Durante queste festività natalizie,Tre Righe ha ecceduto nel pubblicare qualche recensione in più rispetto al consueto appuntamento settimanale del sabato.Lo abbiamo fatto nella consapevolezza che un bel film aiuta a sentirsi bene con sè stessi e con gli altri e soprattutto stimola la riflessione.Per questo ,approfittando del maggior tempo libero a disposizione,abbiamo cercato di suggerirvi ,con il prezioso aiuto di Ghisi, film di qualità appena usciti nelle sale cinematografiche di Roma.Coerentemente con questo spirito, ci preme sottolineare che su questo giornale non compariranno mai recensioni di film assimilabili al cinepanettone che tanto entusiasmo governativo sta suscitando in questi giorni accompagnato anche da un più che discreto successo di incassi.
Oggi vi proponiamo la recensione dell'ultimo film di Sokurov.
D.F.
Grande appassionato d’arte, Aleksandr Sokurov gira un film sul
Museo del Louvre negli anni ’40, un po’ come in qualche modo, aveva voluto fare
nel 2002 con “Arca russa” sull’Hermitage di San Pietroburgo.
In “Francofonia – Il Louvre sotto occupazione” ci sono tre o
quattro storie parallele (ed epoche diverse) che s’intrecciano.
C’è l’io narrante – doppiato dal bravo Umberto Orsini –un
regista chiuso in uno studio con un computer e collegato tramite skype a un mercantile che trasporta containers d’arte attraverso l’Oceano
durante una tempesta.
Ci sono spezzoni di film di repertorio sugli anni ‘40 ai
tempi dell’occupazione nazista a Parigi, della fuga dei francesi verso le
campagne e della Repubblica di Vichy con il maresciallo collaborazionista Henry
Philippe Petain.
C’è anche il film girato dal regista, una sorta di remake della storia, con ammiccamenti
alla nouvelle vague francese.
C’è un livello onirico nel quale girano gli ossessivi fantasmi
notturni di Napoleone e di Marianne, simbolo della Rivoluzione francese,
fuoriusciti da quadri del Louvre.
C’è inoltre la testimonianza del passato più remoto
rappresentato dalle opere artistiche come ad esempio le sculture e bassorilievi
Assiri.
Quante
cose, forse troppe: il film finisce per essere un racconto farraginoso di
difficile lettura. Personalmente, sarei stata più interessata a un bel
documentario sul Louvre dall’inizio alla fine.
La
nota più dolente del film, a mio avviso, è l’interpretazione politica che
Sokurov fa dei personaggi storici che si chiarisce maggiormente nel finale. Già
il maresciallo Petain è stato presentato in maniera giustificatoria come un anziano
brav’uomo di origini umili che credeva di fare il bene della popolazione
stringendo i rapporti con Hitler, ma la ciliegina sulla torta ci sarà con una
proiezione in avanti sul futuro dei due protagonisti. In modo quasi irritante,
il curatore del Museo Jacques Jaujard è rappresentato come un grigio burocrate
mentre il comandante nazista, il conte Franziskus Wolff-Metternich, fa una
figura trionfale: colto, francofono, esperto d’arte si contrappone alle
direttive del comando tedesco per salvaguardare le opere d’arte dei francesi e
lasciarli al Museo.
Alla
faccia della “banalità del male”, c’erano perfino i nazisti buoni e coraggiosi!
Ghisi Grütter
Ghisi Grütter
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