Pinetina di Villa Massimo
Il TAR, con sentenza pubblicata il 18 marzo e che trovate di seguito, ha dato torto al concessionario E allora chi ha vinto?Ma la burocrazia ovviamente.Perchè la Pinetina continuerà ad essere chiusa fino a che il Comune non avrà espletato tutto l'iter procedurale del caso e, versosimilmente passeranno altri anni. Proprio una bella vittoria........di Pirro, se poi si considera che il concessionario potrà citare ( e lo farà sicuramente) in sede civile per danni il Comune di Roma. Quindi una vittoria che lascia l'amaro in bocca e soprattutto i cittadini senza giardino per chissà quanto altro tempo.
Ma qualcuno pagherà mai dalle parti del Comune di Roma per la sua manifesta incapacità e per il danno erariale procuraro alla comunità?????
D.F.
dal post della pagina fb del Comitato per la riapertura di Villa Massimo
I giudici amministrativi, dunque, hanno sancito che gli atti emessi dagli uffici del Comune in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato del settembre 2014 -pur non essendo adottati "in esecuzione del giudicato" ma solo nell'ambito dell' "esercizio discrezionale del potere di autotutela"- sono da considerarsi legittimi e dunque applicabili.
Quindi, cosa accadrà ora?
Il testo della sentenza parla chiaro: il Comune deve ora procedere alla nuova convocazione della conferenza dei servizi per approvare un nuovo progetto per la realizzazione del Punto Verde Infanzia ed un nuovo schema di convenzione-concessione, "fatti salvi" i procedimenti antecedenti al 2001 (anno di approvazione della precedente convenzione, ora revocata). Ovvero, è tutto da rifare, bisogna ricominciare daccapo e rifare tutto il procedimento amministrativo degli ultimi quindici anni. Con i ben noti tempi della macchina burocratica, questo nuovo procedimento potrebbe durare anni ed anni, e la villa restare chiusa per un tempo indefinito.
E, come se non bastasse, la sentenza aggiunge subito di seguito uno specifico paragrafo: "Va da sé che la tutela ordinamentale prevista in simili fattispecie per il soggetto che sostenga di aver subito un danno dall'avere incolpevolmente confidato nella legittimità dell'azione amministrativa a sé favorevole è costituito dall'eventuale preposizione dell'azione di risarcimento del danno innanzi al giudice civile". In altre parole, il concessionario -ingiustamente danneggiato- potrà rivalersi facendo causa al Comune ed ottenere un congruo risarcimento economico.
Dunque, la "giustizia" ha "giustiziato" il giardino di Villa Massimo, con enorme danno per tutti i cittadini del quartiere: i tempi si allungheranno inevitabilmente, ed i costi economici dell'intera vicenda saranno enormi. Oltre alle nuove risorse che saranno necessarie per il nuovo procedimento e per il ripristino dei luoghi, si dovranno aggiungere probabilmente diversi milioni di euro per una causa civile che il Comune è quasi certamente destinato a perdere.
Una "vittoria" della burocrazia e della cattiva amministrazione. Una sconfitta molto dura per i cittadini ed il bene pubblico.
Il testo della sentenza parla chiaro: il Comune deve ora procedere alla nuova convocazione della conferenza dei servizi per approvare un nuovo progetto per la realizzazione del Punto Verde Infanzia ed un nuovo schema di convenzione-concessione, "fatti salvi" i procedimenti antecedenti al 2001 (anno di approvazione della precedente convenzione, ora revocata). Ovvero, è tutto da rifare, bisogna ricominciare daccapo e rifare tutto il procedimento amministrativo degli ultimi quindici anni. Con i ben noti tempi della macchina burocratica, questo nuovo procedimento potrebbe durare anni ed anni, e la villa restare chiusa per un tempo indefinito.
E, come se non bastasse, la sentenza aggiunge subito di seguito uno specifico paragrafo: "Va da sé che la tutela ordinamentale prevista in simili fattispecie per il soggetto che sostenga di aver subito un danno dall'avere incolpevolmente confidato nella legittimità dell'azione amministrativa a sé favorevole è costituito dall'eventuale preposizione dell'azione di risarcimento del danno innanzi al giudice civile". In altre parole, il concessionario -ingiustamente danneggiato- potrà rivalersi facendo causa al Comune ed ottenere un congruo risarcimento economico.
Dunque, la "giustizia" ha "giustiziato" il giardino di Villa Massimo, con enorme danno per tutti i cittadini del quartiere: i tempi si allungheranno inevitabilmente, ed i costi economici dell'intera vicenda saranno enormi. Oltre alle nuove risorse che saranno necessarie per il nuovo procedimento e per il ripristino dei luoghi, si dovranno aggiungere probabilmente diversi milioni di euro per una causa civile che il Comune è quasi certamente destinato a perdere.
Una "vittoria" della burocrazia e della cattiva amministrazione. Una sconfitta molto dura per i cittadini ed il bene pubblico.
Riportiamo di seguito la sentenza del TAR sulla annosa vicenda della Pinetina di Villa Massimo.
