Anticipiamo a venerdì la consueta recensione del sabato regalataci da Ghisi.Domani,25 aprile ,ricorre il 70° anniversario della Liberazione e la redazione di Tre Righe parteciperà alle iniziative organizzate per celebrare questo gran giorno.
Spiace ricordare che L'ANPI abbia cancellato la manifestazione di Porta S.Paolo non avendo saputo gestire e controllare dissapori interni ad alcuni gruppi di manifestanti che sarebbero potuti sfociare in veri e propri incidenti durante il corteo.
Una festa dela Repubblica Italiana guastata dall'intolleranza e dall'odio tra due popoli.
D.F.
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MIA MADRE
di Nanni Moreti
Un pò vintage?
Con tutto il battage
pubblicitario, le interviste nei settimanali, le recensioni nei quotidiani e la
partecipazione di Moretti nell’immancabile studio televisivo di Fazio, era
prevedibile che il film di Moretti potesse deludere. La storia, per chi ancora
non lo sapesse, è di due fratelli (Nanni Moretti e Margherita Buy) che vivono la
fase terminale della malattia della madre con reazioni leggermente diverse. Lui
è un ingegnere alle dipendenze di un’azienda e lascia il lavoro; prima si mette
solo in aspettativa per qualche mese per accudire meglio la madre - poi si
licenzia definitivamente. Lei invece nel film che sta girando da regista, si
occupa di chi il lavoro lo ha perso in una fabbrica comprata da un imprenditore
americano (John Turturro). È come se Nanni Moretti si fosse divertito a
invertire i tradizionali ruoli maschio-femmina: da sempre sono le donne che si
prendono “cura” delle madri anziane e delle vicende di famiglia in genere
rinunciando spesso anche al lavoro remunerato fuori casa, mentre sono gli
uomini a portare avanti il lavoro come “realizzazione di sé”.
Le due parti della storia – quella pubblica e quella privata
– si alternano con un montaggio non del tutto armonico conferendo al film un tono
un pò frammentario, come talvolta succede nelle pellicole di Moretti. Si apprezza il film prevalentemente per la grande
bravura di Giulia Lazzarini e per l’esuberante simpatia di John Turturro mentre
i fratelli Margherita e Giovanni non riescono a convincere. Margherita (nel
film come nella vita) Buy non è mai stata la mia attrice preferita: mi sembra
che quell’aria un po’ stonata – “inadeguata” dice Moretti – l’abbia sempre in
quasi tutti i suoi ultimi film. Sempre sciatta, dimessa, mal pettinata e vestita
è rigida - direi meglio impalata - e se avesse dovuto esprimere il disagio, in
effetti, lo ha ben comunicato.
Ho la sensazione che, a parte il racconto toccante dell’accompagnamento
della madre alla morte dopo una lunga malattia - evento che moltissimi
spettatori in qualche modo hanno vissuto - Moretti abbia messo insieme qualche
piccola riflessione sul cinema neanche tanto originale e che le sue citazioni qua
e là siano piuttosto degli ammiccamenti. Che dire della scelta della canzone di
Leonard Cohen (ricordate I compari di
Robert Altman del 1971?) come colonna sonora nella osannata scena della fila al
cinema Capranichetta dove proiettano Il
Cielo sopra Berlino (Wim Wenders 1987)? E la trovata di lei che vede e
ascolta una se stessa giovane nella fila non ricorda un’idea simile di Woody
Allen in Annie Hall del 1977? E
ancora dello stesso regista una Mia Farrow che entra ed esce dallo schermo
nella Rosa purpurea del Cairo del
1985 non è forse evocata da John Turturro che urla “sono stufo del cinema,
voglio rientrare nella realtà…”?
Quello che però distanzia Moretti dai grandi che ama
citare è la poca cultura visiva che ha. Le sue scene sono estremamente scarne.
Non saprei neanche dire se è un difetto o un pregio: sicuramente è una sua prerogativa.
In un mondo dove vige la spettacolarizzazione – del dolore, della violenza,
delle architetture ridondanti – Nanni Moretti si pone controcorrente
politicamente e poeticamente. La matrice
neo-realista italiana, a mio avviso, è prevalente così come la messa in scena
di una certa media borghesia romana con i suoi luoghi urbani poco spettacolari
(quartieri di Monteverde e del Flaminio) ma che bene la rappresentano.
Ghisi Grütter
Ghisi Grütter
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