Paolo Maddalena
Paolo Maddalena ,insieme a Paolo Berdini e Oreste Rutigliano,è stato il protagonista indiscusso dell'assemblea pubblica su Villa Blanc che si è svolta ieri pomeriggio,28 maggio,presso l'aula magna della scuola Winckelmann.Una folta partecipazione di resistenti che,malgrado gli anni e le inconsulte scelte politiche sottolineate nell'intervento di Rutigliano,hanno portatao quarant'anni dopo a discutere ancora sulla destinazione pubblica della Villa e del suo parco.Una indifferenza verso le richieste e le esigenze della cittadinanza le cui responsabilità sono ampiamente bipartizane che hanno portato ad una università privata di sottrarre alla cittadinanza un bene pubblico.
L'appello lanciato da Italia Nostra e il Comitato Villa Blanc è stato sottoscritto in questa fase iniziale già da 10 autorevoli esponenti tra cui Maddalena e Berdini stessi,Mantovani,Portoghesi ,Aiuti,Alessandro Bianchi ed altri ancora.
Pubblichiamo un ampio stralcio dell'intervento di Maddalena.
D.F.
L'appello lanciato da Italia Nostra e il Comitato Villa Blanc è stato sottoscritto in questa fase iniziale già da 10 autorevoli esponenti tra cui Maddalena e Berdini stessi,Mantovani,Portoghesi ,Aiuti,Alessandro Bianchi ed altri ancora.
Pubblichiamo un ampio stralcio dell'intervento di Maddalena.
D.F.
Per capire l’essenza dello “Stato comunità”, ed in genere
della “Comunità politica”, è indispensabile rivolgersi alla storia. Ed, in
particolare, alla storia della Costituzione romana[19]. Infatti, fu la
Respublica romana, che era costituita dal “Senatus Populusque Romanus”, il
primo chiaro esempio di “Stato comunità”, o, se si preferisce, di “Comunità
politica”. Ed il dato più importante che emerge dall’analisi storica è che la
nascita di questo tipo di Stato si fonda su due concetti chiave (dei quali
forse si è persa memoria): quello di “confine” e quello del “rapporto tutto
parte”.
E’ innegabile, infatti, che la nascita della “Civitas romana”, e
cioè della “Comunità politica di Roma” coincise con la “confinazione”, il fines
regere della tradizione[20], con la quale Romolo, o chi per lui, distinse il
terreno sul quale doveva sorgere l’urbs dai terreni circostanti, trasformando
il terreno confinato in un “territorio”, dal latino “terrae torus”, “letto di
terra”, il cui fine fu quello di ospitare l’aggregato umano che su di esso si
insediava, prendendo il nome di “populus” (che significa “cittadini in armi”).
Nello stesso momento, sorse anche la necessità di “confinare”, e cioè limitare
la libertà dei singoli per rendere possibile la convivenza civile, attribuendo
al popolo la “sovranità”, cioè la somma dei poteri necessari a perseguire
questo fine. Insomma, tracciando il solco di Roma, Romolo dette luogo al
nascere di tre elementi: il “territorio”, il “popolo” e la “sovranità”, dalla
quale scaturì l’ordinamento giuridico. Ed è da sottolineare che, attraverso la
“confinazione”, si dette luogo anche alla nascita del “primordiale rapporto
giuridico di appartenenza”, quello della “proprietà collettiva del territorio”.
Un rapporto che, come dimostra la stessa indagine filologica del termine
(terrae torus), non fu affatto un rapporto di “dominio pieno ed esclusivo”, ma
un rapporto quasi personale di appartenenza, come quello che normalmente si
instaura tra un individuo ed il proprio letto. (…)
Venendo al tema della “proprietà”, il dato più importante è
costituito dal fatto che a Roma la “proprietà collettiva”, che spettava al
popolo a titolo di “sovranità”, “precedette” di ben sette secoli la proprietà
privata, individuabile nel concetto di “dominium ex iure Quiritium”, nato, dopo
una tormentata elaborazione della giurisprudenza, alla fine del II secolo a.
