30 dicembre 2015

Recensione film PERFECT DAY di Fernando Leòn de Arano,


Locandina Perfect Day


“Perfect day” ha il merito di evidenziare alcuni lati secondari della guerra come i tentativi degli operatori umanitari di dare una mano alla popolazione dei Balcani - attorno al 1995 - che maggiormente ha sofferto e ha soffre la devastazione del conflitto. Regole insulse e protocolli da seguire sono trasgrediti dal nostro piccolo gruppetto, dove i maschi sono “maschi”, coraggiosi e protettivi e le donne o ingenue e inesperte come Sophie (Melanie Thierry) o belle ma un po’ oche come Katya (Olga Kurylenko). Ma che ci fanno queste “modelle senza frontiere” nel teatro della guerra – si chiede il regista?
Sembra che il problema sia rimuovere un cadavere nel pozzo in modo da purificare l’acqua e distribuirla agli abitanti. I nostri eroi passeranno attraverso una serie di disavventure da quelle più burocratiche, a quelle più minacciose della mafia locale che detiene il potere dell’acqua. Il film gira attorno a questi temi e sembrerebbe concludersi con l’evidenziazione dell’impotenza degli “buoni”, mentre solo la natura (la pioggia finalmente arrivata) riuscirà laddove l’uomo ha fallito (fato?). Tesi non allegra per il gruppo di volontari che rischiano quotidianamente di saltare su una mina per fare un lavoro così poco gratificante (gli idraulici della guerra) come sturare i cessi del campo, rimuovere cadaveri e quant’altro. Il “duro dal cuore tenero” si chiama Mambru ed è impersonificato da Benicio del Toro, s’intenerisce per i cani e per i giovani inesperti e diventa tenero - anche un po’ troppo - nei confronti dello sguardo femminile…Piccolo e tarchiato si fa fatica a pensarlo nelle vesti di un esperto Don Giovanni. Migliore è B. il personaggio interpretato da Tim Robbins - che migliora con l’età diventando perfino simpatico - un cinico veterano che non saprebbe più dove andare e cosa fare se non ci fossero le operazioni umanitarie in terre disastrate. Altri due personaggi “locali” fanno parte del gruppo: l’interprete Damir (Fedja Stukan) è fragile perché proprio in quanto indigeno è ricattabile e Nikola (Eldar Residovic) è il bambino che rivuole il suo pallone e che ancora non sa di essere sopravvissuto ai suoi genitori impiccati senza un vero motivo.
Fernando Leon de Aranoa sceglie lo stile del grottesco e, un po’ come in “Tutti a casa”, o ne “La grande Guerra”, sceglie il momento della fine del conflitto; peccato che il regista spagnolo non abbia proprio la mano di Comencini né tantomeno di Monicelli. Forse il film si può inserire nel filone demenziale di “M.A.S.H.” ma anche qui la regia di Altman è decisamente a un altro livello. Tratto da “Dejarse Llover”, un libro di Paula Farias, con una colonna sonora che alterna rock e punk di Lou Reed, Santana e Ramones, il film ha un ritmo piuttosto lento specialmente nel percorrere la terra brulla dei Balcani con le strade che sono pericolosi tornanti. Le scene territoriali sono piuttosto ripetitive e, tutto sommato il film, al di là delle battute anche divertenti, annoia un po’.
Ghisi Grütter

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