Stefano Cucchi. Una storia.
11 ago 2016 — Questa è la cronistoria aggiornata di sette anni di lotta, da quella maledetta notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009. Da quando tutto è cambiato. Sette anni, Stefano. Sette anni. Non dovevi morire fratello mio.
La petizione su Change.org: la storia di Stefano Cucchi per l'introduzione del reato di tortura
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di Angela Gennaro
Media Campaigner per Change.org Nome: Stefano
Media Campaigner per Change.org Nome: Stefano
Cognome: Cucchi
Ora del decesso: 6.20
Data: 22 ottobre 2009
Luogo: Ospedale Sandro Pertini, Roma
Causa del decesso: Arresto cardiaco. Come qualunque essere umano al momento della morte.
A Roma è tempo di ottobrate, è il 2009, Stefano Cucchi ha 31 anni e una grande passione per la boxe. Fa il geometra, lavora con suo padre. Vuole fare la gavetta, imparare - raccontano i suoi genitori. “Andava sempre in cantiere. Avrebbe potuto non farlo, e invece lui voleva fare tutto il percorso fin dall’inizio. Senza saltare tappe, senza privilegi”, dice suo padre mentre fa un pezzo di discesa con me in ascensore. In quei pochi secondi mi racconta tutta la vita che il figlio aveva davanti. “E si era anche appassionato ad Autocad, lo sai? Passava ore al computer a fare progetti”. Una passione nata dopo l’esperienza della comunità. Ha avuto problemi con la droga, ma sembra esserne uscito.
Stefano ama lo sport e, raccontano i suoi, lo pratica ormai ogni giorno. È magro, pesa 43 chili, ma in salute. Il 6 novembre del 2008 fa la comparsa in alcune scene, poi tagliate, del film “Alza la testa” con Sergio Castellitto, girate nella palestra dove si allena. Le immagini saranno mostrate un anno dopo al Tg1. Stefano sembra in forma, si allena al sacco.
15 ottobre 2009, giovedì
Stefano esce da casa alle 18.59 per andare in palestra. Intorno alle 23.30 i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro fermano lui e un’altra persona a via Lemonia, a Roma, vicino al Parco degli Acquedotti. Vedono Stefano “cedere a un uomo delle confezioni trasparenti in cambio di una banconota”. L’altra persona fermata dichiara che acquistava “abitualmente dal Cucchi Stefano”. Addosso al ragazzo vengono trovati “20 grammi di hashish, suddivisi in 12 pezzi, tre bustine presumibilmente di cocaina e due pasticche”. Una è del medicinale per l’epilessia che Stefano porta sempre con sé. Dalla caserma Appia, Stefano viene portato a casa dei genitori. Qui la sua stanza viene perquisita: gli uomini dell’Arma non trovano niente. In quel momento Stefano viene visto dalla famiglia in buone condizioni fisiche. Il geometra viene riportato in caserma e arrestato per detenzione di sostanza stupefacente a fini di spaccio: per lui viene decisa la custodia cautelare. Non viene fotosegnalato come procedura richiederebbe. Nei verbali di convalida, diventa un albanese senza fissa dimora. L’inchiesta bis sulla morte di Stefano vede oggi indagati i carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco per lesioni aggravate (“violento pestaggio”) e per falsa testimonianza altri due carabinieri, Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini.
16 ottobre 2009, venerdì
Verso le dodici Stefano Cucchi viene processato per direttissima. Partecipa all’udienza con evidenti ematomi agli occhi e parla a fatica. Papà Giovanni riesce a parlargli: sarà l’ultima volta che vede il figlio in vita. “Stefano noi ti aiutiamo, ma tu devi andare in comunità”, gli riesce a dire. “Non hai capito, papà. Mi hanno incastrato”. Nel corso dell’udienza Stefano si dichiara tossicodipendente, colpevole di detenzione per uso personale e non colpevole per quanto riguarda lo spaccio. Il giudice stabilisce per lui una nuova udienza per il 13 novembre successivo e dispone la custodia cautelare nel carcere di Regina Coeli. Intorno alle 14 Stefano Cucchi viene visitato presso l’ambulatorio di Palazzo di Giustizia. Il referto parla di “lesioni in regione palpebrale, alla regione sacrale e agli arti inferiori”. Le sue condizioni di salute peggiorano in serata, tanto che viene trasportato all'ospedale Fatebenefratelli. Qui il referto recita: lesioni ed ecchimosi al viso e alle gambe, mascella fratturata, emorragia alla vescica, lesioni al torace e due fratture alla colonna vertebrale. Secondo le testimonianze, Stefano rifiuta il ricovero che viene richiesto per lui e torna quindi in carcere.
