22 settembre 2014

IL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA:LO SCONTRO FINALE


In Italia si profila lo scontro – credo finale – sul mercato del lavoro.

Sindacati e ribelli PD saranno spazzati via, in un modo o nell’altro.

Le ridicole ragioni dei vari Sacconi, Ichino e compagnia, che giustificano la cancellazione dell’art. 18 con sofismi cervellotici, non incantano nessuno.

Per contro, la corretta – ma tardiva – difesa  di tutti i lavoratori e non soltanto di una parte ( argomento cavalcato da chi chiede la massima flessibilità sul mercato del lavoro),  a cui i sindacati e i vari Fassina sono arrivati, risucchiati dalla corrente, insieme alla difesa dell’art. 18, inutile e vessillifera (se il reintegro è conservato per  i casi di vera sopraffazione), appaiono l’ultimo soprassalto di una “sinistra” che avendo accettato (non poteva non farlo)le regole del capitalismo globale, sa di combattere l’ultima battaglia, peraltro “nominale”, prima di scomparire.

Non so se prima della attuazione delle “riforme” ci sarà un ricorso al voto o no.

So che è soltanto questione di tempo.

L’ideologia borghese capitalistica troverà qualcuno, se non Renzi, che le attuerà.

Il mondo è sottomesso a una legge che non permette di considerare le “persone” come entità uniche e preminenti, anche se non vincenti, in una gara durissima in cui pochissimi sono i trionfatori e la stragrande maggioranza non conta.

Nel mercato del lavoro, quindi, parole come dignità della persona, rispetto del lavoratore, e così via, appaiono incomprensibili a chi, sulla base della ferrea legge della concorrenza e del profitto, non concepisce la forza lavoro se non come un fattore di produzione fungibile.

La regola mondiale privilegia soltanto il capitale, il profitto e i suoi sacerdoti inconsapevoli, cioè gli imprenditori .

Poichè la piena occupazione, nel mercato mondiale senza barriere è una ipotesi irreale, il meccanismo che pretende la sussistenza dei paria viene conferita al “pubblico” (cioè agli stessi paria) mentre la flessibilità consente a chi intraprende di fare profitti per l’accumulo finanziario, con la certezza che se l’idea non ha funzionato, i cocci saranno regalati ai governi compiacenti.

Non ci sono alternative.

Non ci sono ideologie concorrenti che abbiano la stessa forza, lo stesso potere la stessa volontà di auto protezione. I vincitori  pretendono regole che consentano qualche cooptazione di nuovi vincitori e l’eliminazione di qualche membro che ha perso smalto e fortuna, ma non possono accettare regole che obblighino alla solidarietà che non sia “gentile liberalità” di singoli.

Questa legge, borghese, capitalistica e “protestante”, pretende vincitori duri che accettino competizione durissima, per sfruttare ogni fattore al massimo utilizzabile (è di questi giorni la notizia che gli imprenditori cinesi assumono operai africani, perchè oramai più docili e meno esosi di quelli cinesi).

Viene allora in mente a me, che, nel nostro paese, per mille ragioni, i nostri imprenditori, nella stragrande maggioranza sono impreparati e incapaci.

In una intervista fatta da Piero Ottone (ripresa, se non ricordo male, da La Repubblica qualche tempo fa), Cuccia,colpevole  padrone della stanza di compensazione del “capitalismo” italiano , sosteneva di essere obbligato a quel compito – anomalo ovunque altrove – perchè , a parte rari esempi, la maggior parte dei presunti imprenditori italiani erano dei “fetentoni”.

Le cose non sono cambiate molto da allora. Non essendoci più un Cuccia protettore e essendo il mondo diventato piccolo, la nostra “classe imprenditrice” è esposta, nella gara della concorrenza spietata, alle spallate di gente ben più agguerrita.

E’ questa genia di finti duri, che spera di ottenere vantaggi dalla eliminazione dei vincoli del mercato del lavoro.

Così, i paria italiani – e oramai anche molti che si credevano al riparo – pagheranno lo scotto più duro: sottomessi alle regole dell’insensibile capitalismo e in balia di giocatori incapaci.

Pagheranno – anzi, pagheremo – uno scotto doppio.  
Raffaele Fischetto   

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