Da MICROMEGA
Basta con la guerra al riconoscimento delle coppie di fatto
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È una guerra trentennale quella contro il riconoscimento delle coppie di fatto in Italia.
Era il 1986 quando il gruppo interparlamentare delle “Donne Comuniste” presentava al Senato e alla Camera la prima iniziativa di legge sulle unioni civili, a firma (per le rispettive Camere d’appartenenza) di Ersilia Salvato, Romana Bianchi e Angela Bottari. Nel 1989 l’iniziativa era ripresa dalla deputata socialista Alma Agata Cappiello. Queste proposte neppure vennero messe in discussione.
Dal 1992 al 2001 la sensibilità sociale sulla questione aumenta e in Parlamento arriva un profluvio di altre proposte: Radicali, Democratici di Sinistra, Rifondazione Comunista, Verdi, Comunisti italiani... Ma niente di fatto.
Il 21 ottobre 2002, la proposta di “Patti civili di solidarietà” (PACS) non passa inosservata. A presentarla alla Camera è Franco Grillini, che riesce anche a farla iscrivere per la discussione alla Commissione giustizia della Camera.
Ma l’era Berlusconi ormai avanza, e con essa il patto d’acciaio con la chiesa ruiniana.
Così, in affondi di scambi simoniaci, anche ai PACS è messa la mordacchia.
Il progetto riprende però corpo nel 2006. Romano Prodi ha sconfitto Berlusconi alle elezioni, ed è il nuovo presidente del consiglio dei ministri.
Barbara Pollastrini (ministro delle pari opportunità) e Rosi Bindi (ministro della famiglia) elaborano la proposta per il riconoscimento dei “Diritti e doveri delle persone stabilmente Conviventi” (DiCo) che il Governo fa propria l'8 febbraio 2007.
Il testo non parla di matrimonio omosessuale, né di adozioni, ma l’oltranzismo clericale si mobilita per il suo fallimento.
In campo scende papa Ratzinger in persona, che il 12 febbraio 2007 tuona: «Esistono norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore e neppure dal consenso che gli Stati possono ad esse prestare. Sono infatti norme che precedono qualsiasi legge umana: come tali non ammettono interventi di deroga da parte di nessuno». Insomma un inno al ritorno del Papa Re!
Di lì a poco il governo Prodi cade.
Il conto è saldato con il “cattolico adulto” Prodi, che aveva osato nel 2005 disobbedire all’ordine di Ruini: far mancare il quorum al referendum contro la legge 40!
Ritorna Berlusconi: vita allegra in cene eleganti ...e tanto “unto del signore! in benedizione vaticana!
Ma l’universo omosessuale è una fascia di elettorato importante. Il voto come la pecunia, si sa, non olet, e c’è chi nel centro-destra non rinuncia a lanciare l’amo. Il progetto di legge si chiama stavolta “Diritti e Doveri di Reciprocità” (DiDoRe). È poco più di un atto notarile su assistenza medica ed essenziali tutele economiche per la coppia convivente. Ma su questo acronimo dal suono che quasi evoca una scala musicale, scivola subito il sipario.
Nel 2010, è la sentenza della Corte Costituzionale (138/2010) a specificare come per famiglia «deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri».
Le coppie di fatto intanto si sono moltiplicate: l’Istat nel 2011 le dà a quota 90.000.
Ed eccoci arrivati al ddl Cirinnà.
