Valentina Grippo
Orlando Corsetti
Ci vuole proprio una bella faccia di bronzo se due tra i 19 consiglieri PD che hanno firmato dal notaio la fuoriuscita di Marino e della sua giunta, due bei esemplari di politica de noantri, si presentano questo pomeriggio al circolo PD di via Catanzaro,ai loro elettori e base elettorale di riferimento per dare la loro versione dei fatti di quanto successo al Campidoglio e dintorni negli ultimi mesi.
Questi due campioni della democrazia esercitata dal notaio sono Valentina Grippo ed Orlando Corsetti.Due consiglieri PD del II Municipio che hanno pensato bene di obbedire al commissario romano del PD Matteo Orfini,emissario del Grande Capo PD, sottoscrivendo in uno studio notarile l'atto di sfiducia nei confronti di Marino.Si sono guardati bene ,prima di compiere questo gesto ,di confrontarsi con la propria base elettorale e in aggiunta si sono anche sottratti alla discussione in aula Giulio Cesare che poteva portare ,attraverso una votazione palese e democratica,anche allo stesso risultato ottenuto firmando dal notaio.
La democrazia ,parola usata ed abusata,non abita più dalle parti del Partito Democratico,nè tantomeno dalle parti di questi piccoli consiglieri che pur di mantenersi la poltroncina attaccata al didietro abiurano gli stessi principi in nome e per conto dei quali sono stati eletti.Ma si sà, già si respira aria di prossime elezioni e perchè allora non incontrare i propri affezionati elettori per un remind a futuro voto?No comment.
Sarebbe interessante sentire cosa diranno per giustificarsi.Ma ci scusino i lettori:preferiamo astenerci perchè conosciamo il copione.L'importante è che la gente si ricordi di loro,come anche degli altri 24, negandogli il voto,l'unica cosa che gli preme.
E se il tempo fa dimenticare anche le cose più odiose,un piccolo servizio di promemoria sarà sempre fornito da Tre Righe....per non dimenticare con chi abbiamo a che fare.
Domenico Fischetto
Dopo Parigi, parlare di guerra può indurre in errore Stefano Silvestri 16/11/2015 |
La parola più usata è “guerra”. Ma siamo sicuri che si tratti della parola giusta? E comunque, cosa vogliamo dire, in realtà?
Di “guerra”, al terrore, parlammo anche dopo l’attacco di Al-Qaida, l’11 settembre 2001, tanto che gli alleati offrirono agli Stati Uniti la solidarietà dell’art.5 del Trattato di Washington, la mobilitazione della Nato.
Allora gli statunitensi preferirono seguire altre strade per condurre il loro attacco ad Al-Qaida e al governo dei talebani, in Afghanistan, che offriva ai terroristi rifugio ed aiuto. La Nato intervenne in quel paese solo più tardi, per condurre un processo di stabilizzazione e state-building che è ancora oggi in forse.
La Turchia ha chiesto la solidarietà della Nato, sulla base dell’art.5, contro gli attacchi terroristici, non solo dell’Isis e di Al-Qaida, ma anche, secondo Ankara, dei curdi del Pkk e, indirettamente, del governo di Bashar el Assad, in Siria. Gli alleati hanno espresso solidarietà, ma non hanno avviato una mobilitazione collettiva.
Nessuno ha ancora parlato ufficialmente dell’art.5 e della Nato per rispondere agli attacchi terroristici di Parigi, ma molte voci si sono levate per sostenere che la guerra all’Isis dovrebbe diventare compito della Nato. Non è chiaro se questa responsabilità della Alleanza dovrebbe estendersi solo all’Iraq, anche alla Siria e infine a tutti o ad alcuni degli altri territori controllati da affiliazioni dell’Isis come ad esempio in Libia, nel Sinai, in Yemen, in Nigeria o altrove.
Le due facce del terrorismo
Il problema ha due facce, una interna e una internazionale. Esse sono collegate, ma restano tra loro molto diverse ed autonome. Da un lato ci sono i terroristi che hanno colpito la Francia e che potranno domani colpire altri paesi, europei e non. Questi terroristi pongono un grosso problema di sicurezza interna, ma non una minaccia di tipo militare.
Essi sono ispirati dall’Isis, ma sono anche autonomi, e il loro reclutamento è in genere opera di predicatori e “cattivi maestri” insediati in Europa, anche se si nutrono dei proclami e degli slogan che circolano su Internet e che sono elaborati e diffusi dalla centrale propagandistica dell’Isis.
Con qualche forzatura, volendo restare nella logica della “guerra”, potremmo definirli una “quinta colonna”. La lotta contro di loro richiede un’intensa azione investigativa e di intelligence oltre ad una forte opera di contro-propaganda e di mobilitazione sociale, soprattutto all’interno delle comunità etniche e religiose d’origine.
