Tre Righe ha già pubblicato diversi articoli sulla protesta dei professori universitari che dura ormai da tempo. Ce ne dà un aggiornamento la nostra amica Ghisi con un articolo pubblicato su donnealtri.it
Da www.donnealtri.it
Una
parte dei Professori
Universitari sta esercitando una protesta “silenziosa” nei confronti
del Governo Renzi, rivolta in particolare al Ministro dell’Università
Stefania Giannini. Dopo il primo blocco degli scatti stipendiali dei
dipendenti pubblici nel triennio 2011-2013, voluto
dal governo Berlusconi per il contenimento della spesa pubblica, il
blocco è stato reiterato dal governo Letta per il 2014 e dal governo
Renzi per il 2015 solo per la categoria dei docenti universitari.
Interrotto da gennaio 2016 parzialmente (non per tutte
le categorie insieme) si è ricominciato come se niente fosse successo e
in termini economici ci è stato un aumento di circa 100 euro invece dei
350 che sarebbero spettati. Un altro punto del contendere è che tutte
le altre categorie di statali hanno avuto
il ripristino dello stipendio da gennaio 2015 esclusi i docenti
universitari che l’hanno avuto, appunto, dal 2016.
La legittima richiesta attuale dei docenti universitari vuole che gli anni 2011/2015 siano riconosciuti almeno giuridicamente. Ciò vuol dire una serie di cose, ma la più importante (e grave) è che questi anni di lavoro non sono riconosciuti ai fini pensionistici, quindi risulta come non si fosse lavorato. L’ironia della sorte vuole che l’ANVUR – l’Agenzia Nazionale per la Valutazione della Ricerca Universitaria – chieda ai proff. di partecipare alla procedura per la Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR), relativa al quadriennio 2011-2014 e cioè proprio di quel periodo che si è deciso di cancellare nelle carriere dei docenti.
Il rifiuto di comunicare i propri “prodotti” scientifici (libri, articoli, saggi ecc.) nei rispettivi siti universitari può falsare la valutazione (ma solo se la percentuale degli astensionisti variasse molto tra Ateneo e Ateneo) per la quale verrebbe assegnata una parte dei fondi agli Atenei e ai diversi Dipartimenti, e penalizza gli stessi docenti che, ovviamente, si rifiutano a loro volta anche di essere i valutatori. Considerata da alcuni baroni una battaglia “impropria”, lo sciopero bianco continua in tutta Italia facendo in modo che in molti Atenei si sta slittando la deadline di consegna dei prodotti.
La situazione di lavoro dei docenti universitari è in sofferenza per la mancanza di aule e di strutture per la didattica, per i tagli dei fondi di ricerca, per la mancanza di nuovi posti a sostituzione dei docenti andati in pensione e adesso anche per il bocco degli stipendi. Negli ultimi anni oltre ai tradizionali compiti didattici e scientifici, i docenti hanno dovuto aggiungere incombenze burocratiche e amministrative del tutto sconosciute nei sistemi universitari europei (nell’Europa Occidentale le risorse a disposizione delle università vanno dal triplo al quintuplo di quelle in dotazione alle università italiane).
A tutt’oggi la protesta – di cui la stampa non ha parlato – non ha in alcun modo pregiudicato l’attività degli studenti, per i quali sarebbe necessario ampliare le garanzie del diritto allo studio, finanziato in misura del tutto inadeguata. La stessa CRUI – Conferenza dei Rettori Universitari Italiani – e il CUN – Consiglio Universitario Nazionale – hanno preso una posizione a fianco dei proff. astensionisti. In ogni sede universitaria si stanno mobilitando i docenti con riunioni, interventi, lettere aperte e quant’altro possa pubblicizzare la protesta per alcuni versi troppo “silenziosa” e sicuramente poco appariscente. Si stanno cercando modalità di lotta diverse e più “allargate” in caso di ulteriore silenzio del Ministro e di non risposta alle richieste dei docenti in particolare in previsione del 21 marzo, una giornata particolare a livello nazionale, dedicata alla ricerca universitaria. Al Politecnico di Torino, che ha costituito il motore trainante della protesta, si stanno raccogliendo i dati degli Atenei in agitazione; è stato costituito un sito apposito che viene aggiornato continuamente. Alcuni dati recenti (parziali e in mio possesso) dell’astensione dai prodotti di ricerca per la valutazione sono:
Roma La Sapienza 23,41%
Roma Tre 22%
Politecnico di Milano 22,4%
Parma 36%
Pavia 24%
Piemonte Orientale 66%
Pisa 34%
Firenze 12%
Genova 15%
Siena 17%
Udine 13%
Uninsubria (Como e Varese)19%
Bari 13%
