21 gennaio 2016

ONU:L'AGENDA 2030 PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE



dalla neweletter di www.affarinternazionali.it



L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile
Lorenzo Vai
17/01/2016




Anno nuovo, obiettivi del millennio nuovi. Almeno per l’Onu che s’imbarca nuovamente nell’avventura iniziata al sorgere del nuovo millennio, quando lanciò, in pompa magna, la Dichiarazione del Millennio.

Questo il nome ambizioso che 193 Stati diedero a una lista di obiettivi, altrettanto ambiziosi, tesi alla crescita dei paesi in via di sviluppo, Pvs, e al generale miglioramento delle condizioni di vita di centinaia di milioni di persone.

Obiettivi che avevano una data di scadenza, il 31 dicembre 2015. Piuttosto che festeggiare per i successi ottenuti negli ultimi 15 anni, l’Onu si è rimessa al lavoro dandosi nuovi obiettivi per ottenere i risultati mancati e migliorare quelli conquistati.

Mdg, lotta alla povertà e alle sue conseguenze
La lista degli obiettivi presentati a inizio secolo, i Millennium Development Goals, Mdg, si focalizzava su otto azioni, ritenute prioritarie nella lotta alla povertà e alle sue conseguenze: lo sradicamento della povertà estrema e della fame nel mondo; l’universalità dell’istruzione primaria; la promozione della parità di genere e dell’autonomia delle donne; la riduzione della mortalità infantile; la riduzione della mortalità materna; la cura dell’Hiv/Aids, della malaria e di altre malattie; la garanzia di una sostenibilità ambientale; la creazione di un partenariato mondiale per lo sviluppo.

Ogni azione contava un numero di sotto-obiettivi specifici, il cui progresso o raggiungimento è stato valutato sulla base degli indicatori offerti dalle diverse agenzie Onu ed organizzazioni internazionali coinvolte. Un’opera di valutazione tutt’altro che semplice, resa ancora più complessa dalla diffusa penuria di dati attendibili che contraddistingue molti Pvs.

Bicchiere mezzo pieno
Dopo quindici anni il bicchiere appare mezzo pieno. Secondo il rapporto finale pubblicato dall’Onu nel luglio del 2015, i Mdg hanno dato vita al movimento di lotta alla povertà di maggior successo della storia, un’iniziativa che è riuscita a conseguire circa metà degli obiettivi (alcuni tra i più significativi, come dimezzare rispetto al 1990 la percentuale di popolazione che vive in estrema povertà e che soffre la fame, o ridurre di due terzi la mortalità infantile), sfiorando in molti casi - a seconda delle regione geografica considerata - il raggiungimento dell’altra metà (sull’istruzione primaria, l’uguaglianza di genere e la salute materna c’è ancora da lavorare).

Progressi incompleti, ma significativi, che proprio a partire dall’anno 2000 hanno iniziato a registrare un’evidente accelerazione, al pari di un sensibile aumento degli aiuti allo sviluppo da parte dei paesi più ricchi. Insomma, un bicchiere non colmato fino all’orlo (gli obiettivi si pongono volutamente in alto), ma che sarebbe stato impossibile da riempire se non fosse stato neppure messo sul tavolo.

Sustainable Development Goals
È tempo quindi di festeggiare per i successi? No, nel 2016 toccherà rimettersi al lavoro per ottenere i risultati mancati e migliorare quelli conquistati. I nuovi diciassette Sustainable Development Goals, Sdg, che l’Assemblea generale dell’Onu si è data lo scorso settembre ampliano il campo d’azione rivolgendosi questa volta a tutti i paesi (non solo ai Pvs) ed alzando gli obiettivi rispetto alla precedente iniziativa.

L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sin dal nome, cercherà di dedicare più attenzione alle questioni ambientali, ritenute ormai da tutti gli Stati di primaria importanza nell’assicurare le premesse per un futuro di pace e prosperità, come ha anche testimoniato il buon esito - per ora sulla carta - della recente conferenza sul clima di Parigi.

Se nel 2015 tante cose sono cambiate nel mondo rispetto all’inizio del secolo, a partire dal ruolo e dalla centralità dell’Onu, la più grande sfida posta al perseguimento degli Sdg rimane sempre la stessa, la sincera volontà ed il genuino impegno da parte dei governi di tutti gli Stati. Una banalità, certo, ma più che mai veritiera dinnanzi a un accordo solenne, ma non vincolante, qual è l’Agenda 2030.