17 ottobre 2009, sabato
I carabinieri bussano alla porta di casa Cucchi alle nove di sera e informano la famiglia che il ragazzo “è stato ricoverato d’urgenza presso la struttura del Sandro Pertini”. I genitori si precipitano sul posto, vagano alla ricerca di informazioni, riescono a capire alla fine che il figlio dovrebbe trovarsi nella sezione carceraria dell’ospedale. Ma viene negato loro alcun tipo di notizia. “Questo è un carcere, tornate lunedì in orario di visita e parlerete con i medici”.
19 ottobre 2009, lunedì
I Cucchi tornano al Pertini all’orario indicato. Entrano, danno gli estremi dei loro documenti e restano in attesa. Una responsabile esce dopo un po’ di tempo per informarli che non possono in realtà parlare con i medici: serve, afferma, l’autorizzazione del carcere. “Comunque tornate, perché deve arrivare quest’autorizzazione e non vi preoccupate, perché il ragazzo è tranquillo”.
20 ottobre 2009, martedì
In mattinata i genitori di Stefano si recano al reparto carcerario del Sandro Pertini. Scoprono una nuova versione dei fatti: non c’è l’autorizzazione del carcere e ne hanno bisogno, sostengono all’ospedale, anche solo per parlare con i medici. E l’autorizzazione devono chiederla loro. Giovanni Cucchi obbedisce: si reca a chiedere l’autorizzazione in questione e la ottiene per il 22 ottobre.
22 ottobre 2009, giovedì
Stefano muore all’alba al reparto carcerario dell'ospedale Pertini. La notizia viene notificata alla famiglia all’ora di pranzo, quando la mamma apre la porta e si trova davanti un agente che le chiede di firmare il foglio per l’autopsia del figlio.
28 ottobre 2009, mercoledì
La famiglia Cucchi decide di divulgare, in una conferenza stampa al Senato con Luigi Manconi e l’associazione A buon diritto, le foto del cadavere del figlio scattate all’obitorio dopo l’autopsia. Il volto di Stefano è scavato, tumefatto, cerchi viola intorno agli occhi, una delle orbite sfondata, l’occhio sinistro presenta un ematoma sulla palpebra, la mandibola cade, sembra spezzata. La schiena è fratturata all’altezza del coccige. “Almeno così chi dice che è caduto dalle scale la smetterà”, dice la sorella Ilaria Cucchi.
23 novembre 2009, lunedì
Seconda autopsia sul corpo di Stefano. Ecco alcuni passaggi. Distretto cranio facciale: “un franco quadro di infiltrazione emorragica in regione angolo mandibolare sinistra, infiltrazione emorragica dei tessuti molli e muscolari della guancia sinistra, area di infiltrazione emorragica dei tessuti sottocutanei, molli della piramide nasale e della cute e cuoio capelluto della regione frontale sinistra”, scrivono i professori Vittorio Fineschi e Cristoforo Pomara. Nel distretto addomino-pelvico, “contenuto gastrico a franca pertinenza emorragica”.
25 gennaio 2011, martedì
12 persone rinviate a giudizio: si tratta dei medici dell'ospedale Sandro Pertini Aldo Fierro, Stefania Corvi, Rosita Caponetti, Flaminia Bruno, Luigi Preite De Marchis e Silvia Di Carlo, degli infermieri - sempre del Pertini - Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe, e di tre guardie carcerarie: Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici.
5 giugno 2013, mercoledì
Infermieri e guardie carcerarie vengono assolti dalla terza Corte d’assise. Quattro medici del Pertini vengono condannati in primo grado a un anno e quattro mesi. Il primario viene condannato a due anni di reclusione per omicidio colposo con pena sospesa. Il sesto medico viene condannato a 8 mesi per falso ideologico.
31 ottobre 2014, venerdì
La Corte d’appello di Roma ribalta - in parte - la sentenza di primo grado e assolve tutti gli imputati. Ilaria Cucchi chiede un’inchiesta-bis: il procuratore Giuseppe Pignatone la apre nel giro di un paio di settimane.
12 gennaio 2015, lunedì
La Corte d'assise d'appello di Roma deposita le motivazioni della sua sentenza. Stefano Cucchi "è stato picchiato". Ma resta ancora da indagare su chi siano stati gli autori del pestaggio. Gli atti, dicono i giudici, vanno dunque trasmessi alla procura affinché ''valuti la possibilità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità di persone diverse''. Non è chiaro quali siano le cause della morte di Stefano Cucchi. Non è chiaro chi abbia agito e, nel caso del personale dell’ospedale, “non è possibile individuare le condotte corrette che gli imputati avrebbero dovuto adottare".