http://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/
AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=TWKB3GOWOX5HBF24DDHAOU4TJ4&q=
AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=TWKB3GOWOX5HBF24DDHAOU4TJ4&q=
N. 03388/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01801/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1801 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Soc DAFI Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Malinconico, Antonio Villani e Maria Cristina Lenoci, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Maria Cristina Lenoci in Roma, Via Emanuele Gianturco, 1;
Soc DAFI Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Malinconico, Antonio Villani e Maria Cristina Lenoci, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Maria Cristina Lenoci in Roma, Via Emanuele Gianturco, 1;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentata e difesa dall’avv. Angela Raimondo, domiciliata presso
l’Avvocatura Capitolina in Roma, Via del Tempio di Giove, 21;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo - Soprintendenza per il Comune di Roma, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Regione Lazio;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo - Soprintendenza per il Comune di Roma, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Regione Lazio;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Sessi Wolmer, Scortichini Claudio, Ortiz Almendras Giovanna, Santercole Adriano, Miglietta Marco, Gentile Arianna, Rivera Flavia, Stano Antonio, Pedatella Stefano Francesco, Salhane Abderrahim, Piroli Francesco e D’Angelo Paola, rappresentati e difesi dagli avvocati Cecilia Martelli ed Alice Baruchello, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, piazza Borghese, 3;
ad opponendum:
Società Immobiliare Antonella, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Cristina Pieretti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Panama, 26;
Patriarca Maria Teresa, Kollmar Tarantini Beatrice, Centili Maurizio e Tarantini Michela, in proprio e quali componenti del Comitato per la difesa della Pineta di Villa Massimo, rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Sanino, Antonio Campagnola, Massimo Polizzi Di Sorrentino e Francesco Fiengo, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180;
Sessi Wolmer, Scortichini Claudio, Ortiz Almendras Giovanna, Santercole Adriano, Miglietta Marco, Gentile Arianna, Rivera Flavia, Stano Antonio, Pedatella Stefano Francesco, Salhane Abderrahim, Piroli Francesco e D’Angelo Paola, rappresentati e difesi dagli avvocati Cecilia Martelli ed Alice Baruchello, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, piazza Borghese, 3;
ad opponendum:
Società Immobiliare Antonella, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Cristina Pieretti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Panama, 26;
Patriarca Maria Teresa, Kollmar Tarantini Beatrice, Centili Maurizio e Tarantini Michela, in proprio e quali componenti del Comitato per la difesa della Pineta di Villa Massimo, rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Sanino, Antonio Campagnola, Massimo Polizzi Di Sorrentino e Francesco Fiengo, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180;
per l'annullamento
della determinazione di Roma Capitale n. 83 in data 26
novembre 2014, recante l'annullamento in autotutela della
determinazione dirigenziale n. 979 del 7 agosto 2001, della
convenzione-concessione per la realizzazione e gestione del Punto Verde
per l’Infanzia 3.2 “Viale di Villa Massimo”, della determinazione
dirigenziale n. 820 del 9 agosto 2006 e della determinazione
dirigenziale n. 731 del 31 luglio 2008;
di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale
nonché per il risarcimento
dei danni subiti e subendi dalla Società ricorrente in conseguenza dell’illegittimità degli atti gravati
nonché, quanto al primo atto di motivi aggiunti, per l’annullamento
della determinazione dirigenziale n. CB 599 del 2
aprile 2015, recante la decadenza dall'autorizzazione di
somministrazione di alimenti e bevande rilasciata a Dafi con
determinazione dirigenziale n. 1679 del 22 dicembre 2007
nonché, quanto al secondo atto di motivi aggiunti, per l’annullamento
della nota del Ministero dei Beni Culturali e delle Attività Culturali e del Turismo prot. n. 673 del 22 gennaio 2015.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dell’Avvocatura Generale dello Stato;
Visti gli atti di intervento ad adiuvandum e ad opponendum;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 febbraio
2016 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
La ricorrente Società Dafi espone che, con convenzione
concessione del 9 agosto 2001 avente ad oggetto la realizzazione e
gestione del punto verde per l’infanzia 3.2 ‘Viale di Villa Massimo’ su
area di proprietà comunale, il Comune di Roma (ora Roma Capitale) le ha
affidato la conduzione del punto di ristoro denominato ‘Casina dei Pini’
ed ha affidato al signor Diego Danaro la conduzione delle aree
destinate a giochi per l’infanzia ovvero del cd. spettacolo viaggiante.
Soggiunge che tale convenzione era stata sottoscritta
inter partes all’esito di una regolare procedura ad evidenza pubblica
culminata con la determinazione dirigenziale n. 979 del 7 luglio
(rectius: agosto) 2001 di “approvazione progetto e schema di convenzione
– concessione per la realizzazione del Punto Verde Infanzia 3.2 ‘Viale
di Villa Massimo’ su area di proprietà comunale in Roma”.
Rappresenta altresì quanto segue:
- nel rispetto delle previsioni convenzionali e dei
tempi ivi stabiliti, la Dafi ha provveduto alla sistemazione, come da
progetto approvato e per quanto di propria competenza, del punto verde
in questione;
- con determinazione dirigenziale n. 820 del 9 agosto
2006, il Dipartimento X Politiche Ambientali ed Agricole di Roma
Capitale ha approvato in favore della ricorrente il progetto per
l’ampliamento del punto ristoro “Casina dei Pini” ubicato nel punto
verde;
- con determinazione dirigenziale n. 731 del 31 luglio
2008, lo stesso Dipartimento ha approvato il progetto presentato dalla
Dafi relativamente ai lavori per l’esecuzione di ulteriori modifiche
presso il locale del punto ristoro;
- con determinazione dirigenziale n. 2435 del 18
dicembre 2009, Roma Capitale ha preso atto della sopravvenuta
indisponibilità del signor Denaro alla gestione delle attività ludiche,
approvando contestualmente il subentro della Dafi Srl nell’attività di
“spettacolo viaggiante” ai sensi dell’art. 3 della convenzione –
concessione stipulata nel 2001;
- divenuto unico soggetto concessionario, Dafi ha
presentato all’amministrazione comunale un progetto di massima per la
riqualificazione della sola aria giochi nel punto verde infanzia,
progetto approvato da Roma Capitale con determinazione dirigenziale n.
1056 del 6 maggio 2010;
- con determinazione dirigenziale n. 26 del 7 gennaio
2011, sono state apportate alcune varianti al progetto approvato nel
2010 e, con determinazione dirigenziale n. 33 del 7 gennaio 2013,
preceduta da conferenza di servizi, Roma Capitale ha approvato, con
ulteriori variazioni, il progetto definitivo.
