa. Ci sarà un rabbino, un islamico, ci sarò io. Ho chiesto al custode della Terra Santa di organizzare un po’ le cose pratiche”.
Diplomazia vaticana tra Israele e Palestina
Dal punto di vista diplomatico, la posizione della Santa Sede è nota da tempo ed è stata nuovamente sottolineata dal segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin alla vigilia del pellegrinaggio di Francesco nei luoghi santi: “Il diritto di Israele di esistere e di godere di pace e di sicurezza all’interno di confini internazionalmente riconosciuti; il diritto del popolo palestinese di avere una patria sovrana e indipendente, il diritto di spostarsi liberamente, il diritto di vivere in dignità.
E poi il riconoscimento del carattere sacro e universale della città di Gerusalemme, della sua eredità culturale e religiosa, come luogo di pellegrinaggio dei fedeli delle tre religioni monoteiste”.
Lo stesso Francesco, sia a Betlemme sia a Gerusalemme, ha ribadito questa posizione, rinnovando l’appello affinché “sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti.
Sia ugualmente riconosciuto che il popolo palestinese ha il diritto a una patria sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. La soluzione dei due Stati diventi realtà e non rimanga un sogno”.
Un monito accompagnato in modo eloquente dal gesto, non previsto nel programma del viaggio, di sostare per alcuni minuti in silenzio davanti al muro di cemento che Israele sta costruendo dal 2002 a tutela del proprio territorio e dove si troverebbe la tomba di Rachele.
Impegno di pace di Bergoglio
“Quello dell’8 giugno sarà un incontro di preghiera. La preghiera come forza della pace”, spiega il cardinale Parolin alla Radio Vaticana. Ma certamente l’incontro avrà valenza politica. Perché avrà un significato simbolico molto forte il fatto che il presidente palestinese e il presidente israeliano si trovino insieme in un luogo sacro.
Dice Parolin: “Speriamo che lì, dove finora sono falliti gli sforzi umani, il Signore dia a tutti saggezza e fortezza, per portare avanti un vero piano di pace, anche rafforzando la fiducia e superando gli ostacoli - molti, numerosi e gravi - che ancora oggi impediscono di arrivare alla pace in Terra Santa”.
La speranza del papa e della diplomazia vaticana è che l’incontro dell’8 giugno possa costituire un precedente in grado di impegnare i vertici dei due Stati in un vero cammino di pace. Una pace che, secondo la Santa Sede, può essere costruita soltanto sulla giustizia e sul rispetto dei diritti.
Poiché la soluzione negoziale è possibile solo se c’è la volontà politica, la strategia di Francesco è di costringere la politica a fare concreti gesti di pace, così da innescare una spirale virtuosa.
Il Papa intende poi impegnare le parti sulla questione umanitaria, perché a tutte le popolazioni -indipendentemente dall’appartenenza religiosa o etnica - possano arrivare aiuti, cibo e cure mediche. Bergoglio insiste anche sulle garanzie circa la presenza dei cristiani, minoranza sempre più in difficoltà.
Contro la globalizzazione dell’indifferenza
Francesco teme quella che ha più volte definito la “globalizzazione dell’indifferenza”: l’abitudine alla situazione di crisi endemica. Così non può essere. Ecco perché ha deciso di rivolgersi direttamente alle coscienze dei protagonisti dei conflitti.
In Terra Santa Francesco non ha agito né ha parlato da capo di Stato e da esponente politico. Parole e gesti sono stati quelli di un pastore, ma proprio per questo ha ottenuto il risultato di riunire Abu Mazen e Peres.
Più che sull’azione diplomatica ha puntato sulla sua credibilità di uomo di fede, ricordando la comune radice abramitica di ebraismo, cristianesimo e Islam. E intende proseguire su questa strada, anche “sfruttando” la sua grande popolarità internazionale e il credito di cui gode ovunque.
Aldo Maria Valli è vaticanista di Rai1.
Non sarà quindi una riedizione vaticana dei summit di Camp David cari a Bill Clinton. Nasce infatti da una proposta spontanea del pontefice che ha voluto mettere a disposizione la propria casa anche per superare le difficoltà legate alla sede in cui tenere questo tipo di vertice".
