11 marzo 2015

DISUGUAGLIANZA




L'altra  sera (il 9 marzo )  dalla Gruber ,sulla Sette,Sallusti è stato eccellente rappresentazione della pericolosa irrazionalità che governa il mondo. 


Incompetente difensore a contratto del lasseiz faire estremo, ha sostenuto – con evidente ignoranza delle statistiche, ormai alla portata di chiunque voglia interessarsene – che tutto quello che Renzi deve fare è programmare la ritirata dello “stato”, consentendo che le forze del mercato, imparziali e automatiche, regolino la società, che sarà così condotta al suo livello  di maggior equilibrio, con la riduzione al minimo fisiologico delle diseguaglianze.

Non pretendo che Sallusti conosca le regole dell’entropia, purtroppo valide anche in campo sociale, per cui lo stato di equilibrio “naturale” è quello del massimo disordine, ma mi piacerebbe che almeno si allineasse con i sostenitori del liberismo, che si guardano bene dal dire beceraggini del genere (hanno inventato persino leggende come il modello di Laffer o la curva di Kuznets) e teorie come quella del trickle-down (gocciolamento verso il basso), per giustificare le insopportabili ineguaglianze  passate e presenti (sempre crescenti), che scomparirebbero in un futuro sempre spostato in avanti.

Nell’ultimo ventennio del secolo passato, il PIL mondiale è più che raddoppiato (19 trilioni di $ nel 1980 – 41 trilioni nel 2000), aumentando ancora di un terzo – nonostante le crisi del “mercato” – fino ai 69 trilioni, nei successivi 10 anni.

Tutto bene? La ricchezza creata dalle politiche liberiste del capitalismo finanziario ha ridotto le diseguaglianze?

L “Human development report” delle Nazioni Unite, riportando questi dati, aggiunge che “the level of inequality worldwide is grotesque”.

Lo stesso rapporto aggiunge che l’”indice di Gini” (che misura la ineguaglianza con un numero tra 0 e 1, essendo zero indice di perfetta uguaglianza e uno di perfetta disuguaglianza) si attesta, a livello mondiale, a 0,65.

La OXFAM (Oxford commitee for famine relief, confederazione internazionale di 15 organizzazioni cooperanti in 92 paesi) dice che “lo smodato consumo di risorse da parte dei paesi più ricchi, conseguenza di una distribuzione della ricchezza mondiale ferocemente inegualitaria, finisce per peggiorare uleriormente le condizioni di vita della parte più povera del pianeta, nonchè produrre danni ambientali non riparabili”.

La BBC riporta i dati di questa ineguaglianza rilevati dalla OXFAM:

tra il 2009 e il 2014, la ricchezza posseduta dall’ 1% più ricco della popolazione mondiale è salita dal 44% al 48%.

Gran parte del restante 52% è nelle mani del 20% più ricco della popolazione.

In genere, in statistica, le eccessive aggregazioni sono da prendere con le molle. In questo nostro confrontarci, mi sembra impossibile aggiungere sfilze indigeste di dati, che comunque sono disponibili in forma disaggregata. Quello che è certo è che anche i dati disaggregati raccontano lo stesso scenario: da quando la religione del libero mercato e della concorrenza assoluta hanno incominciato a governare il mondo (e la politica) le diseguaglianze statali, continentali e mondiali sono aumentate costantemente.

Il guaio è che la lotta di classe che ha cambiato nome e attori, è stata vinta dal capitale., con una forza tale per cui è oramai dilagata ovunque asservendo la politica.

Nonostante le evidenze – tutte contrarie e disastrose – i politici continuano a ridurre lo Stato e ad allargare il mercato.

Le conseguenze sono tremende, almeno per chi mantiene del concetto di democrazia una definizione che non può non comprendere la solidarietà sociale, mettendo al centro la persona e non il mercato.

Di questo alla prossima.

Umberto Pradella

       

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