La mia analisi (vedi atto I) – giusta o sbagliata che sia – non dipende dal punto geo-politico di osservazione; al
contrario, dipende dal grado necessario di “astrazione” dalle esperienze personali contingenti.
Posso
elencare decine e decine di autori, saggisti, studiosi, narratori.... di ogni
continente e parte del mondo, che espongono la condivisa visione circa il
dominio pervasivo e intollerante della” filosofia” capitalistica.
Spero
che non si pensi che l’astensione dal
voto sia una non-decisione, ma la si accetti tra le opzioni legittime possibili e significanti.
Penso
che il fatto che le offerte politiche -
in ogni paese e anche in Italia
- siano tutte costrette nell’ambito della
ideologia che ne ha sbaragliata ogni altra e ha colonizzato il mondo intero, limiti
la mia possibilità di scelta a ricette, nelle quali
l’eccipiente può essere diverso, ma il
pincipio attivo è lo stesso.
Ho
sempre votato.
Ultimamente,
più per conservatorismo culturale che per altro.
Mi sono finalmente costretto a guardare in
faccia la realtà e ho dovuto ammettere che le “riforme” renziane corrono in questo
alveo ormai obbligato.
Berlusconi
non solo mi provoca rigetto, ma, in un modo rivoltante, sguazza nel
“sistema”.
Il
M5S, deludente contenitore di
frustrazioni contrapposte, si muove, comunque, nel filone della ricetta
salvifica della proposta capitalistica,
con qualche superficiale atteggiamento di irrazionale rigore, immaginato come
“calvinista” .
la
Lega,appare tesa a coprire il ruolo della destra radicale e ottusamente
populista,.
In
fine I gruppuscoli di “destra” e “sinistra”, innamorati di una strumentazione
arrugginita,combattono un capitalismo che non c’è più, in una battaglia di
fantasmi .
Poichè,
tra gli attori della contesa politica, le alternative sono o ridicole,o
obsolete o apparentemente feroci, ma pur sempre
addomesticate dalla stessa forza del “capitalismo”che sta modellando il
mondo intero, unica reale ideologia vincente,io non scelgo.
Di
più: questa ideologia capitalistica, indissolubilmente legata , nel mondo
occidentale, al “liberalismo”, ha saputo superare se stessa, liberandosene, pur
di riuscire a colonizzare persino culture lontanissime.
Si
è liberata anche della finzione che la legava – vessilliferamente – al
democraticismo formale occidentale; prosperando felicemente con i totalitarismi
duri o “morbidi”, anzi accordando loro qualche preferenza
Non
è una questione di occidente liberal capitalista contro un mondo “altro” che
resiste.
E’
una guerra tra capitalismi di nuova generazione e vecchi detentori del potere
economico.
Il
capitalismo più aggressivo, oggi, è quello di sud-Corea, Vietnam, Indonesia...
La
competizione capitalistica è mondiale e, ovunque, osserva gli stessi basilari
“valori” che non conoscono confini.
Per
finire, ho molta stima delle persone che caparbiamente e
disinteressatamente cercano di rendere
migliore il proprio formicaio. Gloria, che rifugge le astrazioni, è certamente
più vicina alle tue convinzioni di quanto lo sdia alle mie e, come te, ne
ricava senso di vita.
Devo
però fare alcune osservazioni:
“gutta cavat lapidem” è certamente vera ma la
sua trasposizione volontaristica, pretende tempi biblici, quindi fuori da ogni
orizzonte immaginabile
Il
tuo impegno, come quello di molti di buona volontà, non ha impedito la deriva
del “maggior partito della sinistra”, che in ogni caso non sarebbe stato in
grado di opporre una ideologia vincente a quella del “pensiero unico” che tu
citi.
Tu
stesso sei cosciente che la “globalizzazione” mette a rischio” (eufemismo) le
conquiste sociali.
Ma
non sarebbero a rischio, o addirittura moribonde, se vincente fosse una visione meno
“individualistica e disumana di quella capitalistica.
La
convinzione che questa “disumanità” sia mitigabile, umanizzabile, più empatica,
è non la supertizione, ma, ovviamente secondo me, la illusione che il capitalismo possa essere diverso da
quello che è diventato nella sua genesi obbligata:
Il
Capitalismo non può modificare i cardini della sua essenza, senza essere
un’altra cosa che non so immaginare.
Lo si accetta e si accetta fino in fondo la
competizione senza fine e senza compromesso, che si cura dei propri idoli e non
delle persone, o lo si rifiuta.
Il
discorso non è completo se non si affrontano anche i temi relativi all’
opinione pubblica, al crepuscolo dello Stato e alla deflagrazione dell’”ordine” occidentale che ha disegnato il mondo, ma la
tiritera diventerebbe insopportabilmente lunga. Magari dirò quello che penso
un’altra volta.
Voglio
invece riportare qualche riga tratta da “impasse Adam smith” di jean – Claude
Michèa, (cattedra di filosofia a Montpellier)
del 2002; ben prima, quindi, che noi ci accorgessimo che esisteva un
problema a sinistra:
“E’
inutile mettere la freccia se non si può sorpassare. E il sorpasso a sinistra
del capitalismo è impossibile, se se ne condivide l’immagine essenziale.
All’utopia liberista e alla società che essa genera inevitabilmente – una
società in cui la ricchezza e il poteredei pochi hanno come necessaria condizione la povertà e
l’impotenza dei molti – non può efficacemente opporsi una sinistra che si fonda
sulla stessa logica e sullo stesso mito: le inflessibili leggi dell’economia e
il miracoloso ruolo della tecnica. Si impone dunque una rottura radicale con
l’immaginario intellettuale della
sinistra, che, a partire dall’ottocento, ha funzionato soprattutto come
religione del progresso e della crescita, nutrendosi di razionalità economica”
La
differenza con questo lucido intellettuale francese sta nel fatto che lui
crede che sia possibile cvapovolgere la
situazione senza uno tsunami sociale di portata planetaria e io ( senza
presunzione, ma convintamente) no.
Scrive
infatti ancora il professore:
“ritrovare
le radici filosofiche del socialismo – che come insegna George Orwell,
corrispondono a un senso ampiamente condiviso di giustizia sociale – serve a
comprendere un secolo di fallimenti e sconfitte e a guardare in altre
direzioni. O meglio, serve a cambiare decisamente corsia ed esplorare l’ultima
possibilità che forse ci resta per uscire dal vicolo cieco dell’economia in cui
si è cacciata l’umanità”
.
Umberto Pradella
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