Un momento della manifestazione pro Tsipras svoltasi a Roma il 3 luglio 2015 a Piazza Farnese
Le elezioni politiche svoltesi in Grecia domenica scorsa hanno registrato la netta vittoria di Alexis Tsipras insieme al più alto tasso di assenteismo mai registrato in Grecia e la buona affermazione della formazione di ultra destra di Alba Dorata.Questa netta vittoria permetterà a Tsipras di formare un nuovo governo insieme ai suoi alleati del partito nazionalista senza dover ricorrere ad alleanze di qualsiasi natura con il partito di Nuova Democrazia.I Greci hanno rimesso in mano ad Alexis Tsipras il boccino della propria sorte ,confermando fiducia. ad un uomo che ha saputo negoziare con l'Europa e salvare il proprio Paese da una catastrofe finanziaria e sociale che l'uscita dell'Unione Europea avrebbe potuto causare.Escono di scena Varoufakis e i dissidenti di Syriza che non hanno superato il blocco del 3%.Peccato ,perchè una voce critica e competente in Parlamento come quella di Varoufakis avrebbe fatto bene al governo guidato da Tsipras e alla Grecia.
Auguri alla Grecia e al governo di Tsipras da parte di Tre Righe.
D.F.
Oggi Tre Righe ripropone un articolo di Guido Viale su Tsipras sempre attuale,pubblicato nel 2013.
Tsipras, Galileo e Tolomeo - di Guido Viale.
Alcuni anni fa - eravamo già in piena crisi - dopo una
trasmissione in cui un noto economista di "sinistra", nonché
columnist di un importante quotidiano, si era a lungo diffuso sulla necessità
rimettere in moto la "crescita", gli avevo chiesto: ma
davvero pensi che l'economia italiana possa tornare a crescere a breve?
Mi aveva risposto in modo perentorio: in Italia non ci sarà più
crescita per almeno dieci anni. Da allora quell'economista-columnist ha pubblicato articoli su articoli su
come il paese può riprendere a crescere; ora, subito, ovviamente; non fra dieci
anni. A un altro economista-columnist che aveva pubblicato, insieme a un terzo
collega - successivamente risucchiato nel buco nero della lista "Fermiamo il declino" di Oscar Giannino - un articolo molto citato dove
sosteneva che, per "fermare lo spread", bisognava vendere subito
tutte le imprese di Stato, avevo chiesto, qualche mese dopo, se non avesse
cambiato idea. Perché quello che si può ricavare da una vendita simile è
irrisorio rispetto alla montagna del debito pubblico italiano. Mi aveva
risposto di sì; considerava quell'articolo un errore. Da allora ha continuato a
scrivere articoli su articoli per propugnare la vendita di tutti gli asset di
Stato. E per occuparsi meglio della cosa è diventato anche un consigliere di
Renzi.
Questi
episodi, insieme ad altre riflessioni, mi hanno convinto che gli economisti
mainstream, o la grande maggioranza di essi, non credono assolutamente in
quello che scrivono. Sanno benissimo, o sospettano fortemente, che con le loro
ricette, o soprattutto a causa di esse, le cose non possono che andare sempre
peggio. Ma allora, perché lo fanno? Perché non raccontano quello che veramente
pensano?
Il fatto è che non riescono a uscire dalla gabbia concettuale in
cui li imprigiona la loro disciplina, ormai assurta al rango di "pensiero
unico", senza più distinzioni tra "destra" e
"sinistra". Non sanno ragionare senza il puntello di categorie che
rimandano a un mondo che non esiste e non è mai esistito,
dove tutto ruota intorno a un "mercato" immaginario, eretto a supremo
regolatore del creato, e a cui istituzioni, politica, cultura, ambiente, e la
vita stessa di miliardi di esseri umani, non possono fare altro che adattarsi
(o cercare di farlo) adottando come unica regola di condotta una lotta di tutti
contro tutti. Che loro chiamano concorrenza o competitività. Però, al termine
mercato (al singolare) con il quale designano per lo più un meccanismo anonimo,
impersonale, trasparente, agìto in modo preterintenzionale da milioni o
miliardi di individui, hanno da tempo sostituito il termine "mercati"
(al plurale), che allude invece a un potere opaco - anonimo solo perché i suoi
detentori agiscono nell'ombra - concentrato in mano a pochissime entità che
dominano il mondo con la finanza. Ecco spiegata in modo semplice la loro afasia
su ciò che sta succedendo: una gigantesca espropriazione di miliardi di esseri
umani per concentrare la ricchezza in un pugno sempre più ristretto di
privilegiati. Molti di loro, in realtà, lo sanno benissimo e dietro a tanta
teoria non c'è che la difesa dell'ordine esistente, per quante critiche, peraltro
assolutamente marginali, gli rivolgano.
Ci sono molti precedenti storici di un approccio concettuale del
genere, che Marx chiamava ideologia;
ma uno è più chiaro di tutti. E' il conflitto che aveva spinto la Chiesa
cattolica e l'inquisizione a mandare al rogo Giordano
Bruno e a imporre una
ritrattazione a Galileo Galilei per difendere una concezione dell'universo
consolidata in una dottrina da cui discendeva l'immutabilità dell'ordine
gerarchico della società del tempo. Anche allora gli inquisitori di Galileo non
credevano a quello che sostenevano: per questo si rifiutavano di guardare nel
telescopio che mostrava due satelliti di Giove che "bucavano" la
sfera celeste, mettendo in forse la sua perfezione cristallina e, con essa,
quella dell'ordine sociale che vigeva sulla Terra.