Pone ancora in rilievo che, nel corso dell’iter
amministrativo riguardante il progetto di riqualificazione dell’area
ludica, alcuni cittadini confinanti hanno impugnato innanzi a questo
Tribunale, la d.d. n. 2435 del 2009, concernente il subentro di Dafi, la
d.d. n. 1056 del 2010, concernente il progetto di riqualificazione, e,
con motivi aggiunti, la d.d. n. 33 del 2013 di approvazione del progetto
definitivo di riqualificazione dell’area ludica.
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza
9 settembre 2014, n. 4547, in riforma dell’impugnata sentenza di questo
Tribunale, Sezione Seconda Bis, 29 aprile 2013, n. 4256, ha accolto il
ricorso per motivi aggiunti di primo grado, nei sensi e con gli effetti
di cui in motivazione.
Con determinazione dirigenziale n. 83 del 26 novembre
2014, Roma Capitale ha annullato, ai sensi e per gli effetti dell’art.
21 octies e nonies della legge n. 241 del 1990, la determinazione
dirigenziale n. 979 del 7 agosto 2001, la convenzione – concessione
avente ad oggetto la realizzazione e gestione del punto verde per
l’infanzia 3.2 “Viale di Villa Massimo” sottoscritta in data 9 agosto
2001, la determinazione dirigenziale n. 820 del 9 agosto 2006, la
determinazione dirigenziale n. 731 del 31 luglio 2008.
La Società Dafi, con l’atto introduttivo del giudizio,
ha impugnato tale provvedimento di annullamento in autotutela,
articolando i seguenti motivi di impugnativa:
Violazione di legge. Violazione del principio di buona
amministrazione e di affidamento del cittadino nell’azione della p.a. di
cui all’art. 97 Cost. Violazione degli artt. 21 octies e 21 nonies
della legge n. 241 del 1990 per insussistenza delle ragioni di fatto e
di diritto poste a fondamento dell’esercizio del potere di autotutela.
Eccesso di potere per falsa presupposizione e travisamento dei fatti;
omessa ed errata esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato n.
4547 del 9 settembre 2014; parziale ed erronea valutazione della nota
della Soprintendenza ministeriale per i beni del Comune di Roma prot.
n. 12178 del 5 agosto 2014. Illogicità ed ingiustizia manifeste.
Sviamento.
La determinazione dirigenziale impugnata e la relativa
comunicazione di avvio del procedimento sono state adottate
successivamente al deposito della sentenza del Consiglio di Stato n.
4547 del 9 settembre 2014 le cui statuizioni – che lungi dall’imporre o
suggerire all’amministrazione comunale l’annullamento ex officio et
tabula rasa di tutti gli atti afferenti alla concessione dell’area di
“Villa Massimo”, hanno invece evidenziato la necessità di colmare
deficit istruttori imputabili essenzialmente alla stessa amministrazione
– non sarebbero state correttamente vagliate e sarebbero state
travisate dagli uffici di Roma Capitale.
Dall’esame del decisum, si evincerebbe che la
legittimità della convenzione del 9 agosto 2001, degli atti procedurali
relativi all’iter che l’avevano preceduta e degli ulteriori atti
annullati con la determinazione impugnata, non risulterebbero affatto
incisi o messi in discussione.
Né potrebbe ritenersi che il provvedimento
annullatorio contestato sia di natura vincolata rispetto alla nota della
Soprintendenza Ministeriale del 5 agosto 2014.
La Soprintendenza, infatti, avrebbe espresso il
proprio parere negativo unicamente sul progetto di riqualificazione
sottopostole da Roma Capitale nel 2013 indicando una serie di attività
istruttorie ed integrazioni documentali, mentre non si sarebbe espressa
in ordine alla legittimità del progetto approvato nel 2001.
Violazione di legge. Violazione del principio di buona
amministrazione e di affidamento del cittadino nell’azione della p.a. di
cui all’art. 97 Cost. Violazione degli artt. 21 octies e 21 nonies
della legge n. 241 del 1990. Violazione dei principi generali in materia
di esercizio del potere di autotutela con particolare riferimento alla
irragionevolezza del termine di adozione del provvedimento di
autoannullamento, alla mancata esternazione dell’interesse pubblico ed
all’omessa ponderazione di quest’ultimo con l’interesse privato. Eccesso
di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.
Difetto di istruttoria, difetto assoluto di motivazione, ingiustizia
manifesta.
Nell’esercizio del potere di autotutela, da esercitare
in un termine ragionevole, dovrebbe essere valutata la sussistenza di
un interesse pubblico all’annullamento, prevalente sulle posizioni
private costituitesi e consolidatesi medio tempore.
Il carattere discrezionale dell’annullamento d’ufficio
imporrebbe una congrua valutazione degli interessi in conflitto, dei
quali occorrerebbe dare adeguatamente conto nella motivazione del
provvedimento di ritiro ogniqualvolta la posizione del destinatario di
un provvedimento amministrativo si sia consolidata suscitando un
ragionevole affidamento della legittimità dello stesso.
Mancherebbe l’esternazione dell’interesse pubblico
all’annullamento o comunque la valutazione di soluzioni alternative
all’annullamento, così come non sarebbe stato preso in considerazione
l’interesse del privato concessionario.
Sarebbe carente anche l’attività istruttoria volta a
verificare la compatibilità di un intervento di recupero dell’area della
concessione nonché le modalità più consone per i futuri progetti,
tenendo conto dell’interesse della Dafi a proseguire il rapporto quale
unico concessionario, potendo oggi subentrare anche alle attività di
pertinenza del signor Danaro in quanto in possesso dei requisiti
soggettivi necessari.
Violazione di legge. Violazione del principio di buona
amministrazione e di affidamento del cittadino nell’azione della p.a. di
cui all’art. 97 Cost. Violazione degli artt. 21 octies e 21 nonies
della legge n. 241 del 1990. Violazione del principio del giusto
procedimento. Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990.
