THE GUARDIAN – LA CUSTODE
di Harold Pinter del 1960
al teatro Hamlet a Roma dal 14 al 17 gennaio 2016
con Patrizia Casagrande (Diane), Andrea Rettagliati (Mick),
Raffaele Risoli (Aston)
Enzo Avagliano voce narrante e aiuto regista
Alessandro Carvaruso regia
Violetta Canitano scenografia
Il testo è un difficile pezzo teatrale basato tutto sul dialogo di tre
personaggi che vivono ai margini del sociale, tre “drop-outs”, tre
“misfits”, come si diceva una volta. “The Guardian”
può essere anche considerato un lavoro di denuncia della condizione dei
manicomi, dove si praticava l’elettrochoc in un’epoca dove bastava una
segnalazione per esservi portati. Il
“diverso” dà fastidio, spaventa, quindi viene segregato e tolto dalla vista dei
cosiddetti normali.
In linea con alcuni autori particolarmente sensibili di
quegli anni, il drammaturgo londinese mette in mostra la diversità, l’”altro”,
quello di cui non si parla. Formatosi come attore, esordirà poi come autore
diventando uno scrittore tra i più complessi
e originali della sua generazione fino a vincere il premio Nobel per la
letteratura nel 2005. Le sue opere sono basate su situazioni psicologiche che
hanno come temi la coesistenza nella stessa persona di violenza e sensibilità,
la natura fallibile della memoria, il mistero dell'animo femminile: tutti temi
che ritornano con insistenza in molte delle sue opere in cui l'intreccio è
talvolta quasi assente e lo svolgimento è affidato al dialogo con cui egli sa
creare atmosfere intense. Le sue “piéces” degli anni Sessanta - cui appartiene
“The Guardian” - sono chiamate le “commedie della minaccia” in cui
vengono esplorati soprattutto i temi della comunicazione, dell'insicurezza,
della sottomissione e dell'isolamento.
Due fratelli piuttosto diversi tra loro ospitano una barbona alla
quale entrambi, separatamente, offrono il lavoro di guardiana. Il luogo è una
sorta di loft claustrofobico con una minuscola finestra sopra il letto e con un
secchio appeso al soffitto per raccogliere le gocce di pioggia. Uno stanzone disordinato e asfittico che fa da cornice a
un gioco a tre, malato ed esasperato.
La situazione è una quotidianità avvolta da un alone angoscioso di
mistero e di minaccia nella quale i tre protagonisti si muovono con motivazioni
ambigue non spiegate e si esprimono attraverso un dialogo teso e serrato, con
ritmi precisi, di cui il silenzio è parte integrante.
La stanza-rifugio sembra essere costantemente in attesa
di un ordine che
forse non arriverà mai: quello stesso ordine cui
sembrano anelare i protagonisti nel loro desiderio di “normalità”.
Questo spazio oppressivo diventa metafora del mondo reale,
territorio di sfida e di conquista, attraverso dinamiche perverse in cui i tre
personaggi si scambiano incessantemente i ruoli di vittima, persecutore e
salvatore. Attraverso l’apparente interdipendenza dei tre protagonisti,
l’autore sembra offrirci l’illusione di una possibile condivisione del dolore,
di un supporto umano da cui possa nascere una vita nuova. Ma la solitudine
s’insinua man mano in un crescendo senza speranza e i dialoghi - o soliloqui -
dei personaggi non fanno altro che svelare ancora più crudamente il loro totale
e definitivo straniamento.
Bravi tutti gli attori: Patrizia Casagrande, nella sua
generosa prestazione in scena per tutto il tempo, ci dà una versione
appassionata di Diane che, come vince la sua insicurezza, diventa arrogante e
anche violenta verbalmente; Raffaele Risoli presenta un autistico Aston in
maniera perfetta con una recitazione estremamente naturale mentre l’istrionico
Andrea Rettagliati bene impersona Mick, in bilico tra lo sbruffone e il
protettivo, solo apparentemente il più integrato dei tre.
Ghisi Grütter
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