Un ostacolo politico a cui vanno aggiunti i problemi di coordinamento tra le agenzie nazionali e internazionali e i rispettivi programmi per lo sviluppo, la formulazione di obiettivi a volte troppo generici (ma così attraenti per l’opinione pubblica) e la conseguente difficoltà ad affermare progressi omogenei tra le diverse regioni del mondo, oltre all’acuirsi di molti teatri di crisi (senza pace non può esserci sviluppo).

Sono molti i punti che si prestano alle obiezioni di chi dubita dell’efficacia di queste iniziative globali, nonostante i risultati dei Mdg, nel lungo periodo, dimostrino il contrario.

Come l’Unione europea ha sperimentato sulla propria pelle nell’ultimo anno - decretato con un pizzico di ironia del destino “Anno europeo per lo sviluppo” - le precarie condizioni di stabilità e crescita di un paese sono sempre più interconnesse con il resto del mondo.

Il lavoro di un’organizzazione universale che si adoperi nella ricerca di uno sviluppo sostenibile che sia il più inclusivo e partecipato possibile non è mai apparso tanto attuale e necessario. Per giudicarlo però si è ancora in anticipo.

Lorenzo Vai è è assistente di ricerca dello IAI e del Centro Studi sul Federalismo.
  - See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3291#sthash.Wuu2uDkF.dpuf


L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile
Lorenzo Vai
17/01/2016


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Anno nuovo, obiettivi del millennio nuovi. Almeno per l’Onu che s’imbarca nuovamente nell’avventura iniziata al sorgere del nuovo millennio, quando lanciò, in pompa magna, la Dichiarazione del Millennio.

Questo il nome ambizioso che 193 Stati diedero a una lista di obiettivi, altrettanto ambiziosi, tesi alla crescita dei paesi in via di sviluppo, Pvs, e al generale miglioramento delle condizioni di vita di centinaia di milioni di persone.

Obiettivi che avevano una data di scadenza, il 31 dicembre 2015. Piuttosto che festeggiare per i successi ottenuti negli ultimi 15 anni, l’Onu si è rimessa al lavoro dandosi nuovi obiettivi per ottenere i risultati mancati e migliorare quelli conquistati.

Mdg, lotta alla povertà e alle sue conseguenze
La lista degli obiettivi presentati a inizio secolo, i Millennium Development Goals, Mdg, si focalizzava su otto azioni, ritenute prioritarie nella lotta alla povertà e alle sue conseguenze: lo sradicamento della povertà estrema e della fame nel mondo; l’universalità dell’istruzione primaria; la promozione della parità di genere e dell’autonomia delle donne; la riduzione della mortalità infantile; la riduzione della mortalità materna; la cura dell’Hiv/Aids, della malaria e di altre malattie; la garanzia di una sostenibilità ambientale; la creazione di un partenariato mondiale per lo sviluppo.

Ogni azione contava un numero di sotto-obiettivi specifici, il cui progresso o raggiungimento è stato valutato sulla base degli indicatori offerti dalle diverse agenzie Onu ed organizzazioni internazionali coinvolte. Un’opera di valutazione tutt’altro che semplice, resa ancora più complessa dalla diffusa penuria di dati attendibili che contraddistingue molti Pvs.

Bicchiere mezzo pieno
Dopo quindici anni il bicchiere appare mezzo pieno. Secondo il rapporto finale pubblicato dall’Onu nel luglio del 2015, i Mdg hanno dato vita al movimento di lotta alla povertà di maggior successo della storia, un’iniziativa che è riuscita a conseguire circa metà degli obiettivi (alcuni tra i più significativi, come dimezzare rispetto al 1990 la percentuale di popolazione che vive in estrema povertà e che soffre la fame, o ridurre di due terzi la mortalità infantile), sfiorando in molti casi - a seconda delle regione geografica considerata - il raggiungimento dell’altra metà (sull’istruzione primaria, l’uguaglianza di genere e la salute materna c’è ancora da lavorare).