Presentato in Commissione Giustizia al Senato il 10 Gennaio 2014 per il riconoscimento delle unioni civili etero o omosessuali, ha il perno – come specifica la relatrice, Monica Cirinnà - nell’articolo 2 della Costituzione repubblica che «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
Il dibattito è avviato, ma si accelera in Parlamento dopo alcuni fondamentali eventi:
- la vittoria del referendum in Irlanda del 22 maggio 2015 per introdurre in Costituzione le nozze gay;
- la risoluzione del Parlamento europeo contro le discriminazioni delle famiglie gay del 9 giugno 2015, che chiarisce come: «la composizione e la definizione delle famiglie si evolvono nel tempo», e pertanto «le legislazioni sulla famiglia e sul lavoro siano più complete per ciò che riguarda le famiglie monoparentali e i genitori Lgbt»;
- la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 21 luglio 2015, che condanna lo Stato italiano (con tanto di risarcimento danni ai ricorrenti) perché «la tutela legale attualmente disponibile in Italia per le coppie omosessuali non solo fallisce nel provvedere ai bisogni chiave di una coppia impegnata in una relazione stabile, ma non è nemmeno sufficientemente affidabile», dunque «un'unione civile o una partnership registrata sarebbe il modo più adeguato per riconoscere legalmente le coppie dello stesso sesso».
Sembra profilarsi una svolta. Sembra essere scattata per lo Stato italiano l’ora di rimuovere quegli ostacoli (art. 3 della Costituzione) che impediscono per discriminazioni sessiste l’accesso ai diritti degli omosessuali.
Ma le truppe clerico-omofobe sono in agguato per stralciare dal ddl Cirinnà la stepchild adoption.
L’omofobia si fa ancor più crudele: colpire i bambini, togliendo loro la serenità di poter contare sull’affetto di chi si è conquistato sul campo il titolo di genitore, ed essere affidati – in caso di decesso del loro genitore biologico – non al compagno/a di questi, ma ad estranei o finanche ad un orfanatrofio.
Questo sostengono i tutori della famiglia tradizionale, ben incardinati in Parlamento a destra e a manca, e che di “unioni civili” non vorrebbero proprio sentir parlare, tanto da proporre di chiamare queste famiglie “formazioni sociali specifiche”.
Basta allora con la soggezione al clericume. Si smascherino gli zelanti razzisti che precludendo l’accesso alla parità dei diritti, fanno strame della dignità umana. E di questa dignità ogni cittadino dovrebbe essere custode geloso: per sé e per gli altri, contro i propagatori di ipocrisia e zizzania sociale.
Era il 1986 quando il gruppo interparlamentare delle “Donne Comuniste” presentava al Senato e alla Camera la prima iniziativa di legge sulle unioni civili, a firma (per le rispettive Camere d’appartenenza) di Ersilia Salvato, Romana Bianchi e Angela Bottari. Nel 1989 l’iniziativa era ripresa dalla deputata socialista Alma Agata Cappiello. Queste proposte neppure vennero messe in discussione.
Dal 1992 al 2001 la sensibilità sociale sulla questione aumenta e in Parlamento arriva un profluvio di altre proposte: Radicali, Democratici di Sinistra, Rifondazione Comunista, Verdi, Comunisti italiani... Ma niente di fatto.
Il 21 ottobre 2002, la proposta di “Patti civili di solidarietà” (PACS) non passa inosservata. A presentarla alla Camera è Franco Grillini, che riesce anche a farla iscrivere per la discussione alla Commissione giustizia della Camera.
Ma l’era Berlusconi ormai avanza, e con essa il patto d’acciaio con la chiesa ruiniana.
Così, in affondi di scambi simoniaci, anche ai PACS è messa la mordacchia.
Il progetto riprende però corpo nel 2006. Romano Prodi ha sconfitto Berlusconi alle elezioni, ed è il nuovo presidente del consiglio dei ministri.
Barbara Pollastrini (ministro delle pari opportunità) e Rosi Bindi (ministro della famiglia) elaborano la proposta per il riconoscimento dei “Diritti e doveri delle persone stabilmente Conviventi” (DiCo) che il Governo fa propria l'8 febbraio 2007.
Il testo non parla di matrimonio omosessuale, né di adozioni, ma l’oltranzismo clericale si mobilita per il suo fallimento.