10 settembre 2015, giovedì
Il fascicolo d'indagine dell’inchiesta-bis sulla morte di Stefano Cucchi è affidato al sostituto procuratore Giovanni Musarò. Questa volta oggetto di indagine sono i carabinieri delle due caserme da cui è passato Stefano la notte del suo arresto tra il 15 e il 16 ottobre 2009. La notte dell’arresto non era stata toccata nel primo filone di inchiesta - e relativi processi - sulla morte del geometra, con i carabinieri chiamati solo in qualità di testimoni. L’inchiesta bis vede ora indagati per il pestaggio di Cucchi i carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco per lesioni aggravate. Indagati per falsa testimonianza altri due carabinieri, Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini. Secondo la ricostruzione del procuratore capo Giuseppe Pignatone e dal sostituto Giovanni Musarò i carabinieri Di Bernardo e D’Alessandro quella notte avrebbero operato in borghese.
15 dicembre 2015, martedì
Terzo grado di giudizio per i 12 imputati - agenti della penitenziaria, medici e infermieri del Pertini. La Cassazione dispone il parziale annullamento della sentenza di appello e ordina un nuovo processo per 5 dei 6 medici precedentemente assolti: il primario Aldo Fierro e gli aiuti Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis e Silvia Di Carlo.
25 febbraio 2016, giovedì
Prende il via a Bari la perizia medico-legale sul caso Cucchi, nell'ambito dell'inchiesta bis. La famiglia nel frattempo presenta un nuovo esposto in procura per chiedere nuovamente la revoca dell'incarico a Francesco Introna, capo dei tre periti incaricati dal giudice per le indagini preliminari Elvira Tamburelli di accertare la natura, l'entità e la portata delle lesioni sul corpo di Stefano. La procura di Roma ha infatti richiesto un nuovo incidente probatorio per rivalutare l'intero “quadro di lesività”.
9 marzo 2016, mercoledì
La Cassazione deposita il testo della sentenza del 15 dicembre del 2015. “Ingiustificabile l’inerzia dei medici e illogico non aver fatto nuova perizia”, scrivono i giudici. Non solo: “Non sono state fornite spiegazioni esaustive e convincenti del decesso di Stefano Cucchi“. Per la Corte suprema i medici avevano una “posizione di garanzia” a tutela della salute di Stefano. Loro dovere era effettuare una diagnosi “con precisione” anche in presenza di una “situazione complessa che non può giustificare l’inerzia del sanitario o il suo errore diagnostico”. Il proscioglimento e il mancato coinvolgimento dei tre agenti penitenziari viene motivato con le “plurime deposizioni di fondamentale importanza” per cui Stefano “sarebbe stato aggredito da appartenenti all’arma dei carabinieri [...] prima di essere preso in carico dagli agenti di polizia penitenziaria tratti a giudizio”. La Cassazione sottolinea anche che non sono state fornite “spiegazioni esaustive e convincenti del decesso”.
27 aprile 2016, mercoledì
Ilaria Cucchi lancia una petizione per chiedere di inserire il reato di tortura nell’ordinamento italiano. In tre mesi raggiunge quasi 240mila firme, già consegnate al ministro della Giustizia Andrea Orlando.
8 giugno 2016, mercoledì
“Stefano Cucchi ha fatto la fine di Giulio Regeni, ucciso da servitori dello Stato in camice bianco: quell’ospedale per lui un lager, quei medici vanno condannati per omicidio colposo”: è quanto dichiara il procuratore generale Eugenio Rubolino nel corso della requisitoria al processo d’appello bis.
18 luglio 2016, lunedì
Dopo che la Cassazione ha annullato la prima assoluzione, i medici dell'ospedale Sandro Pertini - il primario Aldo Fierro e i sanitari Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis e Silvia Di Carlo - vengono nuovamente assolti dalla terza Corte d'assise d'appello di Roma perché “il fatto non sussiste”.
8 agosto 2016, lunedì
“I carabinieri hanno fatto il loro dovere, arrestarono un grande spacciatore”, scrive il 6 gennaio 2016 su Facebook Roberto Mandolini, nel 2009 sottufficiale alla caserma Appia di Roma. Quella dell’arresto di Stefano Cucchi. Mandolini è stato in questi giorni promosso da maresciallo a maresciallo capo, proprio mentre la Procura di Roma si appresta a chiudere le indagini dell’inchiesta bis sulla morte di Stefano. Inchiesta in cui il carabiniere è indagato, dal settembre 2015, per falsa testimonianza: l’accusa sostiene che nella prima inchiesta avrebbe mentito e avrebbe coperto il “violento pestaggio” di Stefano da parte di tre carabinieri. La contraddizione con i fatti ricostituiti - è la tesi dell’accusa - è proprio nella perquisizione domiciliare della notte dell’arresto a casa dei genitori di Stefano e sulle ragioni del mancato fotosegnalamento previsto invece da procedura. “Il signor Cucchi mi disse che non gradiva sporcarsi con l’inchiostro per gli accertamenti dattiloscopici e fotosegnaletici”, ha spiegato Mandolini in aula. “Dopo questa sua richiesta non ho ritenuto necessario farlo, visto che era una persona tossicodipendente, non l’ho voluto sforzare a fargli questa identificazione e non gli feci fare questi rilievi”.
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