6 ottobre 2014

CONFESSIONE DI IMPOTENZA atto II


La mia analisi (vedi atto I) – giusta o sbagliata che sia – non dipende dal  punto geo-politico di osservazione; al contrario, dipende dal grado necessario di “astrazione”  dalle esperienze personali contingenti.

Posso elencare decine e decine di autori, saggisti, studiosi, narratori.... di ogni continente e parte del mondo, che espongono la condivisa visione circa il dominio pervasivo e intollerante della” filosofia” capitalistica.

 

Spero che  non si pensi che l’astensione dal voto sia una non-decisione, ma la si accetti  tra le opzioni legittime  possibili e significanti.

Penso che il fatto che le offerte politiche -  in ogni paese e anche in  Italia -   siano tutte costrette nell’ambito della ideologia che ne ha sbaragliata ogni altra e ha colonizzato il mondo intero, limiti  la mia possibilità di  scelta a ricette, nelle quali l’eccipiente  può essere diverso, ma il pincipio attivo è lo stesso.

Ho sempre votato.

Ultimamente, più per conservatorismo culturale che per altro.

 Mi sono finalmente costretto a guardare in faccia la realtà e  ho dovuto ammettere  che le “riforme” renziane corrono in questo alveo ormai obbligato.

Berlusconi non solo mi provoca rigetto, ma, in un modo rivoltante, sguazza nel “sistema”. 

Il M5S, deludente contenitore  di frustrazioni contrapposte, si muove, comunque, nel filone della ricetta salvifica della  proposta capitalistica, con qualche superficiale atteggiamento di irrazionale rigore, immaginato come “calvinista” .

la Lega,appare tesa a coprire il ruolo della destra radicale e ottusamente populista,.

In fine I gruppuscoli di “destra” e “sinistra”, innamorati di una strumentazione arrugginita,combattono un capitalismo che non c’è più, in una battaglia di fantasmi .

Poichè, tra gli attori della contesa politica, le alternative sono o ridicole,o obsolete o apparentemente  feroci, ma  pur sempre  addomesticate dalla stessa forza del “capitalismo”che sta modellando il mondo intero, unica reale ideologia vincente,io  non scelgo.

 

Di più: questa ideologia capitalistica, indissolubilmente legata , nel mondo occidentale, al “liberalismo”, ha saputo superare se stessa, liberandosene, pur di riuscire a colonizzare persino culture lontanissime.

Si è liberata anche della finzione che la legava – vessilliferamente – al democraticismo formale occidentale; prosperando felicemente con i totalitarismi duri o “morbidi”, anzi accordando loro qualche preferenza 

Non è una questione di occidente liberal capitalista contro un mondo “altro” che resiste.

E’ una guerra tra capitalismi di nuova generazione e vecchi detentori del potere economico.

Il capitalismo più aggressivo, oggi, è quello di sud-Corea, Vietnam, Indonesia...

La competizione capitalistica è mondiale e, ovunque, osserva gli stessi basilari “valori” che non conoscono confini.

 

Per finire, ho molta stima delle persone che caparbiamente e disinteressatamente  cercano di rendere migliore il proprio formicaio. Gloria, che rifugge le astrazioni, è certamente più vicina alle tue convinzioni di quanto lo sdia alle mie e, come te, ne ricava senso di vita.

Devo però fare alcune osservazioni:

 “gutta cavat lapidem” è certamente vera ma la sua trasposizione volontaristica, pretende tempi biblici, quindi fuori da ogni orizzonte immaginabile

Il tuo impegno, come quello di molti di buona volontà, non ha impedito la deriva del “maggior partito della sinistra”, che in ogni caso non sarebbe stato in grado di opporre una ideologia vincente a quella del “pensiero unico” che tu citi.

Tu stesso sei cosciente che la “globalizzazione” mette a rischio” (eufemismo) le conquiste sociali.

Ma non sarebbero a rischio, o addirittura moribonde,  se vincente fosse una visione meno “individualistica e disumana di quella capitalistica.

La convinzione che questa “disumanità” sia mitigabile, umanizzabile, più empatica, è non la supertizione, ma, ovviamente secondo me, la illusione  che il capitalismo possa essere diverso da quello che è diventato nella sua genesi obbligata:

Il Capitalismo non può modificare i cardini della sua essenza, senza essere un’altra cosa che non so immaginare.

 Lo si accetta e si accetta fino in fondo la competizione senza fine e senza compromesso, che si cura dei propri idoli e non delle persone, o lo si rifiuta.

Il discorso non è completo se non si affrontano anche i temi relativi all’ opinione pubblica, al crepuscolo dello Stato  e alla deflagrazione dell’”ordine”  occidentale che ha disegnato il mondo, ma la tiritera diventerebbe insopportabilmente lunga. Magari dirò quello che penso un’altra volta.

 

Voglio invece riportare qualche riga tratta da “impasse Adam smith” di jean – Claude Michèa, (cattedra di filosofia a Montpellier)  del 2002; ben prima, quindi, che noi ci accorgessimo che esisteva un problema a sinistra:

“E’ inutile mettere la freccia se non si può sorpassare. E il sorpasso a sinistra del capitalismo è impossibile, se se ne condivide l’immagine essenziale. All’utopia liberista e alla società che essa genera inevitabilmente – una società in cui la ricchezza e il poteredei pochi  hanno come necessaria condizione la povertà e l’impotenza dei molti – non può efficacemente opporsi una sinistra che si fonda sulla stessa logica e sullo stesso mito: le inflessibili leggi dell’economia e il miracoloso ruolo della tecnica. Si impone dunque una rottura radicale con l’immaginario intellettuale  della sinistra, che, a partire dall’ottocento, ha funzionato soprattutto come religione del progresso e della crescita, nutrendosi  di razionalità economica”

La differenza con questo lucido intellettuale francese sta nel fatto che lui crede  che sia possibile cvapovolgere la situazione senza uno tsunami sociale di portata planetaria e io ( senza presunzione, ma convintamente) no.

Scrive infatti ancora il professore:

“ritrovare le radici filosofiche del socialismo – che come insegna George Orwell, corrispondono a un senso ampiamente condiviso di giustizia sociale – serve a comprendere un secolo di fallimenti e sconfitte e a guardare in altre direzioni. O meglio, serve a cambiare decisamente corsia ed esplorare l’ultima possibilità che forse ci resta per uscire dal vicolo cieco dell’economia in cui si è cacciata l’umanità”

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Umberto Pradella 

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