21 marzo 2015

Recensione film SUITE FRANCESE di Saul DIBB


Locandina Suite Francese
 
 
Il manoscritto del romanzo di Irène Némirovsky Suite Francese, nella cornice dell’invasione tedesca, fu miracolosamente salvato dalla figlia e verrà pubblicato solo nel 2004. Si tratta di una sorta di “poema sinfonico” immaginato articolato in cinque parti, come una vera e propria suite musicale. Irène – che morirà ad Auchwitz nel 1942 - ne scrive solo le prime due parti Temporale di Giugno e Dolce, e benché complete - presentano un inizio e una fine, e possono essere lette come due novelle separate. Il romanzo ha ottenuto il prestigioso premio letterario Renaudot e tradotto in 40 lingue ha ricevuto un gran successo internazionale di pubblico.

Siamo nel 1940 all’epoca della Seconda Guerra mondiale e lo scenario è fornito dalla cittadina Bussy-Saint-Georges a Ovest di Parigi nella fase dell’occupazione tedesca. Lucile - interpretata dalla bella Michelle Williams - vive con la suocera M.me Angellier – una sempre bravissima Kristin Scott Thomas -  nella ricca villa di campagna, in attesa del ritorno del marito alla fine della guerra.

I tedeschi, arrivati a Bussy, dislocano i loro ufficiali e soldati nelle varie case e il giovane tenente Bruno Von Falk - il non troppo espressivo Matthias Schoenaerts - è destinato alla abitazione di M.me Angellier. Complice la musica, tra Bruno e Lucile nascerà un vero amore. Il tenente prima della guerra era, in effetti, un musicista e inizia a comporre al pianoforte l’aria che darà il titolo al film. Il brano musicale è stato appositamente composto dal musicista Alexander Desplat, peraltro vincitore dell'Oscar per la colonna sonora di Grand Budapest Hotel.  Le violenze, la solitudine, l’assenza di rapporti affettivi alimentano il fuoco della passione: «l’unica persona con cui ho qualcosa in comune sei tu…» confessa l’ufficiale nazista a Lucile.  

Le immagini femminili nel film sono ben tratteggiate e ci presentano donne coraggiose (Ruth Wilson, Alexandra Maria Lara, Clare Holman) al contrario di quelle maschili un po’ troppo stereotipate. La vicenda narra la presa di coscienza politica di Lucile che, al contrario delle posizioni ideologiche aprioristiche, cresce giorno dopo giorno attraverso episodi di vita vissuta, in reazione alle ingiustizie e violenze subìte dall’amico ingiuriato all’amica molestata fino alla donna ebrea deportata. Perfino la durissima e rigida suocera di Lucile, attraverso il dolore e la rabbia, diventa pian piano umana e alla fine riuscirà anche a commuoversi. Così afferma il regista «Ciò su cui volevo concentrare l'attenzione era il senso della guerra raccontata dal punto di vista di un civile e, in particolar modo, dal punto di vista di una donna».

Non ho letto il libro e, forse per questo, il film mi ha emozionato. Ho trovato le immagini molto belle e le inquadrature curate. Non s’indulge nella violenza ma se ne respira tanta. Le prospettive sono sempre forzate con il punto di vista molto basso o talvolta molto alto. La scena dell’arrivo dei tedeschi a Bussy è molto suggestiva: si percepisce all’interno della chiesa il rumore della marcia dei soldati che si avvicinano poi uno stacco, un’inquadratura solo dei tanti stivali neri tagliata al ginocchio che è da brivido, poi un altro stacco e la cinepresa sposta il punto di vista sulla torretta del carro armato e in tal modo si percepisce tutto lo spazio urbano della cittadina medioevale, conferendo uno sguardo privilegiato e di potere. Anche nella scena della “veglia per Bonnet”- ucciso dal ribelle Benoit in fuga - il punto di vista dell’inquadratura è all’altezza del tavolo e mette a fuoco i bicchieri di cristalli usati con tanta poca grazia dai tedeschi ubriachi.

«Si può accettare un romanzo incompiuto ma non un film senza conclusione. - dichiara Saul Dibb in un’intervista - Il mio background è nella realizzazione di documentari, quindi per me il fatto che il romanzo fosse incredibilmente autentico, quasi come una capsula del tempo nascosta per sessant’anni è stato molto emozionante».

Ghisi Grütter

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