6 ottobre 2015

LO SCANDALO DEGLI INCASSI DEL COLOSSEO E AREE ARCHEOLOGICHE

 
 
A proposito dello scandalo ,rimasto sotto silenzio e coperto dalla complicità del Governo,incassi dei biglietti del Colosseo e delle aree archeologiche di Roma,che vanno a finire nelle casse dei privati per un buon 80%,oggi Tre Righe ripropone un articolo di Vittorio Emiliani pubblicato nel 2014, che, a quanto risulta dalle conseguenze praticamente nulle, non ha smosso le coscienze( cattive?) dei nostri governanti,il pio Franceschini in testa.Poi se la pigliano con i lavoratori per un'assemblea sindacale distraendo l'opinione dal vero problema.
D.F.
 
 

Solo per i privati. Allo Stato briciole Le società concessionarie di servizi aggiuntivi guadagnano grazie a concessioni opache Il caso del Colosseo e i silenzi del MiBACT

di Vittorio Emiliani Roma
C'è chi ripete, bontà sua, che musei e monumenti «sono macchine da soldi». È vero, ma solo per le società private concessionarie di servizi aggiuntivi - in testa Electa del gruppo Mondadori (quindi Berlusconi) - che operano in base a concessioni tanto «grasse» quanto opache. A «riformarle» era stato chiamato da Berlusconi l'amico personale Mario Resca manager di hamburger, casinò e zuccheri, il quale, durante l'incarico ministeriale, rimase bellamente seduto nel CdA di Mondadori controllore di Electa. Tanto seduto da non riformare un bel niente. Anzi, avendo cucinato in forma di spezzatino le linee-guida degli appalti ha bloccato tutto. Pertanto dal 31 dicembre 2009 quasi tutti i contratti per i servizi aggiuntivi sono scaduti e vengono prorogati contro ogni norma, nazionale ed europea sulla concorrenza. C'è qualcosa sul sito ufficiale del Ministero competente (o incompetente?)? L'ha denunciato Stefania Rimini in un bel servizio su Report di Milena Gabanelli. Nessuno ha fiatato. Eppure la torta è di quelle ricche. Eppure la situazione è stata severamente criticata dall'Antitrust e dalla Ue. L'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ha sollecitato interventi per sanare svariate irregolarità, quasi un anno fa, nel marzo 2013. In maggio il direttore generale alla Valorizzazione, Anna Maria Buzzi, succeduta al prode Resca, garantiva: entro un mese le linee-guida saranno pronte. Due mesi dopo, Enrico Letta assicurava, in un question time alla Camera: manca poco al sospirato varo delle linee-guida. L'estate è passata. Invano. Il 2 dicembre scorso lo stesso direttore generale Anna Maria Buzzi ha dichiarato al «Sole 24 Ore»: «A fine novembre 2012 (sic) abbiamo attivato una consultazione pubblica che ci ha permesso di stilare una bozza del documento che prima dell'estate 2013 è stato sottoposto alla valutazione degli addetti ai lavori (ndr le stazioni appaltanti del MiBACT? Le direzioni regionali e le Soprintendenze autonome? Non si sa). Ora le linee-guida sono in versione definitiva». Benissimo, ma, per ora, dal porto delle nebbie chiamato MiBACT non è emerso nemmeno un lacerto di linee-guida. Il ministro Massimo Bray viaggia molto, coi più svariati mezzi (bicicletta, anche lui, treno, auto, ecc.), ma queste benedette linee-guida che dovrebbero normalizzare e, diciamolo, legalizzare gli appalti dei lucrosi servizi museali restano ferme sul suo tavolo. Perché? percentuali Può darsi che qualcosa nei prossimi giorni emerga dalle brume tiberine del Ministero visto che si è mossa la Corte dei conti ritenendo che le percentuali attribuite alle società private sui biglietti di alcune mostre romane siano spropositate. In generale non si può superare il tetto del 30 per cento. Ma la mostra di Palazzo Venezia dedicata dal Polo museale al pittore seicentesco Carlo Saraceni non va niente bene (nella capitale la macchina infernale del «mostrificio» sta lasciando sul lastrico varie vittime) e quindi - si giustificano le due