Violazione e mancata o erronea applicazione degli artt. 7, 8, 9 e 10 bis
della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per difetto assoluto di
istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità,
perplessità, ingiustizia manifesta.
L’amministrazione capitolina non avrebbe compiuto
alcun approfondimento istruttorio, ignorando la disponibilità espressa
dalla Dafi a fornire utile e fattivo apporto alle indagini conoscitive
della situazione vincolistica dell’area interessata dalla concessione.
L’affrettata definizione del procedimento, oltre a
dimostrare il sostanziale disinteresse dell’amministrazione all’attività
di approfondimento che avrebbe dovuto svolgere in esecuzione di quanto
richiesto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4547 del 2014 e dalla
nota della Soprintendenza del 5 agosto 2014, avrebbe impedito l’apporto
partecipativo della ricorrente che avrebbe potuto comportare l’adozione
di un diverso provvedimento finale.
Violazione del principio di affidamento nell’azione della p.a. di cui
all’art. 97 Cost. Violazione del principio del giusto procedimento
anche in relazione alla violazione e mancata applicazione del principio
tempus regit actum. Violazione ed errata applicazione degli artt. 10,
20, 21, 40, 57 bis, 106, 136 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004. Violazione
ed errata applicazione della l. n. 778 del 1992 e delle norme di cui al
d.lgs. n. 490 del 1999 applicabile ratione temporis nonché dell’art. 33
della legge n. 448 del 1998. Eccesso di potere per erronea
presupposizione in fatto e in diritto; difetto assoluto di istruttoria;
difetto di motivazione ed ingiustizia manifesta.
Il provvedimento gravato muoverebbe dall’erronea
presupposizione che il progetto approvato nel 2001 e la relativa
convenzione stipulata inter partes dovessero essere precedute dal parere
obbligatorio e vincolante della Soprintendenza, come previsto dal
combinato disposto dalle norme in epigrafe di cui al d.lgs n. 42 del
2004.
Con un primo atto di motivi aggiunti, la Dafi Srl ha
esteso l’impugnativa alla determinazione dirigenziale del 2 aprile 2015,
con cui l’amministrazione capitolina ha disposto la decadenza
dall’autorizzazione di somministrazione al pubblico di alimenti e
bevande rilasciata con determinazione dirigenziale del 22 dicembre 2007,
proponendo le seguenti censure:
Violazione di legge. Violazione del principio del giusto procedimento
anche in relazione alla violazione e mancata o falsa applicazione degli
artt. 3, 7, 8, 10 e 10 bis della legge n. 241 del 1990. Eccesso di
potere per erronea presupposizione, difetto di istruttoria, carenza di
motivazione, contraddittorietà, illogicità, perplessità, ingiustizia
manifesta. Sviamento.
Il provvedimento di decadenza sarebbe stato adottato
in assenza della comunicazione di avvio del procedimento, in esecuzione,
per di più, della determina n. 83 del 2014 impugnata con l’atto
introduttivo del giudizio e quantunque fosse stata già fissata l’udienza
di discussione.
Violazione di legge. Violazione del principio di buon andamento e di
affidamento del cittadino nell’azione della p.a. Violazione del
principio del giusto procedimento anche in relazione alla violazione e
mancata applicazione del principio tempus regit actum. Violazione ed
errata applicazione degli artt. 3, 7, 8, 10, e 10 bis della legge n.
241 del 1990. Eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto di
istruttoria, carenza assoluta di motivazione, contraddittorietà,
illogicità, perplessità, ingiustizia manifesta. Sviamento.
L’amministrazione avrebbe adottato il provvedimento in violazione dell’obbligo di adeguata motivazione.
La determina impugnata con il primo atto di motivi
aggiunti sarebbe altresì viziata in via derivata da tutti i vizi che
affliggerebbero la precedente determina n. 83 del 2014.
La ricorrente evidenzia che, a seguito della
documentazione depositata dall’Avvocatura dello Stato il 16 maggio 2015,
ha avuto cognizione degli atti relativi alla procedura di verifica
attivata dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici
del Lazio con nota del 7 marzo 2013 su esposto del Comitato per la
Difesa della Pineta di Villa Massimo e della relativa corrispondenza
intercorsa tra Roma Capitale, la Regione Lazio ed i denuncianti
In particolare, rappresenta che, con nota prot. n. 673
del 22 gennaio 2015, il MIBACT ha confermato il vincolo notificato nel
1922, disponendo la sua riperimetrazione e la immediata inclusione nel
PTPR alla Regione Lazio, in buona sostanza reiterandolo in virtù
dell’espresso richiamo dell’art. 157, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 42
del 2004, secondo cui “conservano efficacia a tutti gli effetti le
dichiarazioni di notevole interesse pubblico notificate ai sensi della
legge 29 giugno 1939, n. 1497”.
Con un secondo atto di motivi aggiunti, la ricorrente
ha esteso l’impugnativa alla suddetta nota ministeriale, proponendo le
seguenti censure:
Violazione di legge. Violazione del principio di buona
amministrazione e di affidamento del cittadino nell’azione della p.a. di
cui all’art. 97 Cost. Violazione degli artt. 10, 12 e 157 d.lgs. n. 42
del 2004. Violazione del principio del giusto procedimento. Eccesso di
potere per travisamento dei fatti e dei presupposti, contraddittorietà,
difetto assoluto di istruttoria e di motivazione. Sviamento.
Il provvedimento dichiarativo e costitutivo del
vincolo, vale a dire il decreto che ne abbia stabilito natura ed
estensione, non sarebbe stato ancora rinvenuto.
In assenza del provvedimento impositivo dell’antico
vincolo, l’avvio della procedura di verifica da parte del MIBACT avrebbe
indubbiamente prodotto effetti cautelari sospensivi di qualsiasi
intervento in attesa della sua definizione, effetti che avrebbero potuto
riguardare il futuro senza implicare effetti retroattivi e che non
avrebbero potuto giustificare il provvedimento di autotutela, adottato
ben prima che il procedimento di verifica fosse concluso.
