In questi ultime settimane i riflettori dell'opinione pubblicati sono stati puntati sull'ATAC , sulle recenti dimissioni del suo DG , sulle immancabili polemiche con la Sindaca Raggi. Ma quello che tiene banco è la raccolta firme dei radicali, coadiuvati in questo da qualche quinta colonna all'interno del PD, per anticipare rispetto alle indicazioni dell'Europa, attraverso un referendum, la liberalizzazione dei suoi servizi.
Pubblichiamo oggi l' intervento di Riccardo Agostini , membro della Commissione Trasporti della Regione Lazio e capogruppo alla Pisana di Articolo 1 MDP, che spiega i motivi per cui il servizio di mobilità a Roma non debba essere privatizzato.
D.F.
Le aziende che gestiscono i servizi pubblici sono parte dell'assetto sociale del Paese. Il dibattito a più voci sul destino dei servizi pubblici essenziali della Capitale e in particolare sul referendum sulla privatizzazione di ATAC merita dunque qualche puntualizzazione, perché non tutto è come sembra.
E’ vero che “Atac non funziona”, ma la soluzione non è “ammazziamo l’ATAC”, perché nessuno può garantire che ciò che non funziona con ATAC funzionerebbe con i privati.
L’origine dei problemi è lo squilibrio finanziario generato dalla fusione del 2009-2010 (non è vero, come dice Causi, che le fusioni fanno bene e riducono i costi: non è stato così con ATAC-METRO-TRAMBUS) ed i tagli operati dalla Giunta Polverini al TPL romano, generando una catena di indebitamenti. Meno risorse vuol dire meno manutenzione, per cui gli autobus si fermano o vanno a fuoco. E se l’autobus non passa il passeggero non paga il biglietto. Alla perdita di partenza si sommano in questo modo i costi per il debito, per gli interventi straordinari ed i mancati introiti.
Nel confronto con Milano certamente il servizio romano è peggiore, ma Milano gode di contributi superiori a quelli di Roma. Nel 2010 Milano aveva un contributo per abitante di 265 euro mentre Roma soli 110 euro, con un territorio otto volte più esteso. Il contributo per vettura/chilometro era di euro 2,84 per Milano e di 1,70 per Roma. Quasi il doppio. Nel 2012 ancora peggio: Milano 239 euro per abitante, Roma soli 68 euro, e un contributo per vettura/chilometro di euro 2,6 per Milano e di 1,00 per Roma.
Atac, inoltre, con i suoi 11mila dipendenti (6mila dei quali autisti) gestisce anche la sosta tariffata, i parcheggi di scambio, la vendita dei “biglietti metrebus” per conto di Cotral e Trenitalia. Sono alcune della ragioni di un debito (quasi 1,4 mld di euro) di cui nessuno parla e che, anche se il referendum non lo dice, non sarà cancellato con la gara, e dunque, in un modo o nell’altro, i cittadini continueranno a pagarlo. Torna in mente il caso Alitalia: servizio privatizzato, passività scaricate sui cittadini, migliaia di posti di lavoro persi ed un intero comparto, strategico per il Paese, in mani straniere, senza peraltro evitare che le crisi si ripropongano cicliche.
La verità è che, nonostante tutto, ATAC è una gallina dalle uova d’oro e c’è chi vuole prendere le uova e la gallina lasciando ai cittadini e ai lavoratori soltanto le penne.
Ci sono inoltre mille ragioni per cui preoccuparsi per l’occupazione. Oltre alle manovre parlamentari per l’abrogazione del Regio Decreto che regola dal 1931 i diritti dei lavoratori del trasporto pubblico, nelle linee guida per le gare manca una vera clausola di salvaguardia. Il referendum introduce un preoccupante precedente, laddove prevede “clausole sociali per la salvaguardia e la ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione del servizio”. E dopo che il servizio è stato ristrutturato? Dopo è tutto un “si vedrà”.
ATAC non è il trasporto pubblico, è parte del trasporto pubblico. Il TPL, infatti, comprende 3 macro aree: regole, infrastrutture ed esercizio. E’ da illusi pensare che si possa risanare il trasporto pubblico con il solo esercizio. Servono anche le regole e le infrastrutture.
E allora “privatizzare l’ATAC” (ovvero privatizzare il servizio, che passerebbe ad un altro soggetto, e quindi ATAC, semplicemente, sparirebbe) significa soltanto passare da un padrone ad un altro. Con la differenza che il nuovo padrone, essendo un privato, avrebbe come obiettivo il profitto, non lo svolgimento del servizio in quanto tale. Dal 2008 ad oggi si sono succeduti dieci amministratori delegati. Come potrebbe, chi non è stato capace di scegliere la guida per l’azienda, essere capace di controllare il “guidatore”? Magari, un guidatore più grande e forte del controllore, oltretutto straniero, e dunque fuori controllo. Prima di definire la gara, bisogna definire poteri e compiti di pianificazione e controllo. Invece, abbiamo già le linee guida della gara. Ma non abbiamo “le linee guida” per la pianificazione ed il controllo. Come diceva Gasperino il carbonaro, “Si tu me freghi qui, me freghi su tutto”.
Ci si può salvare soltanto riscrivendo le regole, investendo in infrastrutture, gestendo con efficienza le aziende e ridisegnando i ruoli di pianificazione e controllo in vista della gara. Quindi il tema non è il referendum “gara sì o gara no”, ma prepararsi all’appuntamento con un’azienda sana e forte. Si può fare.
Per questo è obbligatorio ripristinare i livelli di finanziamento pubblico che dal 2011 ad oggi sono stati dimezzati, e fare anche nel Lazio quello che è già stato fatto in molte altre regioni italiane: un'agenzia unica regionale ed una azienda unica regionale, con un progetto industriale in grado di competere con le grandi aziende pubbliche europee.
Riccardo Agostini
Riccardo Agostini
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