13 marzo 2015

LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA

Sembra passato un secolo da quando discutevamo pro o contro Berlusconi; quando alcuni tra noi battagliavano nei circoli del PD; quando ci si divideva accanitamente sul giudizio sul M5S.
Credo sia colpa della vecchiaia; se mi giro inddetro mi sembra un gran bel mondo; eravamo o mi sembra che fossimo entusiasti, ottimisti combattivi e pieni di speranza.
Oggi ci dividiamo tra chi si accontenta perchè di più non si può ottenere e altri che per di più, pensano che sia giusto così; tra chi si batte a mani nude mai arreso al rullo compressore e chi disamorato e svuotato, abbandona il campo......
Io faccio sforzi colossali – non voglio mollare – perchè penso che se smettiamo di discutere non ce la caveremo e condanneremo anche il futuro non nostro.
Mi piacerebbe moltissimo che qualcuno, leggendo la mia visione del mondo, si prendesse la briga di smontarla.
 
Umberto Pradella
 
La riforma degli assetti istituzionali proposta da Renzi con la eliminazione del bicameralismo perfetto, con la riforma del titolo quinto e con la nuova legge elettorale, trasforma la democrazia parlamentare disegnata dalla Costituzione, in una democrazia maggioritaria in cui il potere trasmigra dal legislativo all’esecutivo in maniera massiccia.
Questo nuovo assetto istituzionale (insieme anche alla volontà di ridurre l’autonomia della magistratura) mette in crisi il complesso sistema di pesi e contrappesi che impedivano la “dittatura” della maggioranza e dell’esecutivo che ne è espressione.
Non mi interessa qui discutere  sulla adeguatezza del disegno costituzionale del 1947 ai ritmi e alla trasformazione della società odierna (anche se il non modificare il disegno complessivo della Costituzione,  svuotandola in pratica, mi sembra gattopardesco. Saranno infatti cambiati, se non sbaglio, 47 articoli della seconda parte e il n° 48 della prima, ma non saranno toccati – nella forma –, per esempio, quelli sul Presidente della Repubblica, che, nella sostanza, vedrà invece ridotte  di molto le prerogative)
Molti pensano che la riforma sia necessaria e sono convinto anch’io che “la democrazia” debba essere aggiornata nel suo funzionamento, se si vuole adeguare la società al mondo governato dal liberismo capitalista.
Di nuovo Renzi non mi sembra un innovatore; nel mondo sono ormai molti i paesi che hanno adottato configurazioni istituzionali di democrazia “autoritaria”.
Ci sono i casi che non ci piacciono: Russia, Ungheria, Turchia...India... ma, anche i paesi di antica tradizione democratica occidentale, si sono trasformati in regimi in cui la dialettica politica si è ridotta all’eventuale cambio di cavallo una volta ogni tot anni.
Il cambio di cavallo poi, se avviene, non riguarda una diversa prospettiva politica. Le differenze tra le proposte di governo sono marginali; non sono i politici a dettare l’agenda,ma la incombente e totalizzante ideologia liberista.
Questo avviene in tutta Europa e nel mondo, dove anche regimi come quello cinese, o quelli africani, si adeguano ai canoni egemoni.
Le resistenze sono minoritarie e originano sempre da guerre di poveri e tra poveri, nello “stato” o tra stati, sia che assumano la veste di proteste xenofobe o  di ribellioni dettate dalla disperazione.
In ogni caso, destinate a ricomporsi nell’ alveo delle regole mondiali che non hanno più nessun bisogno della “foglia di fico” democratica.
Persino i sommovimenti che squassano il Medio Oriente e l’Africa a cavallo del Sahara – segnali inquietanti di guerre di potere, per sostituire i vecchi assetti – giocano con le carte del capitalismo universale
I partiti non sono più corpi sociali che creano leader, ma eserciti mercenari, da reclutare alla bisogna, al servizio di capitani di ventura che hanno assorbito le nuove regole del gioco e ne hanno fatto il proprio vessillo.La lotta politica non è più tra idee, ma tra uomini forti, in ogni parte del mondo.
In queste condizioni il Parlamento, comunque configurato, non esprime nemmeno lontanamente il luogo deputato alla gestione lungimirante del bene comune, allo scontro e alla composizione tra i diversi modi di intenderlo.
I parlamenti sono diventati le stanze di compensazione degli interessi privati.
Nei parlamenti si scontrano interessi tribali finanziari, coalizzati in lobby  colossali e numerose.
Così, ovunque, la corruzione è diventata legalità.
Gli interessi finanziari diventano così, indissolubilmente legati alla politica, soggiogata e messa al loro servizio.
Negli USA sta crescendo la letteratura che si interroga sulla trasformazione del “government of people” in “government of corporations”.
La manipolazione della politica a favore delle diseguglianze finanziarie, aggiunge alla “normale” corruzione venale e diretta (ineliminabile ma civilmente contenibile), quella ormai definita “corruzione sistemica” o “da dipendenza”.
Sempre negli USA, laboratorio avanzato della trasformazione della politica, questa evoluzione ha trovato la legittimazione giuridica al più alto livello:
La Corte suprema degli USA ha eliminato nel 2014, ogni limite ai finanziamenti diretti e indiretti ai politici, da parte delle grandi società, in qualunque forma e attraverso qualunque mezzo.
Il che mi sembra grave e distorsivo di per sè, ma assolutamente rivoluzionaria la motivazione:
La decisione è stata assunta sulla base del primo emendamento della costituzione americana, che garantisce ai cittadini (people) la libertà di opinione e di espressione politica (speech). Il giudice McCutcheon la ha compendiata in una frase: “corporations are people and money is speech”.
Il cerchio si chiude, la democrazia perde la sua essenza, diventa istituzionalmente corrotta e il principio di legalità, anzichè baluardo, si trasforma in strumento a danno dei diritti fondamentali dei cittadini, in balia degli interessi del mondo finanziario.
In questo contesto sarebbe miracolosa una società in cui non aumentasse, ma diminuisse la disuguaglianza.
La vita della stragrande  maggioranza dei cittadini sarà precaria.
Quando i sacerdoti del sistema si sgolavano a ripetere che bisognava dimenticarsi del “posto fisso”, anticipavano la realtà: sono state eliminate – ovunque – le distinzioni tra vecchi detentori di privilegi e nuovi titolari di niente.
Oggi sono tutti precari a vita.
Le masse sono destinate al precariato.
Si guarda ai “paesi virtuosi” come se là, ci fosse benessere diffuso.
Non è così.
Cambiano le statistiche: aumentano gli occupati e diminuiscono quelli che non hanno lavoro, ma la differenza sta tutta lì, nelle statistiche.
Nella realtà si tratta sempre di poveri senza sostanziali diritti, con salari da fame, insufficienti a vite dignitose.
Il fatto è che oggi gli stati e le entità sovranazionali sono “statistica”.
La loro essenza risede nel PIL, nel tasso di disoccupazione, nel livello del debito pubblico.....
La vita delle persone, al di sotto, non interessa la finanza e il vorticoso giro delle rendite finanziarie, sostanza della gestione del potere. Le persone sono ininfluenti. La politica e la legalità servono a decidere i vincitori pro tempore, secondo leggi che del bene comune e della democrazia,  non sanno che farsene.  
 
Umberto Pradella .

Nessun commento:

Posta un commento