La verifica del vincolo avrebbe richiesto un autonomo
accertamento ed una specifica dichiarazione di interesse culturale con
gli effetti di cui all’art. 13 del Testo Unico del 2004.
Violazione di legge. Violazione degli artt. 3, 7, 8 e 10 della legge n. 241 del 1990. Difetto di istruttoria e di motivazione.
Il procedimento si sarebbe concluso con la apodittica
conferma di un vincolo risalente agli inizi del secolo di cui non vi
sarebbe traccia. Dagli stessi documenti depositati dal Ministero, si
evincerebbero elementi che inducono a ritenere il vincolo del 1922 di
tipo “culturale” piuttosto che “paesaggistico”.
Il provvedimento del Ministero, in quanto conclusivo
della procedura di verifica circa la situazione vincolistica dell’area
oggetto della convenzione-concessione incisa dalla determinazione
dirigenziale di Roma Capitale n. 83 del 2014, sarebbe inoltre viziata in
via derivata per i motivi dedotti nell’atto introduttivo del giudizio.
L’Avvocatura Generale dello Stato ha eccepito la
nullità della concessione – convenzione del 2001, ai sensi dell’art. 164
del d.lgs. n. 42 del 2004, per la mancanza dei pareri e nulla osta
paesaggistici nel relativo procedimento nonché la tardività dell’azione
di annullamento proposta con i secondi motivi aggiunti e, nel merito, ha
concluso per il rigetto del ricorso.
Roma Capitale – che ha anch’essa eccepito la tardività
dell’impugnazione delle note intercorse nel periodo dal 2 novembre 2014
al 22 gennaio 2015 tra il Direttore Regionale del MIBACT e la Regione
Lazio - ha analiticamente contestato la fondatezza delle censure
proposte concludendo per il rigetto del ricorso.
La DAFI ha eccepito l’inammissibilità dell’intervento
ad opponendum della Società Immobiliare Antonella, che non potrebbe
ricevere alcun apprezzabile vantaggio diretto dall’eventuale rigetto del
ricorso, nonché l’inammissibilità dell’eccezione di nullità della
convenzione - concessione del 2001 in quanto sollevata dalla difesa
Erariale con memoria anziché con ricorso incidentale.
I signori Sessi Wolmer ed altri, specificati
nell’epigrafe del ricorso, sono intervenuti ad adiuvandum delle ragioni
della ricorrente.
La Società Immobiliare Antonella nonché i signori
Patriarca Maria Teresa, Kollmar Tarantini Beatrice, Centili Maurizio e
Tarantini Michela, in proprio e quali componenti del Comitato per la
difesa della Pineta di Villa Massimo, sono intervenuti ad opponendum.
Le parti hanno depositato memorie a sostegno ed illustrazione delle rispettive ragioni.
La ricorrente ha depositato relazione tecnica sulla
situazione vincolistica e regolarità delle preesistenze del giardino
“Giuseppe De Meo” in viale di Villa Massimo e, con memoria depositata
per l’udienza del 10 febbraio 2016, nell’insistere per l’accoglimento
del ricorso, ha rinunciato in questa sede alla coltivazione della
domanda risarcitoria, con espressa riserva di far valere il relativo
diritto in un eventuale ed autonomo giudizio.
All’udienza pubblica del 10 febbraio 2016, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio, in via preliminare, rileva che
l’eccezione di inammissibilità dell’intervento in giudizio della Società
Immobiliare Antonella non può essere accolta in quanto nel processo
amministrativo, ai fini dell’ammissibilità dell’intervento ad
opponendum, è sufficiente che l’interveniente possa vantare un interesse
di fatto sotteso al mantenimento dei provvedimenti impugnati, che gli
consenta di ritrarre un vantaggio indiretto e riflesso dalla reiezione
del ricorso, sicché l’assenza di un vantaggio diretto non è ostativo
alla legittima proposizione dell’intervento.
Ugualmente, non assume rilievo la contestazione
sull’ammissibilità dell’eccezione di nullità della convenzione -
concessione del 2001 in quanto sollevata dalla difesa Erariale con
memoria anziché con ricorso incidentale, atteso che, ai sensi dell’art.
31, comma 4, c.p.a. la nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla
parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice.
2. Nel merito, il ricorso è infondato e va di conseguenza respinto.
3. Roma Capitale, con determinazione dirigenziale n.
83 del 26 novembre 2014, ha annullato, ai sensi e per gli effetti
dell’art. 21 octies e nonies della legge n. 241 del 1990, la
determinazione dirigenziale n. 979 del 7 agosto 2011, la convenzione -
concessione avente ad oggetto: Realizzazione e gestione del Punto Verde
per l’Infanzia 3.2 “Viale di Villa Massimo” su area di proprietà
comunale sita in Roma, tra Viale di Villa Massimo e Via Ravenna –
Municipio Roma 3 sottoscritta in data 9 agosto 2001 tra il Comune di
Roma (concedente) e il signor Diego Danaro e la DAFI Srl, la
determinazione dirigenziale n. 820 del 9 agosto 2006, la determinazione
dirigenziale n. 731 del 31 luglio 2008.
