Malgrado il nostro appello al silenzio,la stampa e la televisione continuano ad occuparsi del caso delle due cooperanti ,Vanessa e Greta,rapite in Siria e recentemente liberate.
Questo che segue è il commento di Marchesini su un articolo pubblicato sul Manifesto.
Invidio a Bia Sarasini la sicurezza con cui, su il
Manifesto di ieri (21/1), definisce Greta e Vanessa “due semplici ragazze
coraggiose”. Io tifo perché lei abbia
ragione, e spero che nessun possibile fatto nuovo incrini la sua sicurezza o la
smentisca. All’età delle due ragazze lombarde sono stato anch’io, con molti
altri giovani, in luoghi colpiti da calamità. L’alluvione a Firenze nel ’66, il
terremoto nel Belice nel gennaio del 68, e infine quello che ha colpito
catastroficamente Basilicata e Irpinia nel 1980. In quei luoghi di distruzione
e sofferenza ho incontrato molte ragazze mie coetanee. Eravamo in gruppo,
seguiti dall’Università, associazioni o altre strutture di volontariato e
soccorso. Lavoravamo coordinati con le forze pubbliche e le autorità civili del
posto. Non erano luoghi sconosciuti in paesi lontani e stranieri, non c’era in
corso una sanguinosa guerra civile. Erano aree e regioni del nostro Paese,
c’era bisogno di dare una mano per ridurre il più possibile il danno subito da
intere popolazioni. Io penso che noi giovani soccorritori allora eravamo
realmente e semplicemente definibili come coraggiosi e generosi. Malgrado
Gasparri e la indecente e misogina canea dei suoi seguaci, anch’io però nel
caso di Vanessa e Greta nutro dei dubbi. Possono partire, per una zona
infestata in Siria da guerra civile alimentata da religioni in guerra e opposte
etnie, due ventenni milanesi da sole per portare kit di medicazione destinati a
tutte le vittime di ogni parte? Certo, sono maggiorenni. Ma è sufficiente per
mettere seriamente a repentaglio la propria vita ed eventualmente anche quella
altrui?
Immagino che, se una ipotetica figlia ventenne di
Bia Sarasini si fosse a lei presentata per annunciarle un simile progetto,
insieme a una reazione di ammirazione orgogliosa per la generosità, Bia
Sarasini avrebbe avuto anche altre reazioni. La prima che a me viene spontanea:
figlia mia, perché non ti unisci alla Caritas e ad altre organizzazioni che
alla stazione di Milano e nel suo hinterland si occupano di assistenza alle
centinaia di migranti e rifugiati che vi approdano ogni giorno? Non ce n’è abbastanza per sentirti utile e
benefica? Svolgendo tale tipo di azione
persuasiva, qualcuno avrebbe potuto accusare Bia Sarasini di misoginia, o di
non rispettare la volontà della figlia? Insomma, un punto di vista, una
responsabilità di noi adulti genitori esiste ancora? Lo so, lo so, i tempi sono
terribili: ma per cavarsela basta affermare che ragazze e ragazzi che partono
soli per soccorrere le vittime di una guerra civile in Siria sono “semplicemente
coraggiosi”?
Ripeto, invidio le certezze di Bia. Ma io lascerei
spazio anche a valutazioni diverse: perché non ritenere le ragazze anche “avventate,
irresponsabili e sconsiderate”? Perché così scatta lo stigma della misoginia?
Ma non rischia di diventare paradossalmente anche questo, per quanto invertito,
un pregiudizio sessista?
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