Quadro delle alleanze adatte ai nostri fini
Dall’altro lato ci sono l’Isis e i territori controllati dalle sue bande e da quelle ad esso affiliate. In questi casi è necessario un intervento militare, per spezzarne l’iniziativa e per negare loro il controllo del territorio. Questo potrebbe anche divenire compito della Nato, ma solo a condizione che l’arrivo dell’Alleanza non complichi la condotta politico-strategica delle operazioni, invece di semplificarla (come certamente avverrebbe sul piano meramente operativo e tattico).
In altri termini, bisogna valutare qual è il quadro delle alleanze che riteniamo più adatto ai nostri fini e, su questa base, decidere anche del ruolo e delle responsabilità della Nato.
Così, ad esempio, quali saranno i nostri alleati regionali? Ce ne sono molti, forse troppi, dalla Turchia all’Iran, dall’Arabia Saudita ad Israele, dall’Egitto alla Russia, oltre ai curdi (di varia estrazione e fede politica), al governo di Baghdad e alle tante fazioni siriane. Molti di essi sono tra loro incompatibili ed ognuno ha le sue priorità e i suoi obiettivi, diversi l’uno dall’altro, e spesso dai nostri.
È chiaro come sia necessario esercitare una dura pressione militare sull’Isis annullando la sua attuale immagine “vincente” - che alimenta il suo reclutamento internazionale - e distruggendo quanto più possibile delle sue capacità militari, finanziarie e propagandistiche.
Tuttavia è chiaro che questo potrà avere successo solo assicurando un realistico e stabile controllo dei territori che verranno man mano “liberati”: cacciarlo da quei territori è il primo passo necessario, impedirgli di ritornare è il secondo, ed è qui che diventa determinante la scelta degli alleati, visto che nessuno pensa di rimettere in piedi un sistema coloniale.
Parlare di “guerra” può dare idee semplicistiche e sbagliate. Così, ad esempio, c’è chi pensa che un eventuale intervento alleato in Siria ed Iraq potrebbe essere analogo all’intervento alleato in Germania durante la II Guerra Mondiale, terminato con la suddivisione della Germania in territori affidati alla responsabilità primaria di una delle potenze vincitrici, che ha rapidamente portato alla creazione delle due Germanie, quella democratica occidentale e quella comunista orientale e, dopo il crollo del muro di Berlino e del blocco comunista, alla loro finale riunificazione.
Lotta al brigantaggio, non guerra
In questa ipotesi si procederebbe (un po’ come è avvenuto per l’ex-federazione jugoslava) ad affidare porzioni di territorio all’autogoverno delle fazioni o delle etnie dominanti in quell’area al termine delle operazioni militari, magari sotto il controllo tutelare delle Nazioni Unite o degli alleati.
Questa situazione è però molto diversa da quelle, e stiamo vedendo anche in Europa i problemi che la crescente frammentazione di stati nazionali, dal Regno Unito alla Spagna, rischia di porre. Moltiplichiamoli per cento e vediamo che cosa potrebbe accadere in tutto il Medio Oriente ed in Africa. Chi pensa di poter governare un simile processo?
Ed infine, veramente vogliamo regalare a questi terroristi e a queste bande di assassini sanguinari, che non rispettano né le leggi di guerra né gli stessi precetti umanitari della loro religione, la dignità di definirli come un nemico legittimo?
Dobbiamo forse inviare una formale dichiarazione di guerra all’Isis, o non dobbiamo piuttosto condurre una muscolosa e decisa operazione di polizia internazionale per mettere fine al controllo su estesi territori da parte di bande di briganti?
Questa è lotta al brigantaggio, non guerra.
Stefano Silvestri è direttore di AffarInternazionali e consigliere scientifico dello IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3229#sthash.Napcqckx.dpufDi “guerra”, al terrore, parlammo anche dopo l’attacco di Al-Qaida, l’11 settembre 2001, tanto che gli alleati offrirono agli Stati Uniti la solidarietà dell’art.5 del Trattato di Washington, la mobilitazione della Nato.
Allora gli statunitensi preferirono seguire altre strade per condurre il loro attacco ad Al-Qaida e al governo dei talebani, in Afghanistan, che offriva ai terroristi rifugio ed aiuto. La Nato intervenne in quel paese solo più tardi, per condurre un processo di stabilizzazione e state-building che è ancora oggi in forse.
La Turchia ha chiesto la solidarietà della Nato, sulla base dell’art.5, contro gli attacchi terroristici, non solo dell’Isis e di Al-Qaida, ma anche, secondo Ankara, dei curdi del Pkk e, indirettamente, del governo di Bashar el Assad, in Siria. Gli alleati hanno espresso solidarietà, ma non hanno avviato una mobilitazione collettiva.