L’amministrazione capitolina, ricostruita sin
dall’origine la complessa vicenda procedimentale relativa alla
realizzazione e gestione del punto verde in discorso, ha tra l’altro
rappresentato che:
- il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4547 del
2014, ha annullato tutti gli atti riguardanti il subentro della DAFI Srl
nella gestione dell’attività di spettacolo viaggiante e, in via
derivata, gli atti successivi in quanto, si legge in sentenza, nel
momento in cui il Sig. Denaro, originario affidatario, si disimpegnò
dall’attività di “spettacolo viaggiante” la società DAFI Srl non era in
possesso dei titoli autorizzatori per gestire l’impianto, determinando
di fatto anche la decadenza della concessione originaria per mancanza
del requisito essenziale previsto dal regolamento per la concessione di
aree destinate allo spettacolo viaggiante;
- nell’ambito della propria attività di verifica è
stato richiesto al Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune
di Roma, parere di competenza ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004 sul
progetto di riqualificazione dell’area 3.2 – Villa Massimo;
- il Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune
di Roma, con nota del 5 agosto 2014, ha espresso il seguente parere
vincolante e obbligatorio: “Si premette che il parco di Villa Massimo,
di proprietà comunale, in quanto bene sottoposto a un duplice regime di
tutela, è soggetto a parere obbligatorio e vincolante dei competenti
organi ministeriali di settore non solo per le autorizzazioni ai lavori
di qualunque genere (sia per gli aspetti riguardanti l’art. 21 c. 4, con
l’autorizzazione rilasciata dal MIBACT, sia per gli aspetti normati
dall’art. 146 con l’autorizzazione rilasciata dalla Regione o Enti
subdelegati) ma anche per la definizione delle destinazioni d’uso
temporanee e stabili (art. 20 e 21), e per la gestione del bene e le
concessioni ai privati (art. 57 bis e art. 106). Inoltre ordinariamente i
programmi e i piani conservazione dei beni del demanio culturale sono
concertati tra Stato ed Enti locali (art. 40). Il vincolo di bellezza
naturale D.M. 23 febbraio 1927 ex l. n. 778 del 1922. Si precisa che
l’area è vincolata ai sensi dell’art. 136 del D.Lgs. n. 42/004 in forza
della legge n. 778 del 1922, che ha considerato l’area di notevole
interesse con un decreto del 23 febbraio 1927, riconoscendo la non
comune bellezza naturale della pineta di Villa Massimo. Non risulta agli
atti di questo Ufficio che siano stati espletati i procedimenti
concernenti la definizione delle destinazioni d’uso temporanee e stabili
e la concessione al privato né sono pervenute richieste di
autorizzazione paesaggistica per interventi sull’area. Con riferimento
alla richiesta in oggetto questa Soprintendenza si esprime ai sensi
dell’art. 21 c. 4 del citato D. Lgs. n. 42/04. Per quanto riguarda gli
aspetti concernenti l’art. 146 l’istanza dovrà pervenire dagli uffici
preposti a rilasciare l’autorizzazione paesaggistica. Si sottolinea che
la nota non affronta gli aspetti connessi agli artt. 57 bis e 106 del
D.Lgs. n. 42/04. Premesso quanto sopra, esaminata la documentazione
inviata, si rileva quanto segue. Il progetto presentato non si confronta
con l’evoluzione dei lineamenti del luogo, non indaga gli aspetti delle
trasformazioni avvenute nel corso del tempo, non accerta la datazione
dei percorsi e delle strutture esistenti, né si esprime sulla
legittimità dello stato dei luoghi e dei singoli manufatti. Non si
evidenzia se vi siano stati nel corso del tempo abbattimenti di alberi e
se essi siano stati autorizzati. L’istanza non è corredata né da
un’analisi storica né da documentazione grafica o fotografica che
testimoni se le trasformazioni avvenute siano conformi e compatibili con
la disciplina di vincolo che sussiste sulla zona. Il lay out del
progetto (le destinazioni d’uso e i manufatti sono privi delle
autorizzazioni di questo ufficio) presenta un sistema di recinzioni e di
percorsi e la connessione tra area verde e spazio ristoro connesso non
coerente con le caratteristiche originarie del parco, tutelato come
pineta e derivante dal frazionamento dell’originaria Villa Massimo. I
manufatti previsti, le parti pavimentate, i percorsi gli arredi e le
recinzioni costituiscono un insieme di elementi che interferiscono con
la natura di giardino e di bosco del luogo, testimoniato nel corso del
tempo. Pertanto si esprime parere negativo al progetto presentato che
rappresenta una alterazione sostanziale dei caratteri vincolati del
luogo. Si rimane in attesa di un progetto di restauro e recupero del
giardino, comprensivo di una ricerca storica, del rilievo dello stato
dei luoghi, che non solo individui l’originale modellamento del terreno
con i percorsi e le aiole, la rete idrica, ma anche le specie arboree,
gli arredi e elementi storicamente comprovati descrivendone lo stato che
hanno caratterizzato l’uso pubblico di questo parco”.
Pertanto, l’amministrazione ha considerato che:
- il parere di vincolo assoluto rilasciato dalla
Soprintendenza ai sensi dell’art. 136 d.lgs. n. 42/04, in forza della
legge n. 778 del 1922, che ha considerato l’area di notevole interesse
con un decreto del 23 febbraio 1927, riconoscendo la non comune bellezza
naturale della pineta di Villa Massimo, non consente neanche la
reinstallazione delle giostre previste nel progetto originario ed
oggetto di concessione-convenzione sull’area interessata, anche in
considerazione che il titolo acquisito tardivamente dal signor Miglietta
inerisce la sola gestione di un tappeto elastico;
- peraltro il vincolo assoluto comunicato con il
predetto parere risulta esteso all’intera area di Villa Massimo (foglio
588 part. 467 e 111), ed investe anche la legittimità dei progetti
approvati con determinazioni dirigenziali n. 979 del 7 agosto 2001, n.
