La commissione d’inchiesta sull’Eritrea ha presentato al Consiglio dell’Onu per i diritti umani il rapporto derivante da oltre un anno di analisi della situazione nel Paese africano: 484 pagine che sono state rese pubbliche il 26 giugno a Ginevra e definite, da molti osservatori internazionali, agghiaccianti.
La commissione era stata istituita nel giugno 2014 con la risoluzione 26/24 del Consiglio per i diritti umani. Lo scopo era di reperire informazioni veritiere, magari frutto d’ispezioni in grado di accertare la situazione dei diritti umani e in generale di sondare lo stato dell’arte in merito ai lavori di riassetto istituzionale iniziati nel 1997 con una nuova costituzione, mai applicata, e proseguiti con costanti modifiche normative volte ad implementare i poteri dell’Esecutivo.
Un rapporto in differita
Il rapporto della commissione d’inchiesta spiega come sia ormai la paura che governa il Paese anziché la legge. Una paura frutto del costante uso di violenza e giustizia arbitraria quali strumenti di esercizio del potere esecutivo a discapito di qualsivoglia forma di opposizione democratica, libertà di stampa e di espressione.
La commissione non ha mai potuto visitare il Paese, nonostante le numerose richieste formali presentate dai funzionari Onu, ed ha dovuto, quindi, redigere il rapporto basandosi “solo” su oltre 500 testimonianze e circa 160 resoconti scritti: tutte informazioni pervenute da cittadini eritrei fuggiti all’estero o segretamente attivi nell’opposizione al governo del presidente Isaias Afewerki.
Leggendo il rapporto si evince la totale assenza in Eritrea di uno stato di diritto. Ogni azione compiuta dal Governo, quindi, dalle torture fisiche, agli abusi sessuali, alle rappresaglie sull’intera famiglia di un condannato, non è considerabile come una violazione, mancando ogni forma di garanzie civili.
Il Paese è all’ultimo posto al mondo, preceduto solo dalla Corea del Nord, per libertà d’informazione. Esiste un unico partito, nonostante la citata Costituzione del 1997 preveda un parlamento multipolare, e vige un ufficioso divieto di espatrio che permette alla polizia di frontiera di “sparare per uccidere” qualsiasi cittadino eritreo che provi ad uscire dal Paese.
Cittadini in fuga: 5000 al mese
Nonostante sia rischioso, e molto costoso, sono moltissimi i cittadini eritrei, circa 5000 ogni mese, che provano a fuggire chiedendo asilo in Europa. Un tale dato spiega il motivo per cui il numero di richieste d’asilo provenienti dall’Eritrea e rivolte a Paesi dell’Unione europea (Ue) nel 2015 sia secondo solo a quello della Siria.
I cittadini eritrei che vivono, quindi, in una situazione di terrore documentata dall’Onu quest’anno, ma già resa nota nel 2014 da Human Rights Watch e da Reporters Without Borders, provano a fuggire, spesso inutilmente, sperando di essere accolti in realtà in cui vi sia rispetto per la vita umana.
A tal proposito il rapporto Onu spiega che buona parte degli atti documentati si potrebbe configurare come crimini contro l’umanità, possibili oggetto di ricorso alla giustizia penale internazionale, stante la sicura non accettazione di eventuali conseguenze da parte del governo in carica. Un governo, noto al mondo per il proprio isolamento internazionale, pari solo quello del regime nordcoreano, in grado di rigettare ogni forma di contestazione ma sempre disponibile ad accogliere aiuti internazionali.
La Comunità internazionale passiva
Fa specie, infatti, quanto poco si discuta del caso eritreo, legittimando indirettamente il governo a perpetrare il proprio atteggiamento, dispotico, sicuro di agire nell’indifferenza di una Comunità internazionale impegnata su altri fronti e comunque poco interessata al caso.
