Film in famiglia
Sangue del mio sangue
è l’ultimo film di Marco Bellocchio presentato al Festival di Venezia 2015. Non
sono sicura di aver capito del tutto il rapporto tra le due diverse storie
narrate nel film, ambientate nello stesso luogo a distanza di 600 anni, ma probabilmente
il nesso non c’è. Si riscontrano comunque delle analogie sul senso di enclave, sulla detenzione del potere, sull’autoprotezione
e chiusura al mondo esterno, sulle superstizioni.
Mentre la parte secentesca è molto ben girata con una bella
luce caravaggesca che mette in evidenza i volti scavati, gli abiti dell’epoca
(per quanto i costumi siano prevalentemente quelli di religiosi) e le
ambientazioni – sottolineate da un’ottima musica -, la parte contemporanea è frazionata,
goffamente felliniana, più comica che ironica, con dialoghi sull’attualità un
po’ generici, un po’ banali: le fatture del medico, gli scontrini, la guardia
di finanza, la navigazione in internet sono tutti segni della contemporaneità.
Le
storie: in un convento di suore di clausura sul fiume Trebbia a Bobbio, bussa
Federico (Pier Giorgio Bellocchio figlio del regista) un uomo d'arme, con lo
scopo di riabilitare la memoria del fratello (gemello?) sacerdote morto suicida.
L’Inquisizione accusa una giovane suora (Lydia Liberman è la nostra Monaca di
Monza) di
averlo sedotto e fatto impazzire. Una strega? Un patto con Satana? Tuttavia
Federico invece di vendicarsi si sente morbosamente attratto dalla giovane
donna che non ha nulla di cui pentirsi e viene pertanto condannata a essere
murata viva in una cella. La colpa, naturalmente, deve ricadere più sulla suora che sul sacerdote perché è sempre viva
l’idea della donna quale potenza demoniaca.
Nello
stesso convento ai tempi d’oggi sempre Federico, piccolo truffatore, si finge
ispettore regionale e vuole far comprare il degradato ex convento - diventato
ex carcere - a un suo amico sedicente miliardario russo.
Lì
tutta una serie di intrighi e intrallazzi: una sorta di conte Dracula (Roberto
Herlitzka) vive nascosto nel Convento ma partecipa a un Comitato politico e di
affari del paese con i cui membri gestisce la sorte della piccola cittadina con
la nostalgia di un periodo passato e di una giovinezza sfiorita. Un potere
connivente al sistema mafioso che distribuisce “favori” equamente tra gli
abitanti come le invalidità fisiche presunte per le quali si ottengono fondi
regionali o comunque sovvenzioni pubbliche.
Il
finale del film (o meglio i finali delle storie) sembrerebbe gratificare il
femminile perché la suora viene graziata da Federico diventato nel frattempo
cardinale (Alberto Bellocchio fratello del regista) e se ne va nuda e libera
mentre sia Federico nella prima storia che il Conte nella seconda, soccombono e
nulla possono rispetto al simbolo femminile di libertà.
E così, con un po’ di
fatica, le storie sono ricucite.
Ghisi Grütter
Ghisi Grütter
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