Ma oggi a "bucare" i cieli del pensiero unico non ci
sono solo due piccoli satelliti, ma diversi giganteschi buchi neri. Per restare in Europa, il primo è la Grecia, il
paese-cavia degli esperimenti "correttivi" della Troika, che anche il
nostro attuale ministro dell'economia, solo tre anni fa, spacciava come
un'amara medicina che avrebbe risanato il paese. Il paese non è stato affatto risanato;
anzi, è stato condannato al rogo come Giordano Bruno. E il suo popolo è ancora
in vita solo perché sta lottando con tutte le proprie forze contro quei
famigerati memorandum; cioè contro le conseguenze di politiche che, come ci ricordava Luciano Gallino su Repubblica del 15.3,
vanno considerate un vero e proprio "crimine contro l'umanità".
Eppure quella medicina i sostenitori del pensiero unico insistono a propinarla;
la loro "scienza" non può sbagliare; d'altronde a morirne è solo il
paziente. Ma in quel cannocchiale puntato sulla Grecia, qualcuno dei nostri
economisti-columnist ha provato a guardare?
Un secondo buco nero, che non richiede nemmeno un binocolo per
essere visto, è una meteora che sta per precipitare sul nostro già devastato
paese, e su molti altri, per ridurli in poco tempo in cenere come la Grecia. Si
chiama fiscal compact e prevede per le finanze dell'Italia,
a partire dall'anno prossimo, l'esborso di circa 50
miliardi all'anno, per venti anni di seguito, per restituire
una parte cospicua del debito pubblico del nostro paese. Cinquanta miliardi che
si andranno ad aggiungere ai quasi 100 che già sborsiamo ogni anno, sotto forma
di interessi, ai creditori (privati) dello Stato italiano; soprattutto da
quando è stato realizzato il famigerato "divorzio" tra Governo e
Banca d'Italia; la quale, da allora non ha più potuto finanziare il deficit
della spesa pubblica.
Cumulando
gli interessi che lo Stato italiano ha pagato da allora, infatti, e per nessun
altro motivo, si è andato costituendo quel mostruoso debito pubblico che oggi
viene invece imputato a una popolazione saccheggiata e impoverita, che secondo
gli economisti mainstream sarebbe vissuta per anni "al di sopra delle sue
possibilità". Quel "divorzio", peraltro, ha poi fornito alla BCE
il modello dello statuto che la esclude dal ruolo di "prestatore di ultima
istanza"; e che è all'origine della maggior parte dei colpi inferti alla
solidarietà e alla solidità dell'Unione Europea. Per questo, sia detto di
sfuggita, "uscire dall'euro", posto che sia fattibile, non ci
restituirebbe certo un prestatore di ultima istanza: un'istituzione che può
invece venir reintrodotta solo con una lotta condotta a livello europeo. Bene,
in quel binocolo nessun economista-columnist sembra disposto a guardare: cioè a
spiegare da dove lo Stato italiano potrà mai tirar fuori tutto quel denaro;
ovvero quale tasso di crescita sarebbe necessario raggiungere - e subito! - per
far fronte a un impegno simile. Preferiscono discettare, incensando il nuovo
premier come avevano fatto con tutti quelli venuti prima di lui, sui due o
quattro decimali di punto percentuale su cui potrebbe giocare Renzi per far
quadrare i conti senza far arrabbiare troppo la Commissione europea. Ma può
quel che resta del tessuto produttivo italiano, non dico "crescere",
ma reggere ancora a lungo, se lo Stato destina ogni anno alla rendita un decimo
del PIL? Nessuna risposta in proposito sembra venire dai politici e dagli
economisti che stanno mandando anche noi al rogo.
Il fatto è
che per scrutare sia le viscere di quei poteri dove si accentra ormai quasi
metà della ricchezza della Terra, sia l'universo di una popolazione mondiale -
e "nel suo piccolo", italiana - proletarizzata, impoverita,
sfruttata, indebitata e sospinta ai margini di una vita decente, ci vogliono
ben altre discipline che non l'economia mainstream, di destra o di sinistra. Ci
vuole una "scienza nuova" che cancelli dalla faccia della terra tutti
i quei pregiudizi; una scienza come quella con cui Galileo aveva fatto piazza
pulita dell'universo tolemaico. O, forse, non una scienza vera e propria, con
tutti i paludamenti che accompagnano questo termine, ma un insieme di saperi
costruiti guardando in faccia il mondo com'è (e come è stato ridotto dai
cultori e dai seguaci dell'economia mainstream). Dei saperi costruiti sulle
evidenze della vita quotidiana di milioni di uomini, di donne, di vecchi e di
bambini; sui loro bisogni; sui loro desideri; e soprattutto sui loro mille
talenti: quelli che l'organizzazione sociale prodotta dal pensiero unico non fa
che calpestare giorno dopo giorno.
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