Questo documento ,scritto da Alessandro Bianchi, era stato
preparato per essere letto all’Assemblea di ProgettoRoma, che si è tenuta il 9
dicembre u.s.
Così non è stato,più che altro perché si è preferito ottimizzare i
tempi,molto ristretti, a vantaggio della discussione ed approvazione del nuovo
Statuto dell’Associazione.
Rimediamo ora ,pubblicandolo su TRE RIGHE.
D.F.
Cari Soci e Amici,
in vista dell’assemblea di oggi ho ricevuto
diverse sollecitazioni a presentare un documento che delineasse quali
prospettive Progetto Roma intende assumere per il prosieguo della sua attività,
anche alla luce delle modifiche statutarie proposte.
Avevo iniziato a lavorare a questo documento,
ma il terremoto politico-giudiziario che ha investito da una
settimana a questa parte le istituzioni preposte al governo di Roma, ha
inevitabilmente spostato l’attenzione verso vicende sulle quali un’associazione
come la nostra, nata con l’obiettivo di fare di Roma una città “bella,
efficiente, equa, sicura e sostenibile”, non può evitare di riflettere
attentamente.
Per questo motivo ho preferito stendere una
breve nota di commento a quanto è accaduto e sta accadendo, che lascio alle
vostre riflessioni e ad una discussione di merito che credo sia opportuno fare
a tempi brevi.
Punto primo:
di che si tratta?
Si tratta della messa allo scoperto da parte
della magistratura romana al suo massimo livello, di un fenomeno che chiunque
avesse un minimo di capacità di discernimento di quanto accade giornalmente in
questa città, aveva capito o intuito da tempo.
A Roma quasi nulla funziona più come dovrebbe,
in particolare non funzionano i servizi essenziali per chi la abita e per chi
opera al suo interno: la mobilità delle persone e delle merci; la raccolta e lo
smaltimento dei rifiuti; la manutenzione e la pulizia delle vie e degli spazi
pubblici; l’assistenza medica e quella sociale, la repressione della illegalità;
la sicurezza delle persone.
Al contempo vengono lasciati senza soluzione problemi
enormi che impediscono a Roma di essere quello che dovrebbe essere una Città Capitale:
l’accumularsi di un debito insostenibile; una politica urbanistica dissennata,
che lascia la città in mano ai sempiterni speculatori immobiliari; l’incapacità
di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale; il degrado delle periferie e
la mancata integrazione nella città storica; la mancanza di sicurezza dei
luoghi e delle persone, e via dicendo.
Di tutto questo vi è da tempo una larga
percezione, unita alla consapevolezza che la causa prima di una tale situazione
è dovuta al fatto che la politica è stata trasformata da “arte di governo” in “pratica di potere”, che ha
significato smettere di prendersi cura dei problemi della città e dei cittadini
e occuparsi dei propri interessi: personali, familiari, di gruppo, di partito, di
lobby, di loggia.
E poiché questo tipo di occupazione comporta la
raccolta ampia e continua di denaro, ci si deve concentrare sulle attività che
rendono disponibile il denaro, ovvero appalti, commesse, consulenze,
concessioni e cose simili.
Attorno a questo grande catalizzatore che è
il denaro si è formata l’accozzaglia malavitosa che è stata definita la “terra
di mezzo”.
E’ la terra che a Roma vediamo abitata da criminali
incalliti, da delinquenti comuni e da cascami di organizzazioni parafasciste.
Ma abitata anche da imprenditori senza
scrupoli, da tecnici prezzolati, da arrampicatori sociali e da galoppini.
E abitata – e questo è l’aspetto peggiore –
da intere filiere di amministratori: dai vertici del consiglio comunale, agli
assessori, ai dirigenti apicali, ai funzionari, agli impiegati di concetto,
fino agli uscieri.
Ed è patetico sentir ripetere che la maggior
parte dei dipendenti del Comune sono brave persone dedite al loro lavoro,
perché il funzionamento della macchina comunale non passa per i molti per bene,
passa
per le filiere degli inquinati, quelli a libro paga, quelli che
incassano le tangenti, quelli che nascondono in casa le bustarelle.
La magistratura romana ha squarciato un primo
velo – probabilmente ancora molto piccolo – e ci dobbiamo augurare che faccia
il suo corso nel modo più rapido e rigoroso, tenendo lontani i soliti pennivendoli
che hanno subito cominciato a sollevare critiche al suo operato.
Punto
secondo: che cosa è successo nel Partito Democratico?
La domanda si pone in quanto il versante della
vicenda sul quale possiamo e dobbiamo esprimerci non è quello giudiziario ma quello
politico e, in modo particolare, quello che riguarda il partito che per
molti di noi ha costituito e per alcuni costituisce ancora il principale
riferimento: il Partito Democratico.
Dico questo dando per scontato che la
responsabilità di aver introdotto dentro le strutture dell’amministrazione
comunale le persone e le pratiche della “terra di mezzo”, ricade
completamente sulle spalle dell’allora Sindaco Alemanno. E’ lui che le ha in
qualche modo istituzionalizzate e ne ha consentito il radicamento.
Ma se queste persone hanno potuto agire
indisturbate e se queste pratiche hanno dilagato, non può che esserci stata una connivenza
e una complicità da parte degli esponenti del PD, prima dai banchi
dell’opposizione e poi con l’amministrazione Marino dalle posizioni di governo
della città.
Così è stato, con l’avallo dei responsabili
locali e nazionali del PD. Ed è desolante vedere che il giorno dopo l’azione
della magistratura, i vertici decidano di commissariare il PD romano. Fino al
giorno prima nessuno sapeva nulla? Nessuno ha visto come erano state gestite a
suo tempo le primarie per il candidato sindaco? Nessuno sapeva che ormai il PD
romano è organizzato per gruppi, correnti, bande dedite a controllare pacchetti
di voti a favore dei propri candidati?