“Sarà un incontro di preghiera, non per fare una mediazione“, ha detto Bergoglio ai giornalisti durante il volo di ritorno da Tel Aviv. “Con i due presidenti ci riuniremo a pregare soltanto e io credo che la preghiera sia importante e fare questo aiuta. Poi tutti tornano a casa. Ci sarà un rabbino, un islamico, ci sarò io. Ho chiesto al custode della Terra Santa di organizzare un po’ le cose pratiche”.
Diplomazia vaticana tra Israele e Palestina
Dal punto di vista diplomatico, la posizione della Santa Sede è nota da tempo ed è stata nuovamente sottolineata dal segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin alla vigilia del pellegrinaggio di Francesco nei luoghi santi: “Il diritto di Israele di esistere e di godere di pace e di sicurezza all’interno di confini internazionalmente riconosciuti; il diritto del popolo palestinese di avere una patria sovrana e indipendente, il diritto di spostarsi liberamente, il diritto di vivere in dignità.
E poi il riconoscimento del carattere sacro e universale della città di Gerusalemme, della sua eredità culturale e religiosa, come luogo di pellegrinaggio dei fedeli delle tre religioni monoteiste”.
Lo stesso Francesco, sia a Betlemme sia a Gerusalemme, ha ribadito questa posizione, rinnovando l’appello affinché “sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti.
Sia ugualmente riconosciuto che il popolo palestinese ha il diritto a una patria sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. La soluzione dei due Stati diventi realtà e non rimanga un sogno”.
Un monito accompagnato in modo eloquente dal gesto, non previsto nel programma del viaggio, di sostare per alcuni minuti in silenzio davanti al muro di cemento che Israele sta costruendo dal 2002 a tutela del proprio territorio e dove si troverebbe la tomba di Rachele.
Impegno di pace di Bergoglio
“Quello dell’8 giugno sarà un incontro di preghiera. La preghiera come forza della pace”, spiega il cardinale Parolin alla Radio Vaticana. Ma certamente l’incontro avrà valenza politica. Perché avrà un significato simbolico molto forte il fatto che il presidente palestinese e il presidente israeliano si trovino insieme in un luogo sacro.
Dice Parolin: “Speriamo che lì, dove finora sono falliti gli sforzi umani, il Signore dia a tutti saggezza e fortezza, per portare avanti un vero piano di pace, anche rafforzando la fiducia e superando gli ostacoli - molti, numerosi e gravi - che ancora oggi impediscono di arrivare alla pace in Terra Santa”.
La speranza del papa e della diplomazia vaticana è che l’incontro dell’8 giugno possa costituire un precedente in grado di impegnare i vertici dei due Stati in un vero cammino di pace. Una pace che, secondo la Santa Sede, può essere costruita soltanto sulla giustizia e sul rispetto dei diritti.
Poiché la soluzione negoziale è possibile solo se c’è la volontà politica, la strategia di Francesco è di costringere la politica a fare concreti gesti di pace, così da innescare una spirale virtuosa.
Il Papa intende poi impegnare le parti sulla questione umanitaria, perché a tutte le popolazioni -indipendentemente dall’appartenenza religiosa o etnica - possano arrivare aiuti, cibo e cure mediche. Bergoglio insiste anche sulle garanzie circa la presenza dei cristiani, minoranza sempre più in difficoltà.
Contro la globalizzazione dell’indifferenza
Francesco teme quella che ha più volte definito la “globalizzazione dell’indifferenza”: l’abitudine alla situazione di crisi endemica. Così non può essere. Ecco perché ha deciso di rivolgersi direttamente alle coscienze dei protagonisti dei conflitti.
In Terra Santa Francesco non ha agito né ha parlato da capo di Stato e da esponente politico. Parole e gesti sono stati quelli di un pastore, ma proprio per questo ha ottenuto il risultato di riunire Abu Mazen e Peres.
Più che sull’azione diplomatica ha puntato sulla sua credibilità di uomo di fede, ricordando la comune radice abramitica di ebraismo, cristianesimo e Islam. E intende proseguire su questa strada, anche “sfruttando” la sua grande popolarità internazionale e il credito di cui gode ovunque.
Aldo Maria Valli è vaticanista di Rai1.
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