Innanzitutto è stata più significativa dal
punto di vista della qualità esemplare e simbolicamente intensa che non da
quello della presenza numerico quantitativa. Intorno alla statua equestre di
Marco Aurelio eravamo un migliaio: un trionfo del fai da te ognuno con il suo
personale cartello di sostegno a Marino. Nessun contributo organizzativo,
nessun altoparlante o megafono, nessun leader di riferimento. Molta rabbia,
molta passione, molta determinazione. Ma anche, malinconico e sepreggiante, un
senrimento di tramonto e resa.
E' stato bello, ne valeva la pena, ma ora era
finita. Poi è inaspettatamente arrivato e entrato in scena, cravatta rossa e
camicia bianca, Ignazio Marino: ed è stato come se si fosse accesa una miccia.
La piazza si è infiammata, c'é stato un movimento spontaneo di massa, una ressa
e un pigia pigia che ho temuto per Marino e la sua incolumità fisica. Da
malinconico addio, il mood si è trasformato in una tempesta di entusiasmo ed
energia positiva, il senso della manifestazione, da attesa un pò depressa, si è
trasformato in grande speranza. Allora, c'è, allora ci sta, allora non ci
abbandona! Ed è lì che, non credo così a caso e fuori luogo, mi è venuto da
pensare che per la gravità del male politico e sociale che affligge Roma e
l'intero Paese, Marino, che lui lo voglia o meno, è diventato simbolo e conferma
che è ancora possibile una rinascita e una riscossa. Qui non è in questione
l'ingenuità nella gestione delle spese di rappresentanza, qui è in gioco uno
scontro e una battaglia che mi ha fatto pensare a qualcosa che assomiglia alla
resistenza antifascista. Persino - pensate un pò quanto sono incline
all'immaginario politico forte - a figure come Fidel e il Che che liberano
L'Avana da Batista. O a Ulisse, Telemaco e Penelope che cacciano quei maiali
dei Proci dalla reggia di Itaca.
Gian Carlo Marchesini
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