società appaltatrici dei servizi, Civita Cultura (Civita è presieduta da Gianni Letta) e Munus - «l'andamento degli incassi è tale da non riuscire a coprire l'investimento». E il rischio d'impresa allora? Sia come sia, su 10 euro di biglietto, 7,75 vanno alle due società e 2,25 al Polo Museale. Briciole. Del resto, per salire sull'orribile ascensore del Vittoriano - ormai prossimo a divenire anch'esso un pezzo del «divertimentificio» romano - si pagano 8 euro. A chi vanno in tasca e quanto di essi va allo Stato? Una percentuale del 70 per cento viene sicuramente lucrata dall'Electa sui 3 euro pagati per ogni mostra al Colosseo (e chi non visita una mostra là dentro?), i quali si aggiungono ai 12 del normale biglietto per Colosseo-Palatino-Foro Romano. Cifra neppure modestissima, anche rispetto ad un grande museo come il Louvre dove ci si ferma a 10 euro. Quindi, quel 70 per cento sui 3 euro aggiuntivi per le visite alla mostra interna al Colosseo fruttano un bel po' di euro in più. Restiamo nell'Anfiteatro Flavio che, come si sa, registra all'anno oltre 5 milioni di visitatori e un introito sui 35 milioni di euro (in Italia la quota dei biglietti ridotti o gratuiti è elevata). Sulla prenotazione dei biglietti non ci sono royalties per la Soprintendenza. Giusto? Diciamo (a fatica) di sì. Ma non ce ne sono neppure sulle audioguide e questo francamente non è comprensibile: il materiale audio è stato ricavato da un monumento il cui restauro e la cui manutenzione sono costati milioni e milioni di denaro pubblico. Ma v'è di più e di peggio: le visite guidate, interessantissime, ai sotterranei, al terzo livello, all'arena del Colosseo costano al turista altri 9 euro di giorno e 20 euro di notte. Ma pure su queste non c'è neppure un 1 per cento di royalty per lo Stato. Se vi fosse una percentuale anche modesta per la Soprintendenza Archeologica di Roma e Ostia, a quest'ultima andrebbe un bel gruzzolo di euro, no? Mettiamo che i visitatori dei sotterranei siano 50mila all'anno, meno di un decimo del totale del Colosseo, e che la società concessionaria incassi mediamente 15 euro a visitatore, fra diurni e notturni: farebbero 750mila euro. Se un 10 per cento andasse alla Soprintendenza, questa si ritroverebbe in cassa altri 75.000 euro. Una manna. Invece niente di niente. Eppure quelle visite guidate riguardano un bene dello Stato, conservato a spese nostre. il porto delle nebbie Già, un bene dello Stato. Ma, sabato 4, ad «Ambiente Italia» (Rai3) l'inviato Igor Staglianò ha chiesto all'architetto Pia Petrangeli che, di fatto, rispondeva a nome del ministro Bray, perché le convenzioni come quella con Diego Della Valle non fossero on line nel sito del MiBACT, la signora ha sorriso dicendo più o meno: «Sa, quando c'è di mezzo un privato, un certo riserbo è d'obbligo». Da trasecolare. Il Colosseo non è un bene dello Stato e noi cittadini non abbiamo il diritto di sapere tutto su di esso? Per la verità la stessa Petrangeli il 2 agosto 2012 dopo la conferenza stampa con l'allora sindaco Alemanno e Della Valle, in una circostanziata intervista aveva parlato del Centro servizi affidato ad una non meglio identificata Fondazione Onlus Amici del Colosseo «attraverso la quale lo sponsor potrà portare avanti» le sue iniziative, ammettendo che lo sponsor avrebbe potuto esporre il suo logo «sul recinto del cantiere alto 2 metri e mezzo» e «sul retro dei biglietti di ingresso». Lo avevamo letto nella bozza di convenzione diffusa dalla Uil-Bac e poi però sparita nel nulla. Ora il riserbo diventa totale. Perché mai? Come per le concessioni (ministro Bray, le faccia emergere) siamo immersi nel porto delle nebbie.
7 January 2014 pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 7) nella sezione "Cronaca italia"
 
 

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