Il festival del
documentario è stimolato dalla
volontà di approfondire la conoscenza delle varie arti e dei loro rapporti attraverso
il video - dall’architettura al cinema, dalla pittura alla musica, dalla
scultura alla danza. La rassegna in mostra questi giorni presso “La Casa
dell’Architettura”, ha l’obiettivo di
offrire uno sguardo articolato sulle più recenti realizzazioni
documentaristiche prodotte a livello internazionale. Il documentario, può
essere considerato uno dei mezzi di comunicazione più adatti a dare profondità
e spessore all’indagine, all’approfondimento della conoscenza della realtà: un
linguaggio aperto che attraverso immagini e suoni può riuscire a cogliere i momenti
creativi e a restituire la complessità di ciò che ruota attorno alla
realizzazione dell’opera. Nell’edizione romana del 2014, è stato proiettato “Les
Visionnaires”, un documentario di Julien Donada - realizzato con il sostegno
del F.R.A.C. Centre di Orléans - sulla generazione di architetti che in Europa tra
gli anni ‘50 e la fine degli anni ‘70 sognava nuove possibilità di vivere nella
città e modi diversi di pensare anche l'interno delle abitazioni progettando
città spaziali o nomadi, case volanti o di plastica. Il filmato è un montaggio d’interviste
fatte oggi agli architetti visionari di allora. L’allungamento dell’età media
della vita fa sì che i protagonisti di mezzo secolo fa possano ancora
raccontare le vicende architettoniche dell’epoca. Inframezzate da qualche
immagine di disegni (a mio avviso troppo pochi rispetto alla narrazione),
qualche spezzone di film sperimentale tratto dagli archivi personali degli
architetti e qualche ripresa negli studi d’architettura (ad esempio del più
giovane Wolf Prix) si alternano i monologhi dei francesi Claude Parent, Yona Friedman, Pascal
Haüsermann, Guy Rottier, Antti Lovag con gli inglesi Peter Cook e David Greene
e gli austriaci Hans Hollein, Coop Himmelb(l)au e infine gli italiani Natalini,
Gianni Pettena e Andrea Branzi. Secondo il più noto di tutti, Yona Friedman – ungherese
vissuto in Israele e poi naturalizzato francese – afferma nella sua intervista
che non si trattava di “utopie” perché tutti i progetti erano concretamente
realizzabili. Possiamo comunque definirle sicuramente “architetture
avanguardiste” in alcuni casi e in altri architetture orientate verso un
universo fantastico. Il documentario “Les Visionnaires” è sicuramente di grande
interesse e va apprezzato per aver rievocato un periodo non troppo lontano sconosciuto
ai giovani, ma un ricordo per chi come me ha studiato in quegli anni. I temi progettuali
dei corsi di Composizione Architettonica,
infatti, erano spesso brani di città organizzati con “cellule” le cui forme
riecheggiavano i contemporanei frigoriferi e televisori. La fede nella tecnica
e nel progresso faceva credere e sperare in un nuovo modo di abitare. Peccato che il documentario rimanga un po’ chiuso
in una visione per così dire troppo rigidamente “europea” (il tempo delle
interviste è ripartito tra Francia, Inghilterra, Italia e Austria); perché in Italia,
ad esempio, non c’erano solo i gruppi fiorentini ma vari architetti guardavano
già da tempo agli Stati Uniti. Vorrei citare in particolare due assenze
importanti: quella di Paolo Soleri e quella di Luigi Pellegrin.
Paolo
Soleri (1929-2013) torinese di nascita, alla fine degli anni ‘40 frequenta, negli
Stati Uniti, Frank Lloyd Wright. Nel 1956 va a vivere in Arizona dove fonda la Cosanti Foundation e poi Arcosanti nel 1970, un’utopia urbana
realizza per 5000 abitanti. Vero è che non ha fatto parte di un gruppo
visionario ma ha fondato un modello di vita che lui chiama “arcologia” (da
architettura ed ecologia) etico e frugale.
Luigi
Pellegrin (1923-2001) friulano d’origine vive, studia e opera a Roma. Si
appassiona all’architettura nord-americana dopo un viaggio a Chicago, conosce
Wright a casa Zevi ed entra a far parte dell'APAO, Associazione per
l'Architettura Organica. Dopo molte architetture realizzate – edifici vari e
scuole prefabbricate in particolare – negli anni ‘80 approfondisce tematiche
ambientale da visionarie verso
un’architettura sistemica e organica. Solo a titolo di esempio voglio citare il
progetto del “Proto-organismo territoriale” a San Cristobar del 1982 con grandi
pilastri che sorreggono cellule prefabbricate tridimensionali; appoggio
puntiforme sul terreno, travi cave a sezione sagomata che fungono da percorsi,
pedonalità totale, integrazione delle funzioni: lavoro, abitazioni, tempo
libero. «L’organismo - afferma Pellegrin - si estende come una mano sul
territorio. E il nome suggerisce una struttura aperta, non un’opera finita una
volta per tutte, che lascia “scoprire le sue valenze e si raffina nella vissuta
correlazione tra le parti ”. Solo l’approccio, o, meglio, il metodo, è globale.»
L’obiettivo, come afferma la relazione di progetto è “ di obbiettare al degrado
del territorio determinato dall’esportazione dei vizi occidentali: il
pendolarismo, le zonizzazioni che separano residenza e lavoro ”. Così scrive Luigi
Prestinenza Puglisi in presS/Tletter «Con
il termine di Vettore Pellegrin
intende un sistema lineare, staccato del terreno, lungo il quale si organizza
un modo alternativo di abitare: dal punto di vista ecologico, tecnologico,
antropologico. Il Vettore si contrappone alla città radiocentrica, policentrica,
compatta. E’ una linea forza che agisce sul territorio pur senza confondersi
con questo. Non occupa suolo. Può essere appeso su esili piloni o, addirittura,
sospeso in aria, galleggiando come una astronave o una mongolfiera. Vicino alla
fantascienza, da cui trae ispirazione, e alle città utopiche di Paolo Soleri,
il Vettore è, però, progettato sin
nel più minimo dettaglio.»
Ghisi
Grütter
|
25 ottobre 2014
LES VISIONNAIRES
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