C.[24], o addirittura agli albori del primo secolo a.C. (…) Dunque, come si
diceva, la proprietà privata derivò dalla proprietà comune e collettiva del
popolo, fu una “cessione” a privati di parti del territorio in proprietà al
popolo, mentre taluni beni, come l’ager compascuus, venivano “riservati”
all’uso comune di tutti, mantenendo il carattere di “appartenenza sovrana al
popolo”. Ed è da sottolineare in proposito che la giurisprudenza classica trovò
un sistema ineguagliabile per tutelare l’uso comune dei beni riservati al
popolo: li definì “res extra commercium” (ciò che è di tutti non può essere
dato ad alcuno), a differenza dei beni privati, definiti “in commercio”[25].
Alla “precedenza storica” della proprietà collettiva sulla
proprietà privata, si accompagna, sul piano della vigente Costituzione
repubblicana” la “prevalenza costituzionale e giuridica” della prima sulla
seconda. Lo chiarisce l’art. 42 della Costituzione, secondo il quale “la
proprietà privata è riconosciuta dalla legge….allo scopo di assicurarne la
funzione sociale”, sancendo la “prevalenza” dell’interesse pubblico
sull’interesse privato, e prevedendo che quest’ultimo è giuridicamente tutelato
soltanto se ed in quanto “assicura” “lo scopo” della “funzione sociale”, rende
cioè tutti partecipi dei benefici che provengono dalle attività produttive.
Il principio della prevalenza dell’interesse pubblico
sull’interesse privato è ribadito, inoltre, dall’art. 41 della Costituzione,
riguardante “l’iniziativa economica privata” e cioè l’attività negoziale che il
proprietario pone in essere per disporre della proprietà privata, e cioè per
acquisire o vendere la proprietà dei beni economici.
Si legge in detto articolo che “L’iniziativa economica privata è
libera”. “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo di
recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Come si nota,
alla “funzione sociale” dell’art. 42 Cost., fa riscontro “l’utilità sociale”,
di cui al precedente art. 41 Cost.
Ma non è tutto. Questa “prevalenza” dell’interesse pubblico
sull’interesse privato, va coniugata con la “distinzione” tra “proprietà
pubblica” e “proprietà privata”, di cui al primo alinea del citato art. 42
Cost., secondo il quale “la proprietà è pubblica e privata”. (…)
Alla fine di questo discorso emerge un’indiscutibile verità. Se
è vero, come è vero, che la “proprietà collettiva” “prevale” su quella privata
e quest’ultima è storicamente “derivata” dalla prima, si deve necessariamente
ammettere che la Costituzione ha operato un “capovolgimento” delle tradizionali
concezioni borghesi e neocapitalistiche sulla proprietà. E’ questa che
costituisce un “limite alla proprietà collettiva” ed all’interesse pubblico e
non viceversa. Continuare a parlare di “limiti alla proprietà privata” è,
dunque, un anacronismo: occorrerebbe parlare soltanto di “disciplina giuridica”
della proprietà privata, avendo questa perso, nella visuale costituzionale,
quel carattere di “inviolabilità”, e quindi di “preesistenza” rispetto
all’ordinamento giuridico, che le assicurava lo Statuto albertino. Inviolabile
è la “proprietà collettiva demaniale”, in quanto fondata sulla “sovranità”, non
la “proprietà privata”, che in tanto esiste, in quanto è garantita e
disciplinata dalla “legge”.
Sul piano pratico, c’è una importantisima conseguenza da
sottolineare. Se la “proprietà collettiva” “prevale” su quella privata, ed il
contenuto della proprietà privata è soltanto quello previsto dalla “legge”,
davvero non c’è più alcuna possibilità di riconoscere il “ius aedificandi”,
come insito nel diritto di proprietà privata. Il diritto di edificare è rimasto
nei “poteri sovrani del popolo”, rientra cioè nei contenuti della proprietà
collettiva del territorio e non risulta affatto “ceduto” a privati con la
“cessione” di parti del territorio a singoli cittadini.