Progressi incompleti, ma significativi, che proprio a partire dall’anno 2000 hanno iniziato a registrare un’evidente accelerazione, al pari di un sensibile aumento degli aiuti allo sviluppo da parte dei paesi più ricchi. Insomma, un bicchiere non colmato fino all’orlo (gli obiettivi si pongono volutamente in alto), ma che sarebbe stato impossibile da riempire se non fosse stato neppure messo sul tavolo.

Sustainable Development Goals
È tempo quindi di festeggiare per i successi? No, nel 2016 toccherà rimettersi al lavoro per ottenere i risultati mancati e migliorare quelli conquistati. I nuovi diciassette Sustainable Development Goals, Sdg, che l’Assemblea generale dell’Onu si è data lo scorso settembre ampliano il campo d’azione rivolgendosi questa volta a tutti i paesi (non solo ai Pvs) ed alzando gli obiettivi rispetto alla precedente iniziativa.

L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sin dal nome, cercherà di dedicare più attenzione alle questioni ambientali, ritenute ormai da tutti gli Stati di primaria importanza nell’assicurare le premesse per un futuro di pace e prosperità, come ha anche testimoniato il buon esito - per ora sulla carta - della recente conferenza sul clima di Parigi.

Se nel 2015 tante cose sono cambiate nel mondo rispetto all’inizio del secolo, a partire dal ruolo e dalla centralità dell’Onu, la più grande sfida posta al perseguimento degli Sdg rimane sempre la stessa, la sincera volontà ed il genuino impegno da parte dei governi di tutti gli Stati. Una banalità, certo, ma più che mai veritiera dinnanzi a un accordo solenne, ma non vincolante, qual è l’Agenda 2030.

Un ostacolo politico a cui vanno aggiunti i problemi di coordinamento tra le agenzie nazionali e internazionali e i rispettivi programmi per lo sviluppo, la formulazione di obiettivi a volte troppo generici (ma così attraenti per l’opinione pubblica) e la conseguente difficoltà ad affermare progressi omogenei tra le diverse regioni del mondo, oltre all’acuirsi di molti teatri di crisi (senza pace non può esserci sviluppo).

Sono molti i punti che si prestano alle obiezioni di chi dubita dell’efficacia di queste iniziative globali, nonostante i risultati dei Mdg, nel lungo periodo, dimostrino il contrario.

Come l’Unione europea ha sperimentato sulla propria pelle nell’ultimo anno - decretato con un pizzico di ironia del destino “Anno europeo per lo sviluppo” - le precarie condizioni di stabilità e crescita di un paese sono sempre più interconnesse con il resto del mondo.

Il lavoro di un’organizzazione universale che si adoperi nella ricerca di uno sviluppo sostenibile che sia il più inclusivo e partecipato possibile non è mai apparso tanto attuale e necessario. Per giudicarlo però si è ancora in anticipo.

Lorenzo Vai è è assistente di ricerca dello IAI e del Centro Studi sul Federalismo.
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L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile
Lorenzo Vai
17/01/2016


più piccolo
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Anno nuovo, obiettivi del millennio nuovi. Almeno per l’Onu che s’imbarca nuovamente nell’avventura iniziata al sorgere del nuovo millennio, quando lanciò, in pompa magna, la Dichiarazione del Millennio.

Questo il nome ambizioso che 193 Stati diedero a una lista di obiettivi, altrettanto ambiziosi, tesi alla crescita dei paesi in via di sviluppo, Pvs, e al generale miglioramento delle condizioni di vita di centinaia di milioni di persone.

Obiettivi che avevano una data di scadenza, il 31 dicembre 2015. Piuttosto che festeggiare per i successi ottenuti negli ultimi 15 anni, l’Onu si è rimessa al lavoro dandosi nuovi obiettivi per ottenere i risultati mancati e migliorare quelli conquistati.

Mdg, lotta alla povertà e alle sue conseguenze
La lista degli obiettivi presentati a inizio secolo, i Millennium Development Goals, Mdg, si focalizzava su otto azioni, ritenute prioritarie nella lotta alla povertà e alle sue conseguenze: lo sradicamento della povertà estrema e della fame nel mondo; l’universalità dell’istruzione primaria; la promozione della parità di genere e dell’autonomia delle donne; la riduzione della mortalità infantile; la riduzione della mortalità materna; la cura dell’Hiv/Aids, della malaria e di altre malattie; la garanzia di una sostenibilità ambientale; la creazione di un partenariato mondiale per lo sviluppo.