E perché mai il neo commissario Orfini sente
il bisogno di ringraziare Coratti, Ozzimo e Patanè per il loro lavoro? Di quale
lavoro parla, di quello che ha portato questi signori ad essere indagati o arrestati? Di quello che
ha gettato discredito sull’intero partito?
E che dire del fatto che solamente una
settimana fa il PD romano, d’accordo con il vertice nazionale, considerava
Marino una scheggia impazzita e spingeva per circondarlo di emissari del
partito e oggi lo considera l’usbergo contro gli attacchi esterni?
La verità è che anche nel PD si è perso
completamente il senso dell’etica pubblica e si è lasciato campo
libero ad arrampicatori e affaristi.
Quello che servirebbe è una ricomposizione
del rapporto con i cittadini, con i loro problemi, le loro aspettative,
i loro bisogni, le loro paure, cose di cui nessuno più discute, meno che meno in
quei luoghi privi di anima che sono diventati i “circoli”.
Ma questa ricomposizione sarà mai possibile
se il novello segretario/presidente dice che non ha importanza se alle elezioni
regionali in Emilia non ha votato il 60% dei cittadini? E che dire del fatto che
discute di riforme istituzionali, di legge elettorale, di riforma della giustizia,
e di elezione del nuovo Presidente della Repubblica, con un condannato per
reati gravi contro la pubblica amministrazione, mentre sta scontando la relativa
pena?
Ci può essere dimostrazione più evidente del
baratro che questo modo di governare ha creato tra istituzioni e cittadini?
Questo non è governare, è comandare ed è la
logica che creerà un terreno sempre più fertile per far crescere la malapianta
della “terra di mezzo”.
Terzo punto:
che si può fare in questa situazione per Roma Capitale?
Sappiamo bene che qualsiasi cosa dovessimo
suggerire non ha la minima possibilità di essere raccolta da alcuno, il PD per
primo, ma malgrado ciò credo che non possiamo esimerci dall’esprimere come
sempre il nostro pensiero, se non altro per farne oggetto di discussione tra
noi.
Allora ricordo, anzitutto, che abbiamo
aderito all’appello lanciato subito dopo l’esplosione della vicenda con il
quale Libertà&Giustizia “chiede al Sindaco di Roma, Ignazio Marino,
di sospendere da incarichi decisionali tutti gli inquisiti e quanti comunque
siano risultati coinvolti nella "mafia Capitale", fin quando le
singole posizioni non saranno chiarite” (…) “La presunzione di non colpevolezza individuale
non può ledere il principio di pubblica precauzione, soprattutto a fronte di intercettazioni
sconcertanti ed altri chiari indizi concorrenti”.
Tuttavia dopo quella dichiarazione i contorni
della vicenda si sono ulteriormente allargati e dobbiamo tenerne conto per
rispondere al quesito di fondo: il Consiglio di Roma Capitale va sciolto?
La mia risposta riguarda l’opportunità
politica di un simile passaggio, che va valutata in ragione dell’obiettivo
prioritario che occorre perseguire oggi a Roma, ovvero l’avvio di un percorso
di rigenerazione
della macchina amministrativa.
Dunque lo scioglimento si può evitare se si
procede al completo azzeramento della Giunta e alla sua sostituzione con
una compagine diversa, composta da persone che devono possedere due requisiti
irrinunciabili: competenza e onestà.
E’ una cosa sulla quale abbiamo argomentato
ripetutamente durante la campagna elettorale dello scorso anno e che,
ovviamente, non ha trovato alcun ascolto.
E’ possibile che ripeterlo oggi possa trovare
orecchie più attente.
Dunque ripeto, anzitutto, che per assumere il
ruolo di Assessore con una delega specifica ci vuole una persona con un’ampia,
documentata e riconosciuta competenza in quel settore.
Il fatto che avvenga quasi sempre il
contrario è dovuto a quell’insopportabile modo di pensare che si richiama alla
“superiorità
della politica”.
Ma per quale misteriosa ragione un signore
qualsiasi che ha alle spalle un percorso formativo o professionale che non ha
nulla a che vedere con la cultura, la sanità, i trasporti, il bilancio,
l’urbanistica, le politiche sociali e via dicendo dovrebbe guidare un
assessorato preposto a quei compiti a Roma?
La verità è che la persona da scegliere per quel
posto deve avere la caratteristica di unire alla competenza in quel campo
una spiccata propensione per la gestione amministrativa.
Quanto alla garanzia di onestà, la
strada da percorrere è quella che abbiamo indicato da tempo dell’istituzione
dell’anagrafe
pubblica degli eletti e dei nominati, di cui bisogna sapere tutto -
nomi, redditi, posizione fiscale, patrimonio immobiliare, partecipazioni
societarie e simili – e quel tutto va monitorato per l’intero periodo in cui
ricopre quel posto da parte un nucleo di valutazione esterno e indipendente
Con queste figure va costruita la nuova
Giunta di Roma Capitale, se si vuole lanciare veramente un segnale di inversione
di rotta.
Se questo non dovesse avvenire e, come
purtroppo sembra di vedere, dovesse permanere quella zona grigia in cui si svolgono le trattative politiche, se
si dovessero ripetere i soliti rituali di contrattazione sui posti e
continueremo a vedere persone mediocri e disoneste alla guida di Roma,
allora il discredito, già molto alto, aumenterà e dilagheranno le pulsioni
populiste che sono già riaffiorate.
In questo caso l’unica strada praticabile
sarebbe quella dell’immediato ricorso a nuove elezioni.
Alessandro Bianchi