In campo scende papa Ratzinger in persona, che il 12 febbraio 2007 tuona: «Esistono norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore e neppure dal consenso che gli Stati possono ad esse prestare. Sono infatti norme che precedono qualsiasi legge umana: come tali non ammettono interventi di deroga da parte di nessuno». Insomma un inno al ritorno del Papa Re!
Di lì a poco il governo Prodi cade.
Il conto è saldato con il “cattolico adulto” Prodi, che aveva osato nel 2005 disobbedire all’ordine di Ruini: far mancare il quorum al referendum contro la legge 40!
Ritorna Berlusconi: vita allegra in cene eleganti ...e tanto “unto del signore! in benedizione vaticana!
Ma l’universo omosessuale è una fascia di elettorato importante. Il voto come la pecunia, si sa, non olet, e c’è chi nel centro-destra non rinuncia a lanciare l’amo. Il progetto di legge si chiama stavolta “Diritti e Doveri di Reciprocità” (DiDoRe). È poco più di un atto notarile su assistenza medica ed essenziali tutele economiche per la coppia convivente. Ma su questo acronimo dal suono che quasi evoca una scala musicale, scivola subito il sipario.
Nel 2010, è la sentenza della Corte Costituzionale (138/2010) a specificare come per famiglia «deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri».
Le coppie di fatto intanto si sono moltiplicate: l’Istat nel 2011 le dà a quota 90.000.
Ed eccoci arrivati al ddl Cirinnà.
Presentato in Commissione Giustizia al Senato il 10 Gennaio 2014 per il riconoscimento delle unioni civili etero o omosessuali, ha il perno – come specifica la relatrice, Monica Cirinnà - nell’articolo 2 della Costituzione repubblica che «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
Il dibattito è avviato, ma si accelera in Parlamento dopo alcuni fondamentali eventi:
- la vittoria del referendum in Irlanda del 22 maggio 2015 per introdurre in Costituzione le nozze gay;
- la risoluzione del Parlamento europeo contro le discriminazioni delle famiglie gay del 9 giugno 2015, che chiarisce come: «la composizione e la definizione delle famiglie si evolvono nel tempo», e pertanto «le legislazioni sulla famiglia e sul lavoro siano più complete per ciò che riguarda le famiglie monoparentali e i genitori Lgbt»;
- la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 21 luglio 2015, che condanna lo Stato italiano (con tanto di risarcimento danni ai ricorrenti) perché «la tutela legale attualmente disponibile in Italia per le coppie omosessuali non solo fallisce nel provvedere ai bisogni chiave di una coppia impegnata in una relazione stabile, ma non è nemmeno sufficientemente affidabile», dunque «un'unione civile o una partnership registrata sarebbe il modo più adeguato per riconoscere legalmente le coppie dello stesso sesso».
Sembra profilarsi una svolta. Sembra essere scattata per lo Stato italiano l’ora di rimuovere quegli ostacoli (art. 3 della Costituzione) che impediscono per discriminazioni sessiste l’accesso ai diritti degli omosessuali.
Ma le truppe clerico-omofobe sono in agguato per stralciare dal ddl Cirinnà la stepchild adoption.
L’omofobia si fa ancor più crudele: colpire i bambini, togliendo loro la serenità di poter contare sull’affetto di chi si è conquistato sul campo il titolo di genitore, ed essere affidati – in caso di decesso del loro genitore biologico – non al compagno/a di questi, ma ad estranei o finanche ad un orfanatrofio.
Questo sostengono i tutori della famiglia tradizionale, ben incardinati in Parlamento a destra e a manca, e che di “unioni civili” non vorrebbero proprio sentir parlare, tanto da proporre di chiamare queste famiglie “formazioni sociali specifiche”.
Basta allora con la soggezione al clericume. Si smascherino gli zelanti razzisti che precludendo l’accesso alla parità dei diritti, fanno strame della dignità umana. E di questa dignità ogni cittadino dovrebbe essere custode geloso: per sé e per gli altri, contro i propagatori di ipocrisia e zizzania sociale.
(19 gennaio 2016)
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