Amore di mamma
In generale non sono un’appassionata di film dell’horror ma
ho voluto vedere BABADOOK perché mi sono incuriosita per l’ottima recensione
che Roberto Nepoti ha scritto su “La Repubblica” citando perfino Shining, (il film di Kubrick che,
comunque, ho amato di meno).
Amelia (una molto brava Essie Davis) vive sola con Samuel,
il figlio di sei anni (uno strepitoso Noah Wiseman). Il marito è morto in un
incidente d’auto proprio per accompagnare Amelia a partorire: una triste storia
di solitudine che il bambino vive come diversità.
Il film è girato prevalentemente nell’interno - come molti
di questi film tra l’horror e lo psicologico - di una casetta minimalista della
suburbia dove, presumibilmente, vive
la midlle-class australiana. L’inizio
è molto promettente, gli interni arredati con cura, la fotografia ben studiata:
tutto è giocato su allusioni e sono mostrate solo le stranezze del bambino
affascinato più dai giochi di prestigio e dalle bizzarre armi che crea lui
stesso, piuttosto che da giochi con altri bambini (ricordate le stranezze che
faceva Harold per attrarre l’attenzione della madre in quel delizioso film di
Hal Ashby Harold e Maude del 1971?). Il
thriller psicologico è impostato così bene che la mia compagna di cinema, molto
più preparata ed esperta di me, ha addirittura evocato Repulsion di Polanski del 1965, con una giovanissima e affascinate
Catherine Denevue.
La regista Jennifer Kent in BABADOOK man mano accelera fino
a farci perdere il senso del dramma delle difficoltà e delle proiezioni psicologiche
di una vita a due sempre più emarginata (lui lascia la scuola, lei si dà malata
al lavoro…) per esagerare con la spettacolarizzazione di figure grottesche
(Nosferratu con gli artigli) nelle scene horror, dove sembra che l’urlo sia
sempre più forte un po’ come i fuochi d’artificio che aumentano in crescendo. E
qui giù con tutto il repertorio: il coltellone da macellaio, le lotte,
le fughe, i ripostigli, l’innocente cagnolino…
Le parti quindi si ribaltano: è il bambino adesso a “prendersi
cura” della madre malata che fa e dice cose strane. Alla fine invece
dell’esorcismo sarà l’amore di mamma a vincere sul mostro! Mi chiedo perché la
malattia psichiatrica – se questo era l’intento della Kent - debba per forza
assomigliare all’“essere posseduti” dal demonio.
Ghisi Grütter
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