Le due vie del destino_The Railway man
Il regista
australiano Jonathan Teplitzky per il suo terzo
lungometraggio si ispira alla
storia vera descritta nell’autobiografia (riadattata da Frank Cottrell Boyce e Andy Paterson) di Eric Lomax - un soldato inglese che durante la
guerra è stato prigioniero dei Giapponesi e coinvolto, con maltrattamenti, alla
costruzione della ferrovia tra Bankok e Rangoon.
Torturato dai
poliziotti della polizia segreta Kempeitai, Eric – Jeremy
Irvine è lui da giovane -
non riesce a condurre una vita normale perseguitato da ricordi e incubi di
tutto ciò che ha sofferto in quei giorni. Da adulto Eric - un fantastico Colin
Firth - si innamora e si sposa con Patti – una non eccezionale Nicole Kidman –
ma non riesce né a farla felice né a vivere una vita serena. Il film è ambientato
in una piccola località nel nord dell’Inghilterra negli anni ’80 ma è continuamente
inframezzato dalla storia di guerra nella Thailandia del 1942.
Scoperto che
il suo maggiore aguzzino è ancora vivo torna lì sui luoghi degli orrori dove fa
la guida turistica nel Museo della Guerra. Qui la storia narra che dal
desiderio di vendetta si passa piano a piano al perdono mediante un percorso di
rivisitazione degli agghiaccianti maltrattamenti. Rivivere e ripercorrere la
sofferenza, invece di cercare di rimuoverla e di evitarla, avrà un potere
liberatorio e quasi “catartico”. Il torturato e il torturatore arriveranno
a comunicare, spiegarsi e alla fine impegnarsi
nella riconciliazione.
Il film si lascia vedere grazie soprattutto
alla bravura dei protagonisti maschili di Lomax ragazzo e Lomax adulto.
Sicuramente avrebbe giovato alla scorrevolezza e verosimiglianza del film una
minore indulgenza sulle scene violente (ci si chiede come sia potuto
sopravvivere a tali maltrattamenti…) e qualche accelerazione. L’Inghilterra
rappresentata sinteticamente, sbirciata dai finestrini dei treni o ritrovata
nei luoghi maschili d’incontro è bella e di estremo fascino. L’ottimo accompagnamento
sonoro segue le varie vicende procurando in alcuni momenti un clima di suspense.
Anche se in
questa circostanza l’iniziativa è stata individuale si inserisce in alcune
importanti iniziative. Esistono, infatti, associazioni di gruppi che si
incontrano con l’obiettivo di superare l’odio e il dolore a chi ha vissuto
eventi così terribili: facendo incontrare le vittime con i loro persecutori si
cerca proprio il dialogo attraverso la verbalizzazione delle sofferenze. Un noto
gruppo è il “One by One”, un’organizzazione fondata
da coloro che sono stati profondamente colpiti dall’Olocausto. I membri
multi-generazionali si incontrano: i sopravvissuti alla Shoah o i loro
discendenti con i loro aguzzini e torturatori, o i loro discendenti, spettatori
di uno dei più tragici capitoli della storia umana. Ho conosciuto qualche anno
fa una donna, sopravvissuta da bambina al campo di concentramento di Terezien e
al campo di sterminio di Auchwitz, che dopo aver vinto una naturale e
comprensibilissima avversione, ha aderito con grande partecipazione a questo
progetto di riconciliazione.
Ghisi Grütter
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