Sembra passato un secolo da quando discutevamo pro o contro Berlusconi; quando alcuni tra noi battagliavano nei circoli del PD; quando ci si divideva accanitamente sul giudizio sul M5S.
Credo sia colpa della vecchiaia; se mi giro inddetro mi sembra un gran bel mondo; eravamo o mi sembra che fossimo entusiasti, ottimisti combattivi e pieni di speranza.
Oggi ci dividiamo tra chi si accontenta perchè di più non si può ottenere e altri che per di più, pensano che sia giusto così; tra chi si batte a mani nude mai arreso al rullo compressore e chi disamorato e svuotato, abbandona il campo......
Io faccio sforzi colossali – non voglio mollare – perchè penso che se smettiamo di discutere non ce la caveremo e condanneremo anche il futuro non nostro.
Mi piacerebbe moltissimo che qualcuno, leggendo la mia visione del mondo, si prendesse la briga di smontarla.
Umberto Pradella
La riforma degli assetti istituzionali
proposta da Renzi con la eliminazione del bicameralismo perfetto, con la
riforma del titolo quinto e con la nuova legge elettorale, trasforma la
democrazia parlamentare disegnata dalla Costituzione, in una democrazia
maggioritaria in cui il potere trasmigra dal legislativo all’esecutivo in
maniera massiccia.
Questo nuovo assetto istituzionale (insieme
anche alla volontà di ridurre l’autonomia della magistratura) mette in crisi il
complesso sistema di pesi e contrappesi che impedivano la “dittatura” della
maggioranza e dell’esecutivo che ne è espressione.
Non mi interessa qui discutere sulla adeguatezza del disegno costituzionale
del 1947 ai ritmi e alla trasformazione della società odierna (anche se il non
modificare il disegno complessivo della Costituzione, svuotandola in pratica, mi sembra
gattopardesco. Saranno infatti cambiati, se non sbaglio, 47 articoli della
seconda parte e il n° 48 della prima, ma non saranno toccati – nella forma –,
per esempio, quelli sul Presidente della Repubblica, che, nella sostanza, vedrà
invece ridotte di molto le prerogative)
Molti pensano che la riforma sia necessaria e
sono convinto anch’io che “la democrazia” debba essere aggiornata nel suo
funzionamento, se si vuole adeguare la società al mondo governato dal liberismo
capitalista.
Di nuovo Renzi non mi sembra un innovatore;
nel mondo sono ormai molti i paesi che hanno adottato configurazioni
istituzionali di democrazia “autoritaria”.
Ci sono i casi che non ci piacciono: Russia,
Ungheria, Turchia...India... ma, anche i paesi di antica tradizione democratica
occidentale, si sono trasformati in regimi in cui la dialettica politica si è
ridotta all’eventuale cambio di cavallo una volta ogni tot anni.
Il cambio di cavallo poi, se avviene, non
riguarda una diversa prospettiva politica. Le differenze tra le proposte di
governo sono marginali; non sono i politici a dettare l’agenda,ma la incombente
e totalizzante ideologia liberista.
Questo avviene in tutta Europa e nel mondo,
dove anche regimi come quello cinese, o quelli africani, si adeguano ai canoni
egemoni.
Le resistenze sono minoritarie e originano
sempre da guerre di poveri e tra poveri, nello “stato” o tra stati, sia che
assumano la veste di proteste xenofobe o
di ribellioni dettate dalla disperazione.
In ogni caso, destinate a ricomporsi nell’
alveo delle regole mondiali che non hanno più nessun bisogno della “foglia di
fico” democratica.
Persino i sommovimenti che squassano il Medio
Oriente e l’Africa a cavallo del Sahara – segnali inquietanti di guerre di
potere, per sostituire i vecchi assetti – giocano con le carte del capitalismo
universale
I partiti non sono più corpi sociali che
creano leader, ma eserciti mercenari, da reclutare alla bisogna, al servizio di
capitani di ventura che hanno assorbito le nuove regole del gioco e ne hanno
fatto il proprio vessillo.La lotta politica non è più tra idee, ma tra uomini
forti, in ogni parte del mondo.
In queste condizioni il Parlamento, comunque
configurato, non esprime nemmeno lontanamente il luogo deputato alla gestione
lungimirante del bene comune, allo scontro e alla composizione tra i diversi
modi di intenderlo.
I parlamenti sono diventati le stanze di compensazione
degli interessi privati.
Nei parlamenti si scontrano interessi tribali
finanziari, coalizzati in lobby colossali e numerose.
Così, ovunque, la corruzione è diventata
legalità.
Gli interessi finanziari diventano così,
indissolubilmente legati alla politica, soggiogata e messa al loro servizio.
Negli USA sta crescendo la letteratura che si
interroga sulla trasformazione del “government of people” in “government of
corporations”.
La manipolazione della politica a favore
delle diseguglianze finanziarie, aggiunge alla “normale” corruzione venale e
diretta (ineliminabile ma civilmente contenibile), quella ormai definita
“corruzione sistemica” o “da dipendenza”.
Sempre negli USA, laboratorio avanzato della
trasformazione della politica, questa evoluzione ha trovato la legittimazione
giuridica al più alto livello:
La Corte suprema degli USA ha eliminato nel
2014, ogni limite ai finanziamenti diretti e indiretti ai politici, da parte
delle grandi società, in qualunque forma e attraverso qualunque mezzo.
Il che mi sembra grave e distorsivo di per
sè, ma assolutamente rivoluzionaria la motivazione:
La decisione è stata assunta sulla base del
primo emendamento della costituzione americana, che garantisce ai cittadini
(people) la libertà di opinione e di espressione politica (speech). Il giudice
McCutcheon la ha compendiata in una frase: “corporations are people and money
is speech”.
Il cerchio si chiude, la democrazia perde la
sua essenza, diventa istituzionalmente corrotta e il principio di legalità,
anzichè baluardo, si trasforma in strumento a danno dei diritti fondamentali
dei cittadini, in balia degli interessi del mondo finanziario.
In questo contesto sarebbe miracolosa una
società in cui non aumentasse, ma diminuisse la disuguaglianza.
La vita della stragrande maggioranza dei cittadini sarà precaria.
Quando i sacerdoti del sistema si sgolavano a
ripetere che bisognava dimenticarsi del “posto fisso”, anticipavano la realtà:
sono state eliminate – ovunque – le distinzioni tra vecchi detentori di
privilegi e nuovi titolari di niente.
Oggi sono tutti precari a vita.
Le masse sono destinate al precariato.
Si guarda ai “paesi virtuosi” come se là, ci
fosse benessere diffuso.
Non è così.
Cambiano le statistiche: aumentano gli
occupati e diminuiscono quelli che non hanno lavoro, ma la differenza sta tutta
lì, nelle statistiche.
Nella realtà si tratta sempre di poveri senza
sostanziali diritti, con salari da fame, insufficienti a vite dignitose.
Il fatto è che oggi gli stati e le entità
sovranazionali sono “statistica”.
La loro essenza risede nel PIL, nel tasso di
disoccupazione, nel livello del debito pubblico.....
La vita delle persone, al di sotto, non
interessa la finanza e il vorticoso giro delle rendite finanziarie, sostanza
della gestione del potere. Le persone sono ininfluenti. La politica e la legalità
servono a decidere i vincitori pro tempore, secondo leggi che del bene comune e
della democrazia, non sanno che
farsene.
Umberto Pradella .
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