Bari Politecnico 84%
Catania 20%
Napoli Federico II 10-15%
Napoli Parthenope 31%
Palermo 30%
Salerno 20-25%
Salento 40%
Università della Calabria 22%
Oltre a tutto ciò, il governo Renzi minaccia all’orizzonte finanziamenti privati per la ricerca. Così riportava la Repubblica, il 25 febbraio scorso nell’articolo di Elena Cattaneo, dal titolo “Human Technopole, la scienza all’Expo e la favola del pifferaio”: «E mentre la ricerca agonizza, spunta lo Human Technopole. Il presidente del Consiglio lo ha tirato fuori dal cilindro mesi fa definendolo “centro di ricerca mondiale su sicurezza alimentare, qualità della vita, ambiente” e affidandone (alla cieca) la gestione all’Istituto italiano di Tecnologia (Iit) di Genova, fondazione di diritto privato. Per cui, mentre i ricercatori pubblici nemmeno sanno se esisterà un bando Prin 2016, un ente di diritto privato avrà garantiti 150 milioni di euro all’anno per dieci anni (ma allora le risorse ci sono!). Lo stesso a cui sono erogati da anni (sono già oltre 10) 100 milioni all’anno. Preziose risorse pubbliche che vengono stanziate dal governo di turno “senza accorgersi” che in buona parte sono accantonate in un tesoretto (legale ma illogico) che oggi ammonterebbe a 430 milioni. Risorse pubbliche per la ricerca “dormienti” depositati presso un fondo privato. Il progetto sul post-Expo è l’esempio più emblematico, tra i tanti possibili, delle distorsioni per fini politici, dell’improvvisazione e di come non si dovrebbero gestire i fondi pubblici per la ricerca. Un finanziamento top-down che crea una nuova corte dei miracoli (a prescindere che si chiami Iit) presso la quale c’è già chi si è messo a tavola».
In conclusione, si possono sintetizzare in questi pochi punti le richieste dei docenti universitari:
1. la fine della penalizzazione dei docenti universitari negli ultimi cinque anni con il riconoscimento ai fini giuridici del quadriennio 2011-2014 e con la riattivazione degli scatti stipendiali dal 1° gennaio 2015, come le altre categorie di pubblico impiego.
2. il rafforzamento del diritto allo studio, per consentire a milioni di giovani di studiare nelle migliori condizioni possibili e contribuire, in tal modo, al benessere futuro del Paese;
3. la razionalizzazione delle risorse per la ricerca, al fine di potenziare il sistema nazionale dell’istruzione superiore.
4. una valutazione sia della didattica sia della ricerca, seria e trasparente che premi i migliori docenti e le migliori università;
5. un’università finanziata a livelli confrontabili con quelli degli altri Paesi europei
La legittima richiesta attuale dei docenti universitari vuole che gli anni 2011/2015 siano riconosciuti almeno giuridicamente. Ciò vuol dire una serie di cose, ma la più importante (e grave) è che questi anni di lavoro non sono riconosciuti ai fini pensionistici, quindi risulta come non si fosse lavorato. L’ironia della sorte vuole che l’ANVUR – l’Agenzia Nazionale per la Valutazione della Ricerca Universitaria – chieda ai proff. di partecipare alla procedura per la Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR), relativa al quadriennio 2011-2014 e cioè proprio di quel periodo che si è deciso di cancellare nelle carriere dei docenti.
Il rifiuto di comunicare i propri “prodotti” scientifici (libri, articoli, saggi ecc.) nei rispettivi siti universitari può falsare la valutazione (ma solo se la percentuale degli astensionisti variasse molto tra Ateneo e Ateneo) per la quale verrebbe assegnata una parte dei fondi agli Atenei e ai diversi Dipartimenti, e penalizza gli stessi docenti che, ovviamente, si rifiutano a loro volta anche di essere i valutatori. Considerata da alcuni baroni una battaglia “impropria”, lo sciopero bianco continua in tutta Italia facendo in modo che in molti Atenei si sta slittando la deadline di consegna dei prodotti.
La situazione di lavoro dei docenti universitari è in sofferenza per la mancanza di aule e di strutture per la didattica, per i tagli dei fondi di ricerca, per la mancanza di nuovi posti a sostituzione dei docenti andati in pensione e adesso anche per il bocco degli stipendi. Negli ultimi anni oltre ai tradizionali compiti didattici e scientifici, i docenti hanno dovuto aggiungere incombenze burocratiche e amministrative del tutto sconosciute nei sistemi universitari europei (nell’Europa Occidentale le risorse a disposizione delle università vanno dal triplo al quintuplo di quelle in dotazione alle università italiane).