820 del 9 agosto 2006 e n. 731 del 31 luglio 2008, in quanto in sede di
conferenza di servizi, è stato omesso di richiedere il preventivo parere
della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il
Comune di Roma pur essendo i lavori da eseguirsi in una villa storica,
che oltre al vincolo specifico del 1929 richiamato nel parere della
Soprintendenza, risultava altresì vincolata ai sensi del d.lgs. n. 490
del 1999 – T.U. delle disposizioni legislative in materia di beni
culturali e ambientali;
- detta illegittimità, emersa dal più volte menzionato
parere della Soprintendenza del 5 agosto 2014, rende necessario
procedere, non potendosi procedere ad alcuna procedura sanante,
all’annullamento in autotutela, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21
octies e nonies della legge n. 241/1990 e s.m.i. delle determinazioni
dirigenziali n. 979 del 7 agosto 2001, n. 820 del 9 agosto 2006 e n. 731
del 31 luglio 2008 ed in via derivata di tutti gli atti successivi.
Valutate le controdeduzioni proposte dalla DAFI nel
corso del procedimento, l’amministrazione capitolina ha confermato
l’esigenza di procedere all’annullamento per le seguenti ragioni:
1) il parere espresso dal Ministero per i Beni e le
Attività Culturali Soprintendenza per i beni Architettonici e
Paesaggistici per il Comune di Roma con nota del 5 agosto 2014 coinvolge
direttamente anche gli atti oggetto di avvio del procedimento in
quanto, diversamente da quanto sostenuto dal controinteressato, il
vincolo riguarda l’intera area di Villa Massimo (foglio 588 partt. 467 e
111) ed investe anche la legittimità dei progetti approvati e
realizzati dal 2001 che insistono su tale area. Coinvolge
necessariamente anche le lavorazioni eseguite in esecuzione delle
predette determinazioni dirigenziali n. 979 del 2001, n. 820 del 2006 e
n. 731 del 2008. Quanto sopra risulta confermato anche dalla richiesta
contenuta nel sopracitato parere della Soprintendenza di “un’analisi
storica che testimoni se le trasformazioni avvenute siano conformi e
compatibili con la disciplina di vincolo che sussiste sulla zona … e una
verifica sulla legittimità dello stato dei luoghi”;
2) nel periodo dal 2001, data di approvazione del
progetto oggetto di convenzione, al 2004, data di entrata in vigore del
d.lgs. n. 42 del 2004, era vigente il d.lgs. n. 490 del 1999, che non
consentiva all’ente locale di rilasciare una autorizzazione
paesaggistica sulla base di una autonoma valutazione tecnico
discrezionale anche con riguardo alla compatibilità dell’intervento con
gli eventuali vincoli gravanti sul terreno interessato. L’art. 23 di
tale articolato espressamente prevedeva che i proprietari, possessori o
detentori, a qualsiasi titolo, dei beni culturali indicati all’art. 2,
comma 1, lett. a), così come indicati al successivo comma 2 lett. f)
(ville, parchi e giardini che abbiano interesse artistico o storico)
hanno l’obbligo di sottoporre alla Soprintendenza i progetti delle opere
di qualunque genere che intendano eseguire, al fine di ottenere la
preventiva approvazione;
3) il parere del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per
il Comune di Roma è obbligatorio e vincolante ed eventuali contestazioni
in ordine alla legittimità dello stesso esulano dalle competenze
dell’Ufficio.
4. L’azione di annullamento proposta con l’atto introduttivo del giudizio non può essere accolta.
4.1 Con la prima doglianza, la DAFI ha sostenuto che
la determinazione dirigenziale impugnata e la relativa comunicazione di
avvio del procedimento sono state adottate successivamente al deposito
della sentenza del Consiglio di Stato n. 4547 del 9 settembre 2014, le
cui statuizioni – che lungi dall’imporre o suggerire all’amministrazione
comunale l’annullamento ex officio et tabula rasa di tutti gli atti
afferenti alla concessione dell’area di “Villa Massimo”, hanno invece
evidenziato la necessità di colmare deficit istruttori imputabili
essenzialmente alla stessa amministrazione – non sarebbero state
correttamente vagliate e sarebbero state travisate dagli uffici di Roma
Capitale. Dall’esame del decisum, in sostanza, si evincerebbe che la
legittimità della convenzione del 9 agosto 2001, degli atti procedurali
relativi all’iter che l’avevano preceduta e degli ulteriori atti
annullati con la determinazione impugnata, non risulterebbero affatto
incisi o messi in discussione.
Le argomentazioni formulate, pur oggettivamente
condivisibili, sono inidonee a dimostrare l’illegittimità dell’azione
amministrativa in quanto inconferenti con le ragioni per le quali il
provvedimento impugnato è stato adottato.
L’impugnato provvedimento di annullamento, infatti,
come chiaramente indicato nel richiamato sviluppo motivazionale, è stato
adottato nell’esercizio del potere di autotutela, non già in esecuzione
della sentenza della Quarta Sezione del Consiglio di Stato n. 4547 del 9
settembre 2014.
Tale pronuncia giurisdizionale - emanata in esito
all’appello proposto da alcuni interventori ad opponendum (o, più
propriamente, controinteressati) nel presente giudizio avverso la
sentenza con la quale questo Tribunale aveva respinto il ricorso dagli
stessi proposto per l’annullamento delle determinazioni dirigenziali, e
di tutti gli atti presupposti, coordinati e connessi, posti in essere
dal Comune di Roma (oggi Roma Capitale) circa il progetto di massima per
variante di riqualificazione dell’area Punto Verde Infanzia “Viale di
Villa Massimo”, ha tra l’altro statuito:
“7. …. La prima questione da delibare riguarda il
subentro di DAFI S.r.l. nella concessione relativa alla gestione
dell’attività ludica, in relazione alla quale gli appellanti
ripropongono le proprie doglianze di illegittimità per mancato possesso
dei requisiti necessari.
La censura è fondata.