Ogni azione contava un numero di sotto-obiettivi specifici, il cui progresso o raggiungimento è stato valutato sulla base degli indicatori offerti dalle diverse agenzie Onu ed organizzazioni internazionali coinvolte. Un’opera di valutazione tutt’altro che semplice, resa ancora più complessa dalla diffusa penuria di dati attendibili che contraddistingue molti Pvs.

Bicchiere mezzo pieno
Dopo quindici anni il bicchiere appare mezzo pieno. Secondo il rapporto finale pubblicato dall’Onu nel luglio del 2015, i Mdg hanno dato vita al movimento di lotta alla povertà di maggior successo della storia, un’iniziativa che è riuscita a conseguire circa metà degli obiettivi (alcuni tra i più significativi, come dimezzare rispetto al 1990 la percentuale di popolazione che vive in estrema povertà e che soffre la fame, o ridurre di due terzi la mortalità infantile), sfiorando in molti casi - a seconda delle regione geografica considerata - il raggiungimento dell’altra metà (sull’istruzione primaria, l’uguaglianza di genere e la salute materna c’è ancora da lavorare).

Progressi incompleti, ma significativi, che proprio a partire dall’anno 2000 hanno iniziato a registrare un’evidente accelerazione, al pari di un sensibile aumento degli aiuti allo sviluppo da parte dei paesi più ricchi. Insomma, un bicchiere non colmato fino all’orlo (gli obiettivi si pongono volutamente in alto), ma che sarebbe stato impossibile da riempire se non fosse stato neppure messo sul tavolo.

Sustainable Development Goals
È tempo quindi di festeggiare per i successi? No, nel 2016 toccherà rimettersi al lavoro per ottenere i risultati mancati e migliorare quelli conquistati. I nuovi diciassette Sustainable Development Goals, Sdg, che l’Assemblea generale dell’Onu si è data lo scorso settembre ampliano il campo d’azione rivolgendosi questa volta a tutti i paesi (non solo ai Pvs) ed alzando gli obiettivi rispetto alla precedente iniziativa.

L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sin dal nome, cercherà di dedicare più attenzione alle questioni ambientali, ritenute ormai da tutti gli Stati di primaria importanza nell’assicurare le premesse per un futuro di pace e prosperità, come ha anche testimoniato il buon esito - per ora sulla carta - della recente conferenza sul clima di Parigi.

Se nel 2015 tante cose sono cambiate nel mondo rispetto all’inizio del secolo, a partire dal ruolo e dalla centralità dell’Onu, la più grande sfida posta al perseguimento degli Sdg rimane sempre la stessa, la sincera volontà ed il genuino impegno da parte dei governi di tutti gli Stati. Una banalità, certo, ma più che mai veritiera dinnanzi a un accordo solenne, ma non vincolante, qual è l’Agenda 2030.

Un ostacolo politico a cui vanno aggiunti i problemi di coordinamento tra le agenzie nazionali e internazionali e i rispettivi programmi per lo sviluppo, la formulazione di obiettivi a volte troppo generici (ma così attraenti per l’opinione pubblica) e la conseguente difficoltà ad affermare progressi omogenei tra le diverse regioni del mondo, oltre all’acuirsi di molti teatri di crisi (senza pace non può esserci sviluppo).

Sono molti i punti che si prestano alle obiezioni di chi dubita dell’efficacia di queste iniziative globali, nonostante i risultati dei Mdg, nel lungo periodo, dimostrino il contrario.

Come l’Unione europea ha sperimentato sulla propria pelle nell’ultimo anno - decretato con un pizzico di ironia del destino “Anno europeo per lo sviluppo” - le precarie condizioni di stabilità e crescita di un paese sono sempre più interconnesse con il resto del mondo.

Il lavoro di un’organizzazione universale che si adoperi nella ricerca di uno sviluppo sostenibile che sia il più inclusivo e partecipato possibile non è mai apparso tanto attuale e necessario. Per giudicarlo però si è ancora in anticipo.

Lorenzo Vai è è assistente di ricerca dello IAI e del Centro Studi sul Federalismo.
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