A tutt’oggi la protesta – di cui la stampa non ha parlato – non ha in alcun modo pregiudicato l’attività degli studenti, per i quali sarebbe necessario ampliare le garanzie del diritto allo studio, finanziato in misura del tutto inadeguata. La stessa CRUI – Conferenza dei Rettori Universitari Italiani – e il CUN – Consiglio Universitario Nazionale – hanno preso una posizione a fianco dei proff. astensionisti. In ogni sede universitaria si stanno mobilitando i docenti con riunioni, interventi, lettere aperte e quant’altro possa pubblicizzare la protesta per alcuni versi troppo “silenziosa” e sicuramente poco appariscente. Si stanno cercando modalità di lotta diverse e più “allargate” in caso di ulteriore silenzio del Ministro e di non risposta alle richieste dei docenti in particolare in previsione del 21 marzo, una giornata particolare a livello nazionale, dedicata alla ricerca universitaria. Al Politecnico di Torino, che ha costituito il motore trainante della protesta, si stanno raccogliendo i dati degli Atenei in agitazione; è stato costituito un sito apposito che viene aggiornato continuamente. Alcuni dati recenti (parziali e in mio possesso) dell’astensione dai prodotti di ricerca per la valutazione sono:
Roma La Sapienza 23,41%
Roma Tre 22%
Politecnico di Milano 22,4%
Parma 36%
Pavia 24%
Piemonte Orientale 66%
Pisa 34%
Firenze 12%
Genova 15%
Siena 17%
Udine 13%
Uninsubria (Como e Varese)19%
Bari 13%
Bari Politecnico 84%
Catania 20%
Napoli Federico II 10-15%
Napoli Parthenope 31%
Palermo 30%
Salerno 20-25%
Salento 40%
Università della Calabria 22%
Oltre a tutto ciò, il governo Renzi minaccia all’orizzonte finanziamenti privati per la ricerca. Così riportava la Repubblica, il 25 febbraio scorso nell’articolo di Elena Cattaneo, dal titolo “Human Technopole, la scienza all’Expo e la favola del pifferaio”: «E mentre la ricerca agonizza, spunta lo Human Technopole. Il presidente del Consiglio lo ha tirato fuori dal cilindro mesi fa definendolo “centro di ricerca mondiale su sicurezza alimentare, qualità della vita, ambiente” e affidandone (alla cieca) la gestione all’Istituto italiano di Tecnologia (Iit) di Genova, fondazione di diritto privato. Per cui, mentre i ricercatori pubblici nemmeno sanno se esisterà un bando Prin 2016, un ente di diritto privato avrà garantiti 150 milioni di euro all’anno per dieci anni (ma allora le risorse ci sono!). Lo stesso a cui sono erogati da anni (sono già oltre 10) 100 milioni all’anno. Preziose risorse pubbliche che vengono stanziate dal governo di turno “senza accorgersi” che in buona parte sono accantonate in un tesoretto (legale ma illogico) che oggi ammonterebbe a 430 milioni. Risorse pubbliche per la ricerca “dormienti” depositati presso un fondo privato. Il progetto sul post-Expo è l’esempio più emblematico, tra i tanti possibili, delle distorsioni per fini politici, dell’improvvisazione e di come non si dovrebbero gestire i fondi pubblici per la ricerca. Un finanziamento top-down che crea una nuova corte dei miracoli (a prescindere che si chiami Iit) presso la quale c’è già chi si è messo a tavola».
In conclusione, si possono sintetizzare in questi pochi punti le richieste dei docenti universitari:
1. la fine della penalizzazione dei docenti universitari negli ultimi cinque anni con il riconoscimento ai fini giuridici del quadriennio 2011-2014 e con la riattivazione degli scatti stipendiali dal 1° gennaio 2015, come le altre categorie di pubblico impiego.
2. il rafforzamento del diritto allo studio, per consentire a milioni di giovani di studiare nelle migliori condizioni possibili e contribuire, in tal modo, al benessere futuro del Paese;
3. la razionalizzazione delle risorse per la ricerca, al fine di potenziare il sistema nazionale dell’istruzione superiore.
4. una valutazione sia della didattica sia della ricerca, seria e trasparente che premi i migliori docenti e le migliori università;
5. un’università finanziata a livelli confrontabili con quelli degli altri Paesi europei
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