L'altra sera (il 9 marzo ) dalla Gruber ,sulla Sette,Sallusti è stato eccellente rappresentazione della pericolosa irrazionalità che governa il mondo.
Incompetente difensore a contratto del lasseiz faire estremo, ha sostenuto – con evidente ignoranza delle statistiche, ormai alla portata di chiunque voglia interessarsene – che tutto quello che Renzi deve fare è programmare la ritirata dello “stato”, consentendo che le forze del mercato, imparziali e automatiche, regolino la società, che sarà così condotta al suo livello di maggior equilibrio, con la riduzione al minimo fisiologico delle diseguaglianze.
Non pretendo che Sallusti conosca le regole
dell’entropia, purtroppo valide anche in campo sociale, per cui lo stato di
equilibrio “naturale” è quello del massimo disordine, ma mi piacerebbe che
almeno si allineasse con i sostenitori del liberismo, che si guardano bene dal
dire beceraggini del genere (hanno inventato persino leggende come il modello
di Laffer o la curva di Kuznets) e teorie come quella del trickle-down
(gocciolamento verso il basso), per giustificare le insopportabili
ineguaglianze passate e presenti (sempre
crescenti), che scomparirebbero in un futuro sempre spostato in avanti.
Nell’ultimo ventennio del secolo passato, il
PIL mondiale è più che raddoppiato (19 trilioni di $ nel 1980 – 41 trilioni nel
2000), aumentando ancora di un terzo – nonostante le crisi del “mercato” – fino
ai 69 trilioni, nei successivi 10 anni.
Tutto bene? La ricchezza creata dalle
politiche liberiste del capitalismo finanziario ha ridotto le diseguaglianze?
L “Human development report” delle Nazioni
Unite, riportando questi dati, aggiunge che “the level of inequality worldwide
is grotesque”.
Lo stesso rapporto aggiunge che l’”indice di
Gini” (che misura la ineguaglianza con un numero tra 0 e 1, essendo zero indice
di perfetta uguaglianza e uno di perfetta disuguaglianza) si attesta, a livello
mondiale, a 0,65.
La OXFAM (Oxford commitee for famine relief,
confederazione internazionale di 15 organizzazioni cooperanti in 92 paesi) dice
che “lo smodato consumo di risorse da parte dei paesi più ricchi, conseguenza
di una distribuzione della ricchezza mondiale ferocemente inegualitaria,
finisce per peggiorare uleriormente le condizioni di vita della parte più
povera del pianeta, nonchè produrre danni ambientali non riparabili”.
La BBC riporta i dati di questa ineguaglianza
rilevati dalla OXFAM:
tra il 2009 e il 2014, la ricchezza posseduta
dall’ 1% più ricco della popolazione mondiale è salita dal 44% al 48%.
Gran parte del restante 52% è nelle mani del
20% più ricco della popolazione.
In genere, in statistica, le eccessive aggregazioni
sono da prendere con le molle. In questo nostro confrontarci, mi sembra
impossibile aggiungere sfilze indigeste di dati, che comunque sono disponibili
in forma disaggregata. Quello che è certo è che anche i dati disaggregati
raccontano lo stesso scenario: da quando la religione del libero mercato e
della concorrenza assoluta hanno incominciato a governare il mondo (e la
politica) le diseguaglianze statali, continentali e mondiali sono aumentate
costantemente.
Il guaio è che la lotta di classe che ha
cambiato nome e attori, è stata vinta dal capitale., con una forza tale per cui
è oramai dilagata ovunque asservendo la politica.
Nonostante le evidenze – tutte contrarie e
disastrose – i politici continuano a ridurre lo Stato e ad allargare il mercato.
Le conseguenze sono tremende, almeno per chi
mantiene del concetto di democrazia una definizione che non può non comprendere
la solidarietà sociale, mettendo al centro la persona e non il mercato.
Di questo alla prossima.
Umberto Pradella
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