Nessuno ha ancora parlato ufficialmente dell’art.5 e della Nato per rispondere agli attacchi terroristici di Parigi, ma molte voci si sono levate per sostenere che la guerra all’Isis dovrebbe diventare compito della Nato. Non è chiaro se questa responsabilità della Alleanza dovrebbe estendersi solo all’Iraq, anche alla Siria e infine a tutti o ad alcuni degli altri territori controllati da affiliazioni dell’Isis come ad esempio in Libia, nel Sinai, in Yemen, in Nigeria o altrove.
Le due facce del terrorismo
Il problema ha due facce, una interna e una internazionale. Esse sono collegate, ma restano tra loro molto diverse ed autonome. Da un lato ci sono i terroristi che hanno colpito la Francia e che potranno domani colpire altri paesi, europei e non. Questi terroristi pongono un grosso problema di sicurezza interna, ma non una minaccia di tipo militare.
Essi sono ispirati dall’Isis, ma sono anche autonomi, e il loro reclutamento è in genere opera di predicatori e “cattivi maestri” insediati in Europa, anche se si nutrono dei proclami e degli slogan che circolano su Internet e che sono elaborati e diffusi dalla centrale propagandistica dell’Isis.
Con qualche forzatura, volendo restare nella logica della “guerra”, potremmo definirli una “quinta colonna”. La lotta contro di loro richiede un’intensa azione investigativa e di intelligence oltre ad una forte opera di contro-propaganda e di mobilitazione sociale, soprattutto all’interno delle comunità etniche e religiose d’origine.
Quadro delle alleanze adatte ai nostri fini
Dall’altro lato ci sono l’Isis e i territori controllati dalle sue bande e da quelle ad esso affiliate. In questi casi è necessario un intervento militare, per spezzarne l’iniziativa e per negare loro il controllo del territorio. Questo potrebbe anche divenire compito della Nato, ma solo a condizione che l’arrivo dell’Alleanza non complichi la condotta politico-strategica delle operazioni, invece di semplificarla (come certamente avverrebbe sul piano meramente operativo e tattico).
In altri termini, bisogna valutare qual è il quadro delle alleanze che riteniamo più adatto ai nostri fini e, su questa base, decidere anche del ruolo e delle responsabilità della Nato.
Così, ad esempio, quali saranno i nostri alleati regionali? Ce ne sono molti, forse troppi, dalla Turchia all’Iran, dall’Arabia Saudita ad Israele, dall’Egitto alla Russia, oltre ai curdi (di varia estrazione e fede politica), al governo di Baghdad e alle tante fazioni siriane. Molti di essi sono tra loro incompatibili ed ognuno ha le sue priorità e i suoi obiettivi, diversi l’uno dall’altro, e spesso dai nostri.
È chiaro come sia necessario esercitare una dura pressione militare sull’Isis annullando la sua attuale immagine “vincente” - che alimenta il suo reclutamento internazionale - e distruggendo quanto più possibile delle sue capacità militari, finanziarie e propagandistiche.
Tuttavia è chiaro che questo potrà avere successo solo assicurando un realistico e stabile controllo dei territori che verranno man mano “liberati”: cacciarlo da quei territori è il primo passo necessario, impedirgli di ritornare è il secondo, ed è qui che diventa determinante la scelta degli alleati, visto che nessuno pensa di rimettere in piedi un sistema coloniale.
Parlare di “guerra” può dare idee semplicistiche e sbagliate. Così, ad esempio, c’è chi pensa che un eventuale intervento alleato in Siria ed Iraq potrebbe essere analogo all’intervento alleato in Germania durante la II Guerra Mondiale, terminato con la suddivisione della Germania in territori affidati alla responsabilità primaria di una delle potenze vincitrici, che ha rapidamente portato alla creazione delle due Germanie, quella democratica occidentale e quella comunista orientale e, dopo il crollo del muro di Berlino e del blocco comunista, alla loro finale riunificazione.
Lotta al brigantaggio, non guerra
In questa ipotesi si procederebbe (un po’ come è avvenuto per l’ex-federazione jugoslava) ad affidare porzioni di territorio all’autogoverno delle fazioni o delle etnie dominanti in quell’area al termine delle operazioni militari, magari sotto il controllo tutelare delle Nazioni Unite o degli alleati.
Questa situazione è però molto diversa da quelle, e stiamo vedendo anche in Europa i problemi che la crescente frammentazione di stati nazionali, dal Regno Unito alla Spagna, rischia di porre. Moltiplichiamoli per cento e vediamo che cosa potrebbe accadere in tutto il Medio Oriente ed in Africa. Chi pensa di poter governare un simile processo?
