25 ottobre 2014

LES VISIONNAIRES




 
    
 
Il festival del documentario è stimolato dalla volontà di approfondire la conoscenza delle varie arti e dei loro rapporti attraverso il video - dall’architettura al cinema, dalla pittura alla musica, dalla scultura alla danza. La rassegna in mostra questi giorni presso “La Casa dell’Architettura”, ha l’obiettivo di offrire uno sguardo articolato sulle più recenti realizzazioni documentaristiche prodotte a livello internazionale. Il documentario, può essere considerato uno dei mezzi di comunicazione più adatti a dare profondità e spessore all’indagine, all’approfondimento della conoscenza della realtà: un linguaggio aperto che attraverso immagini e suoni può riuscire a cogliere i momenti creativi e a restituire la complessità di ciò che ruota attorno alla realizzazione dell’opera. Nell’edizione romana del 2014, è stato proiettatoLes Visionnaires”, un documentario di Julien Donada - realizzato con il sostegno del F.R.A.C. Centre di Orléans - sulla generazione di architetti che in Europa tra gli anni ‘50 e la fine degli anni ‘70 sognava nuove possibilità di vivere nella città e modi diversi di pensare anche l'interno delle abitazioni progettando città spaziali o nomadi, case volanti o di plastica. Il filmato è un montaggio d’interviste fatte oggi agli architetti visionari di allora. L’allungamento dell’età media della vita fa sì che i protagonisti di mezzo secolo fa possano ancora raccontare le vicende architettoniche dell’epoca. Inframezzate da qualche immagine di disegni (a mio avviso troppo pochi rispetto alla narrazione), qualche spezzone di film sperimentale tratto dagli archivi personali degli architetti e qualche ripresa negli studi d’architettura (ad esempio del più giovane Wolf Prix) si alternano i monologhi dei francesi  Claude Parent, Yona Friedman, Pascal Haüsermann, Guy Rottier, Antti Lovag con gli inglesi Peter Cook e David Greene e gli austriaci Hans Hollein, Coop Himmelb(l)au e infine gli italiani Natalini, Gianni Pettena e Andrea Branzi. Secondo il più noto di tutti, Yona Friedman – ungherese vissuto in Israele e poi naturalizzato francese – afferma nella sua intervista che non si trattava di “utopie” perché tutti i progetti erano concretamente realizzabili. Possiamo comunque definirle sicuramente “architetture avanguardiste” in alcuni casi e in altri architetture orientate verso un universo fantastico. Il documentario Les Visionnaires” è sicuramente di grande interesse e va apprezzato per aver rievocato un periodo non troppo lontano sconosciuto ai giovani, ma un ricordo per chi come me ha studiato in quegli anni. I temi progettuali dei corsi di Composizione Architettonica, infatti, erano spesso brani di città organizzati con “cellule” le cui forme riecheggiavano i contemporanei frigoriferi e televisori. La fede nella tecnica e nel progresso faceva credere e sperare in un nuovo modo di abitare. Peccato che il documentario rimanga un po’ chiuso in una visione per così dire troppo rigidamente “europea” (il tempo delle interviste è ripartito tra Francia, Inghilterra, Italia e Austria); perché in Italia, ad esempio, non c’erano solo i gruppi fiorentini ma vari architetti guardavano già da tempo agli Stati Uniti. Vorrei citare in particolare due assenze importanti: quella di Paolo Soleri e quella di Luigi Pellegrin.
Paolo Soleri (1929-2013) torinese di nascita, alla fine degli anni ‘40 frequenta, negli Stati Uniti, Frank Lloyd Wright. Nel 1956 va a vivere in Arizona dove fonda la Cosanti Foundation e poi Arcosanti nel 1970, un’utopia urbana realizza per 5000 abitanti. Vero è che non ha fatto parte di un gruppo visionario ma ha fondato un modello di vita che lui chiama “arcologia” (da architettura ed ecologia) etico e frugale.
Luigi Pellegrin (1923-2001) friulano d’origine vive, studia e opera a Roma. Si appassiona all’architettura nord-americana dopo un viaggio a Chicago, conosce Wright a casa Zevi ed entra a far parte dell'APAO, Associazione per l'Architettura Organica. Dopo molte architetture realizzate – edifici vari e scuole prefabbricate in particolare – negli anni ‘80 approfondisce tematiche ambientale da visionarie verso un’architettura sistemica e organica. Solo a titolo di esempio voglio citare il progetto del “Proto-organismo territoriale” a San Cristobar del 1982 con grandi pilastri che sorreggono cellule prefabbricate tridimensionali; appoggio puntiforme sul terreno, travi cave a sezione sagomata che fungono da percorsi, pedonalità totale, integrazione delle funzioni: lavoro, abitazioni, tempo libero. «L’organismo - afferma Pellegrin - si estende come una mano sul territorio. E il nome suggerisce una struttura aperta, non un’opera finita una volta per tutte, che lascia “scoprire le sue valenze e si raffina nella vissuta correlazione tra le parti ”. Solo l’approccio, o, meglio, il metodo, è globale.» L’obiettivo, come afferma la relazione di progetto è “ di obbiettare al degrado del territorio determinato dall’esportazione dei vizi occidentali: il pendolarismo, le zonizzazioni che separano residenza e lavoro ”. Così scrive Luigi Prestinenza Puglisi in presS/Tletter «Con il termine di Vettore Pellegrin intende un sistema lineare, staccato del terreno, lungo il quale si organizza un modo alternativo di abitare: dal punto di vista ecologico, tecnologico, antropologico. Il Vettore si contrappone alla città radiocentrica, policentrica, compatta. E’ una linea forza che agisce sul territorio pur senza confondersi con questo. Non occupa suolo. Può essere appeso su esili piloni o, addirittura, sospeso in aria, galleggiando come una astronave o una mongolfiera. Vicino alla fantascienza, da cui trae ispirazione, e alle città utopiche di Paolo Soleri, il Vettore è, però, progettato sin nel più minimo dettaglio.»
 
Ghisi Grütter
 
 
 

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