5 agosto 2017

Recensione film: METRO MANILA regia di Sean Ellis


Con Jack Macapagal, John Arcilla, Althea Vega, Miles Kanapi, Reuben Uy, del 2013. Musica di Robin Foster.

 



 

Un film antiurbano

 

“Metro Manila” è un film molto duro che costituisce una visione disperata e disperante della società e della vita urbana nelle isole Filippine.

Il film narra la storia di Oscar e Mai Ramirez che vivono nella municipalità rurale di Banaue nel Nord del Paese, una zona famosa per le sue antiche risaie. Hanno due figlie una piccolissima e l’altra di nove anni. Lui fa il contadino ma lo scarso raccolto non gli permette di sfamare la famiglia né tantomeno di farla vivere dignitosamente, pertanto decidono di cercare fortuna andando a Manila. Pessima idea!

Anche Manila, come Banaue, si trova a Luzòn, l’isola più grande dell’arcipelago; è situata sulla costa orientale della baia omonima lungo la foce del fiume Pasig, del quale occupa la pianura deltizia, ha un milione e mezzo di abitanti ma l’area metropolitana raggiunge i 12 milioni. È una città moderna di impianto occidentale con il suo CBD (Cental Business District) fatto di grattacieli.

Il primo impatto è subito negativo e l’arrivo sfortunato: Oscar viene subito truffato da qualcuno che gli affitta (con pagamento anticipato) una stanza in un edificio non di sua proprietà, si scoprirà più tardi, bensì del governo. Ciononostante la bimba più grande rimane ammaliata dalle luci, dalle fontane, dai grattacieli della capitale e chiederà a Oscar: «Papà quando moriamo andiamo lì? ».

Dopo aver svolto vari lavoretti saltuari e mal pagati, Oscar, grazie anche al tatuaggio dell’esercito che ha sul braccio, verrà assunto come guardia giurata per una compagnia di portavalori a Quezon City, nell’area metropolitana: un mestiere ad alto rischio in una città aggressiva e violenta come Manila. Avrà un partner-poliziotto Ong, generoso ma invadente, che lo aiuterà – in cambio di qualche favoretto - a trovare una sistemazione in un appartamento vicino al lavoro e a lasciare la baracca di Tondo, zona malfamata sul porto vicino al mercato del pesce.

Oscar è un uomo di sani principi, si troverà stritolato da una logica di crimine dove anche il più onesto è corrotto e truffatore. Sarà messo in mezzo, ricattato e, con l’acqua alla gola, si sorprenderà a fare cose che non avrebbe mai creduto possibile. Nel frattempo la moglie, pur di guadagnare qualche soldo e di portare la bambina dal dentista, accetta di lavorare come entraîneuse in un bar equivoco, certa della sua fede nel Signore misericordioso che le farà superare questo momento di difficoltà al più presto. Più che il Signore la aiuterà Oscar che s’immolerà per salvare dalla miseria la sua famiglia  escogitando un fantasioso escamotage finale.

“Metro Manila” è stato girato nel 2013 in tagalog (lingua nazionale filippina), ma arriva in Italia solo adesso con quattro anni di ritardo. Ha vinto il primo Premio al Sundance Festival nella sezione World Cinema Dramatic dello stesso anno, e tre British Indipendent Awards (miglior film, miglior regia e miglior produzione). Il film parla della società filippina e della vita metropolitana della capitale anche se nessuno dello staff della produzione è filippino. Il regista inglese, che è anche sceneggiatore e direttore della fotografia, ha preso spunto da un caso di cronaca nera legato a un furgone portavalori, che diventa un pretesto per una storia che parla di difficoltà economiche, di povertà, di esodo dalle campagne, d’inurbazione e della difficoltà a rimanere fedeli ai propri principi.

 
Ghisi Grütter

 

 

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