21 febbraio 2016

Il Marnetto Quotidiano : Fuocoammare (le camere a gas esistono ancora)


Anche un premio può essere un naufragio.

Come l'Orso d'Oro che Gianfranco Rosi stringe tra le mani a Berlino, per il suo documentario Fuocoammare, sui profughi che sbarcano a Lampedusa. Dedicato a chi non ce l'ha fatta, ai  corpi che galleggiano nel Mediterraneo, come zattere di carne gonfie d'acqua e sogni. Il naufragio della coscienza della fortezza Europa, che alza i muri e rimuove il rimorso, premiando chi ha ancora la pietà per guardare, capire, patire.

Importante il riconoscimento a Rosi. Ma c'è sempre il pericolo che il rito (la premiazione) ammazzi la prassi (l'integrazione). Importante come abbia parlato della gente di Lampedusa, riprendendo il filo dal film Terraferma di Crialese del 2011, ma senza neanche la precauzione di una trama, con documentario essenziale e poetico, di gente ruvida e di mare, che non abbraccia chi arriva, ma vive e lascia vivere.

Rosi ci fa capire che i naufraghi siamo noi, che stiamo annegando nel cinismo della paura. Che c'è un nuovo Olocausto. Che le camere a gas esistono ancora. E sono le stive chiuse dei barconi dove muoiono senza aria uomini, donne, bambini perseguitati dall'egoismo. L'ideologia del nuovo nazismo, che fa ancora toccare uomini e filo spinato.

Massimo Marnetto

I COMMENTI



A costo di sfidare la collera di Giove.
Nel suo Fuocoammare, che ha vinto l'Orso d'Oro del Festival del cinema di Berlino, senza enfasi retorica o effetti speciali, senza musiche ruffiane o altri trucchi e bellurie, Gianfranco Rosi si limita a mostrare in totale sobrietà cosa succede di questi tempi a Lampedusa, alternando pezzi di vita quotidiana delle famiglie di pescatori, ai soccorsi via cielo e via mare ai barconi che arrivano dalle coste dell'Africa sovraccarichi di sopravvissuti, agonizzanti o morti per asfissia e disidratazione. Per cui le immagini dei giochi e delle avventure dei ragazzetti locali, le uscite in mare dei loro padri pescatori, le faccende che le madri sbrigano in casa, si alternano a quelle dei profughi stipati su vari strati dentro barconi fatiscenti. E la cinepresa entra tra i cumuli dei corpi senza vita, o ci fa ascoltare il racconto dei sopravvissuti e le loro peripezie, o quello del medico che deve intervenire a sanare e guarire, o seppellire, donne, uomini, bambini. Il tutto girato dal vivo in stile documentario naturalistico. Ho chiesto ad alcuni ragazzi egiziani che sono sbarcati da uno di quei barconi di accompagnarmi a vedere il film. Mi hanno risposto che preferivano di no. Hanno fatto benissimo. Ho pianto io anche per loro. Stasera ci vedremo insieme a casa, gustandoci una pastasciutta, la partita della Roma.
GCM

Il giorno 21 febbraio 2016 22:08, P.M. ha scritto:
Studiata l'occasione, studiata la scelta delle frasi a effetto, ricercato l'impatto delle immagini con quanto sappiamo della nostra storia, sapiente l'accostamento del naufragio altrui con il nostro annegare nell'impotenza. Perfino l'impaginazione, con l'andare accapo al momento giusto, fa restare col fiato sospeso quel tanto che si arriva impreparati alla nuova bordata. In poche parole, un capolavoro di "significativo commento", coinvolgente quanto serve all'autore immaginare e non credibile quanto basta a essere esecrabile (ai miei occhi).
Non merita il servilismo di J. e conferma me nel giudizio sul soggetto. Ma, come indicava Petri, unicuique suum. P.M.

www.libertaegiustizia.it

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