Quando ci lamentiamo degli scempi paesaggistici, della
cementificazione, delle distruzioni della natura non possiamo limitarci alla
“denuncia”: è un nostro “diritto di proprietà collettiva” che è stato leso, e
questo diritto è ben più grande e più tutelato del diritto di proprietà
privata. (…)
Abbiamo sinora parlato più volte di “territorio” ed è evidente
che, a questo punto si rende necessaria, prima di procedere oltre, ad una sua
definizione. Come si è visto, per i Romani, e da un punto di vista puramente
materiale, il territorio è una “porzione di terra”, confinata dai terreni
circostanti. L’idea si è puntualmente trasferita in epoca moderna, sennonché i
diffusi inquinamenti dell’aria, delle acque e del suolo consigliano di considerare
la terra in una visuale più completa e cioè come “ambiente”, meglio si direbbe,
come ha affermato la Corte costituzionale, come “biosfera”[28], in modo da far
rientrare in questo concetto, oltre il suolo ed il sottosuolo, tutto ciò che
esiste sul soprassuolo, e cioè l’atmosfera, le acque, la vegetazione e le
stesse opere ed attività dell’uomo.
Ciò che deve essere innanzitutto sottolineato è che il
territorio è un “bene comune unitario”, formato da “più beni comuni”, in
“appartenenza” comune e collettiva. (…) D’altro canto, occorre tener presente
che oggi esistono tutte le premesse per considerare il territorio, non solo
come una entità materiale comprendente il suolo, il sottosuolo e tutto ciò che
è sul soprassuolo, compreso i beni artistici e storici creati dall’uomo, come
diffusamente, e giustamente, si ritiene, ma ci si può spingere più avanti
facendo rientrare nel concetto di territorio anche entità immateriali e le
stesse attività umane che sul territorio si svolgono. In ultima analisi, tutti
quegli elementi che determinano il modo di vivere, ed in ultima analisi il
tenore di vita, del popolo che quel territorio abita. Si pensi alle opere
dell’ingegno: alle invenzioni, tutelate con i brevetti, o alle opere
letterarie, tutelate dal diritto di autore; o alle conoscenze ed ai saperi
rinvenibili sul web. E si pensi, in estrema sintesi, alla “cultura”[29], non
solo quella degli intellettuali, ma anche quella popolare[30], e, quindi, al
complesso di idee che guidano le azioni degli individui e delle Nazioni nella
vita di tutti i giorni. E si pensi soprattutto all’influenza che hanno sul
territorio le istituzioni della comunità politica, e cioè alla forma di Stato
ed al relativo “ordinamento giuridico”, nonché alla forza spesso sconvolgente
che esercitano sul territorio l’economia, la finanza, i mercati.
Il “territorio”, in altri termini, appare come uno “spazio di
libertà” entro il quale trovano possibilità di svolgimento le capacità ed i
caratteri dei singoli e della collettività considerata nel suo insieme, considerata
soprattutto in quelle specificità culturali che caratterizzano un popolo, e che
si estrinsecano, come si diceva, nella cultura e in ciò che da questa deriva.