I media internazionali dedicano una discreta attenzione, ad esempio, alle vicende nordcoreane, caratterizzate dalle costanti minacce nucleari, ma non informano, se non marginalmente, circa quella che molti studiosi definiscono la Corea del Nord d’Africa, appunto, l’Eritrea.
Attualmente, il Paese è soggetto a sanzioni economiche dell’Onu per la propria connivenza con il gruppo terroristico somalo di stampo islamista Shabaab, ma non per il modo in cui tratta i cittadini.
Il rapporto ha evidenziato anche quanto le promesse democratiche del 1997 siano ormai cadute nel dimenticatoio, mentre le detenzioni arbitrarie e l’inesistenza di ogni forma di libertà hanno preso, tristemente, il sopravvento nel Paese.
È recente la notizia di un avvio delle trattative tra Ue e governo di Asmara per la concessione di oltre 300 milioni di euro in aiuti allo sviluppo. Tale iniziativa sta generando, a giusto titolo, le critiche di buona parte delle organizzazioni eritree sorte all’estero per sostenere la causa dei diritti umani nel Paese, prima tra tutte “Eritrei democratici”.
La richiesta, rivolta all’Ue, è di non concedere alcun aiuto economico se non in cambio d’impegni sul fronte della tutela dei diritti umani e soprattutto previa esposizione di un piano di rilancio dell’economia che chiarisca come, questi fondi, saranno impiegati.
Ancora una volta, quindi, l’Onu ufficializza, mediante un apposito resoconto, quanto già noto alla Comunità internazionale e ancora una volta quest’ultima, non fa niente, o quasi, per provare a risolvere quanto emerso.
Il Paese africano, come molti altri del continente, patisce ancora le conseguenze di una devastante colonizzazione, italiana prima ed etiope poi, entrambe poco proficue per la giovane nazione del Corno d’Africa che rischia di raggiungere nuovi tristi primati divenendo una sorta di campione assoluto di violazioni democratiche e dei diritti umani.
Francesco Celentano, neolaureato in Giurisprudenza e praticante legale, si sta specializzando nello studio del diritto internazionale, già oggetto della sua tesi di laurea redatta durante un periodo di ricerca presso l'ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra.
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La commissione era stata istituita nel giugno 2014 con la risoluzione 26/24 del Consiglio per i diritti umani. Lo scopo era di reperire informazioni veritiere, magari frutto d’ispezioni in grado di accertare la situazione dei diritti umani e in generale di sondare lo stato dell’arte in merito ai lavori di riassetto istituzionale iniziati nel 1997 con una nuova costituzione, mai applicata, e proseguiti con costanti modifiche normative volte ad implementare i poteri dell’Esecutivo.
Un rapporto in differita
Il rapporto della commissione d’inchiesta spiega come sia ormai la paura che governa il Paese anziché la legge. Una paura frutto del costante uso di violenza e giustizia arbitraria quali strumenti di esercizio del potere esecutivo a discapito di qualsivoglia forma di opposizione democratica, libertà di stampa e di espressione.
La commissione non ha mai potuto visitare il Paese, nonostante le numerose richieste formali presentate dai funzionari Onu, ed ha dovuto, quindi, redigere il rapporto basandosi “solo” su oltre 500 testimonianze e circa 160 resoconti scritti: tutte informazioni pervenute da cittadini eritrei fuggiti all’estero o segretamente attivi nell’opposizione al governo del presidente Isaias Afewerki.
Leggendo il rapporto si evince la totale assenza in Eritrea di uno stato di diritto. Ogni azione compiuta dal Governo, quindi, dalle torture fisiche, agli abusi sessuali, alle rappresaglie sull’intera famiglia di un condannato, non è considerabile come una violazione, mancando ogni forma di garanzie civili.
Il Paese è all’ultimo posto al mondo, preceduto solo dalla Corea del Nord, per libertà d’informazione. Esiste un unico partito, nonostante la citata Costituzione del 1997 preveda un parlamento multipolare, e vige un ufficioso divieto di espatrio che permette alla polizia di frontiera di “sparare per uccidere” qualsiasi cittadino eritreo che provi ad uscire dal Paese.