Ed infine, veramente vogliamo regalare a questi terroristi e a queste bande di assassini sanguinari, che non rispettano né le leggi di guerra né gli stessi precetti umanitari della loro religione, la dignità di definirli come un nemico legittimo?
Dobbiamo forse inviare una formale dichiarazione di guerra all’Isis, o non dobbiamo piuttosto condurre una muscolosa e decisa operazione di polizia internazionale per mettere fine al controllo su estesi territori da parte di bande di briganti?
Questa è lotta al brigantaggio, non guerra.
Stefano Silvestri è direttore di AffarInternazionali e consigliere scientifico dello IAI.
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Il
diritto internazionale e l’intervento contro l’Isis - See more at:
http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3230#sthash.1OTUuBqu.dpuf
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Il diritto internazionale e l’intervento contro l’Isis Natalino Ronzitti 16/11/2015 |
Come rispondere all’attacco terrorista
di Parigi? Le soluzioni prefigurate da esperti e politici sono
molteplici e spesso confuse. Il Presidente francese François Hollande ha
qualificato l’attacco come un “atto di guerra” e taluni considerano
imminente una risposta militare.
Da parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3230#sthash.1OTUuBqu.dpufDa parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
Il diritto internazionale e l’intervento contro l’Isis Natalino Ronzitti 16/11/2015 |
Come rispondere all’attacco terrorista
di Parigi? Le soluzioni prefigurate da esperti e politici sono
molteplici e spesso confuse. Il Presidente francese François Hollande ha
qualificato l’attacco come un “atto di guerra” e taluni considerano
imminente una risposta militare.
Da parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
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Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
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Guerra al Califfato Il diritto internazionale e l’intervento contro l’Isis Natalino Ronzitti 16/11/2015 |
Come rispondere all’attacco terrorista
di Parigi? Le soluzioni prefigurate da esperti e politici sono
molteplici e spesso confuse. Il Presidente francese François Hollande ha
qualificato l’attacco come un “atto di guerra” e taluni considerano
imminente una risposta militare.
Da parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3230#sthash.1OTUuBqu.dpufDa parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
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Come rispondere all’attacco terrorista
di Parigi? Le soluzioni prefigurate da esperti e politici sono
molteplici e spesso confuse. Il Presidente francese François Hollande ha
qualificato l’attacco come un “atto di guerra” e taluni considerano
imminente una risposta militare.
Da parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3230#sthash.1OTUuBqu.dpufDa parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
Guerra al Califfato Il diritto internazionale e l’intervento contro l’Isis Natalino Ronzitti 16/11/2015 |
Come rispondere all’attacco terrorista
di Parigi? Le soluzioni prefigurate da esperti e politici sono
molteplici e spesso confuse. Il Presidente francese François Hollande ha
qualificato l’attacco come un “atto di guerra” e taluni considerano
imminente una risposta militare.
Da parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3230#sthash.1OTUuBqu.dpufDa parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
Guerra al Califfato Il diritto internazionale e l’intervento contro l’Isis Natalino Ronzitti 16/11/2015 |
Come rispondere all’attacco terrorista
di Parigi? Le soluzioni prefigurate da esperti e politici sono
molteplici e spesso confuse. Il Presidente francese François Hollande ha
qualificato l’attacco come un “atto di guerra” e taluni considerano
imminente una risposta militare.
Da parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3230#sthash.1OTUuBqu.dpufDa parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
Il diritto internazionale e l’intervento contro l’Isis Natalino Ronzitti 16/11/2015 |
Come rispondere all’attacco terrorista
di Parigi? Le soluzioni prefigurate da esperti e politici sono
molteplici e spesso confuse. Il Presidente francese François Hollande ha
qualificato l’attacco come un “atto di guerra” e taluni considerano
imminente una risposta militare.
Da parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3230#sthash.WJeA2wCH.dpufDa parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
Il diritto internazionale e l’intervento contro l’Isis Natalino Ronzitti 16/11/2015 |
Come rispondere all’attacco terrorista
di Parigi? Le soluzioni prefigurate da esperti e politici sono
molteplici e spesso confuse. Il Presidente francese François Hollande ha
qualificato l’attacco come un “atto di guerra” e taluni considerano
imminente una risposta militare.
Da parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3230#sthash.WJeA2wCH.dpufDa parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
C'è da dire che in Italia, questi gentiluomini, i politici, devono dimostrare d’essere in linea con la Regola delle “3T” oppure non diventano neppure consiglieri circoscrizionali. Ben è difficile per un onest’uomo avere uno di tali requisiti. Infatti penso sia bene elencarli:
RispondiElimina1°. Taglia Borse
2°. Taglia Gole
3°. Totali Idioti
Come il campionario politico e parlamentare italiano sembra al mondo ben mostrare!