Ne consegue che l’odierna cosiddetta “globalizzazione” non può e
non deve prescindere dalla distinzione dell’intera superficie terrestre in vari
“territori”, intesi come luoghi nei quali si esplicano le specifiche
caratteristiche dei diversi “popoli”. (…)
E veniamo a quella che abbiamo denominato la “dinamica
costituzionale”, e cioè all’insieme delle disposizioni che la nostra vigente
Costituzione repubblicana prevede per lo “sviluppo economico” della nostra
società. Ed al riguardo è importante precisare che la nostra Costituzione parte
dall’idea di comune esperienza secondo cui la ricchezza proviene da “due
fattori”: “le risorse della terra” ed “il lavoro dell’uomo”. Infatti “due sono
gli obiettivi” che la stessa si propone di raggiungere: a) “tutelare il
territorio”; b) “proteggere il lavoro”. Ed è molto significativo, in proposito,
il fatto che il Titolo III, Parte prima, della Costituzione, dedicato ai
“Rapporti economici”, è in pratica dedicato, sia alla tutela del territorio,
sia alla tutela del lavoro. In particolare parlano del territorio l’art. 42,
primo comma, secondo il quale “la proprietà è pubblica e privata. I beni
economici appartengono allo Stato, ad enti e a privati”, nonché l’art. 44,
primo alinea, secondo il quale occorre “conseguire il razionale sfruttamento
del suolo”. Parlano invece di lavoro, l’art. 35, secondo il quale “la
Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”, l’art. 36,
secondo il quale “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata
alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente a assicurare
a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, nonché l’art. 38,
importante per l’affermazione di principio secondo cui tutti devono lavorare,
ed è esentato da questo dovere soltanto “il cittadino inabile al lavoro e
sprovvisto dei mezzi necessari per vivere”, per il quale è previsto il “diritto
al mantenimento ed all’assistenza sociale”. (…) Insomma, il principio è che le
imprese strategiche debbono essere in mano pubblica e che non è accettabile
rimettere alla speculazione privata la produzione di beni e servizi primari per
la vita del Paese.
Questo punto essenziale è stato travolto dalle numerose e
dannosissime “privatizzazioni”, che hanno privato l’Italia, in breve periodo,
del 50 per cento delle imprese, sospingendola verso una irrimediabile miseria,
propedeutica ad un finale ed irreparabile disastro economico e sociale.
Altro punto strategico proprio della nostra “dinamica
costituzionale” consiste nell’aver “separato” la piccola e media proprietà,
come la proprietà coltivatrice diretta e la proprietà della prima casa (artt.
44 e 47 Cost.), dalla proprietà la cui produzione eccede le strette esigenze di
vita e sono in grado di far crescere la “produzione nazionale”. Per questo tipo
di proprietà, come si è già accennato, la stessa tutela giuridica è
condizionata all’assolvimento della “funzione sociale”, cioè all’obbligo di dar
spazio all’ “occupazione” ed alla “produzione” di beni che possano soddisfare i
bisogni di tutti. Quest’obbligo è sancito in modo espresso e con piena
“precettività” dal citato art. 42 Cost., (…)
C’è poi un ultimo punto molto importante da tener presente
nell’analisi di questa “dinamica costituzionale”: è la “partecipazione” del
cittadino alla “funzione amministrativa” normalmente affidata alla pubblica
amministrazione. Infatti, come è noto, mentre la funzione legislativa è
riservata al Parlamento e quella giudiziaria è riservata all’Autorità
giudiziaria, la funzione amministrativa non è riservata alla P. A., ma
condivisa da questa, con enti e con soggetti privati.
La disposizione principe in proposito è quella dell’art. 3,
comma secondo, Cost., secondo il quale è compito della Repubblica assicurare
“l’effettiva partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese”. E “partecipare” alla ”organizzazione”, in
termini giuridici, vuol dire proprio partecipare all’azione amministrativa dei
pubblici poteri. E parlare di “lavoratori” vuol dire parlare di tutti i
cittadini, poiché, come si è visto, per la Costituzione non esistono i
“fannulloni”: o si ha la capacità di lavorare e si “deve” lavorare, o si è
“inabili al lavoro” ed allora si ha diritto al mantenimento ed all’assistenza
sociale (…)
Salvare il territorio e salvare il lavoro di tutti, in ultima
analisi, richiede, secondo la Costituzione, l’intervento di tutti. Ed è
evidente che è in nostro potere salvare innanzitutto il nostro “territorio”, e
cioè “le risorse” che la Terra, la “iustissima tellus”, abbondantemente ci
offerti.Per questo vanno ringraziati gli uomini e le donne del Comitato Villa Blanc che per tutti questi anni hanno mantenuto fermo questo principio,non si sono mai arresi.