Cittadini in fuga: 5000 al mese
Nonostante sia rischioso, e molto costoso, sono moltissimi i cittadini eritrei, circa 5000 ogni mese, che provano a fuggire chiedendo asilo in Europa. Un tale dato spiega il motivo per cui il numero di richieste d’asilo provenienti dall’Eritrea e rivolte a Paesi dell’Unione europea (Ue) nel 2015 sia secondo solo a quello della Siria.
I cittadini eritrei che vivono, quindi, in una situazione di terrore documentata dall’Onu quest’anno, ma già resa nota nel 2014 da Human Rights Watch e da Reporters Without Borders, provano a fuggire, spesso inutilmente, sperando di essere accolti in realtà in cui vi sia rispetto per la vita umana.
A tal proposito il rapporto Onu spiega che buona parte degli atti documentati si potrebbe configurare come crimini contro l’umanità, possibili oggetto di ricorso alla giustizia penale internazionale, stante la sicura non accettazione di eventuali conseguenze da parte del governo in carica. Un governo, noto al mondo per il proprio isolamento internazionale, pari solo quello del regime nordcoreano, in grado di rigettare ogni forma di contestazione ma sempre disponibile ad accogliere aiuti internazionali.
La Comunità internazionale passiva
Fa specie, infatti, quanto poco si discuta del caso eritreo, legittimando indirettamente il governo a perpetrare il proprio atteggiamento, dispotico, sicuro di agire nell’indifferenza di una Comunità internazionale impegnata su altri fronti e comunque poco interessata al caso.
I media internazionali dedicano una discreta attenzione, ad esempio, alle vicende nordcoreane, caratterizzate dalle costanti minacce nucleari, ma non informano, se non marginalmente, circa quella che molti studiosi definiscono la Corea del Nord d’Africa, appunto, l’Eritrea.
Attualmente, il Paese è soggetto a sanzioni economiche dell’Onu per la propria connivenza con il gruppo terroristico somalo di stampo islamista Shabaab, ma non per il modo in cui tratta i cittadini.
Il rapporto ha evidenziato anche quanto le promesse democratiche del 1997 siano ormai cadute nel dimenticatoio, mentre le detenzioni arbitrarie e l’inesistenza di ogni forma di libertà hanno preso, tristemente, il sopravvento nel Paese.
È recente la notizia di un avvio delle trattative tra Ue e governo di Asmara per la concessione di oltre 300 milioni di euro in aiuti allo sviluppo. Tale iniziativa sta generando, a giusto titolo, le critiche di buona parte delle organizzazioni eritree sorte all’estero per sostenere la causa dei diritti umani nel Paese, prima tra tutte “Eritrei democratici”.
La richiesta, rivolta all’Ue, è di non concedere alcun aiuto economico se non in cambio d’impegni sul fronte della tutela dei diritti umani e soprattutto previa esposizione di un piano di rilancio dell’economia che chiarisca come, questi fondi, saranno impiegati.
Ancora una volta, quindi, l’Onu ufficializza, mediante un apposito resoconto, quanto già noto alla Comunità internazionale e ancora una volta quest’ultima, non fa niente, o quasi, per provare a risolvere quanto emerso.
Il Paese africano, come molti altri del continente, patisce ancora le conseguenze di una devastante colonizzazione, italiana prima ed etiope poi, entrambe poco proficue per la giovane nazione del Corno d’Africa che rischia di raggiungere nuovi tristi primati divenendo una sorta di campione assoluto di violazioni democratiche e dei diritti umani.
Francesco Celentano, neolaureato in Giurisprudenza e praticante legale, si sta specializzando nello studio del diritto internazionale, già oggetto della sua tesi di laurea redatta durante un periodo di ricerca presso l'ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra.
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