Infatti, come risulta dagli atti, nel momento in cui il sig. Denaro, originario affidatario, si disimpegnò dall’attività di “spettacolo viaggiante”
la società DAFI S.r.l. non era in possesso dei titoli autorizzatori per
la gestione dei relativi impianti; al riguardo, va evidenziato che
l’art. 3 della convenzione – che disciplina il subentro nella stessa –
non consentiva il subingresso di un nuovo concessionario sub condicione
del futuro ottenimento delle autorizzazioni (ciò che le parti
resistenti assumono essere in fatto avvenuto), bensì prevedeva che chi
intendesse subentrare al concessionario dovesse a sua volta essere già
in possesso di tutti i necessari requisiti.
Sul punto DAFI S.r.l. non sembra smentire in fatto gli
assunti di parte attorea, affermando anzi che solo nel 2010 e nel 2011
avrebbe ottenuto dal Comune di Roma le autorizzazioni necessarie ai
sensi dell’art. 69 T.U.L.P.S.: ciò che induce a concludere, in buona
sostanza, che l’Amministrazione comunale abbia di fatto “tollerato” per
quasi due anni in loco un esercizio abusivo dell’attività di pubblico intrattenimento.
Ne discende la fondatezza del vizio sul punto
lamentato in primo grado, non essendo stata smentita la censura
formulata in primo grado, la quale afferiva proprio alla mancanza del
requisito soggettivo previsto ex art. 3, requisito richiesto all’attualità del subentro e non “integrabile” in un momento successivo.
8. ……
9. Dal momento che l’accoglimento della censura
esaminata al punto 7 che precede, inficiando il subentro dell’odierna
controinteressata nel rapporto concessorio, investe la stessa
legittimazione di DAFI S.r.l. a poter presentare il progetto di
riqualificazione de quo, esso può considerarsi assorbente di tutti i restanti motivi.
Tuttavia, appare opportuno esaminare alcuni degli
ulteriori motivi di ricorso articolati in primo grado, anche al fine di
orientare la futura attività dell’Amministrazione in sede di eventuale
riedizione del proprio giudizio sul progetto di riqualificazione (ove
ritualmente ripresentato), ai sensi dell’art. 34, comma 1, lettera e), cod. proc. amm.
10. Per quanto concerne la questione del vincolo
boschivo, asseritamente violato dall’intervento per cui è causa, occorre
esaminare due distinti profili.
10.1. Il primo profilo attiene alla stessa esistenza
del vincolo, contestata da parte appellata ma ben documentata dagli
appellanti con la memoria depositata in data 24 aprile 2014: sul punto,
parte appellata eccepisce l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 104,
comma 2, cod. proc. amm., della documentazione prodotta in una a detta
memoria, ma è evidente che trattasi di documentazione ammissibile,
essendo di data successiva alla sentenza impugnata e, quindi, per
definizione non producibile in primo grado.
Tuttavia, se detta documentazione illumina sulle più
recenti vicende del vincolo boschivo di cui si discorre (e, in
particolare, sulla sua “derubricazione” e sulla successiva revoca
in autotutela di essa), resta incerta la fonte del vincolo medesimo,
facendosi bensì riferimento a un vincolo notificato in data 23 febbraio
1929 ai sensi della legge 11 giugno 1922, nr. 778, senza però che vi sia
documentazione dell’epoca che ciò confermi.
Sul punto è opportuno che l’Amministrazione comunale,
in sede di eventuale rinnovazione della propria attività, approfondisca
l’esame dell’assetto storico dell’area, al fine di definirne meglio il
regime anche quanto al perdurante vigore di risalente disciplina
vincolistica; ciò anche ai fini di quanto si dirà subito appresso in
ordine alla necessità di acquisire il parere delle autorità preposte
alla salvaguardia dei vincoli medesimi.
10.2. Il secondo profilo problematico, dato per
acquisito che un vincolo boschivo effettivamente vi sia, attiene alla
verifica della compatibilità con esso del progetto di riqualificazione
per cui è causa.
Sul punto, la Sezione si limita a osservare come siano
del tutto inconferenti le doglianze di parte istante – e,
correlativamente, anche le difese del Comune e della società appellata –
sullo sradicamento di alberi che vi sarebbe stato, sul numero delle
piante che lo avrebbero subito e sulla sua riconducibilità ad attività
deliberata della società concessionaria piuttosto che a imprevedibili
agenti atmosferici; infatti, è evidente che in questa sede non interessa
occuparsi di condotte materiali di danneggiamento al patrimonio
arboreo, delle quali – se del caso – altre Autorità potranno essere
chiamate a valutare la natura e la rilevanza.
Ciò che rileva, invece, è il contenuto del progetto
per cui è causa, che secondo gli appellanti prevede un massiccio
ridimensionamento dell’area boschiva che si assume vincolata, mentre per
l’appellata ne prevede la pressoché totale “ripiantumazione”.
Al riguardo, è sufficiente precisare che, ove dalla nuova istruttoria da compiere risultasse l’effettiva esistenza in loco del
vincolo boschivo, la compatibilità con questo dell’intervento
progettato dovrà formare specifico oggetto del parere da chiedere alla
competente Soprintendenza (la quale, pur avendo reso parere favorevole
nell’ambito della Conferenza di servizi a suo tempo tenutasi, non
risulta aver preso in considerazione – forse sempre a causa del deficit istruttorio
evidenziato – la possibile esistenza di un vincolo boschivo, e quindi
la necessità di esprimersi anche in ordine a questo).
10.3. Altra questione di merito da affrontare,
sollevata dagli istanti nel ricorso di primo grado, riguarda la
normativa urbanistica sulle aree a standard da destinare a
parcheggio: al riguardo, durante la Conferenza di servizi conclusasi con
la determinazione dirigenziale nr. 1056 del 2010 non risulta fornita
risposta chiara e univoca al preliminare quesito dell’individuazione
della norma di P.R.G. applicabile nella fattispecie, e pertanto è anche
questo un tema che l’Amministrazione dovrà affrontare in sede di
eventuale riesame della vicenda.
Al riguardo, la Sezione condivide l’assunto di parte
istante secondo cui la norma sulla base della quale va verificato il
rispetto degli standard è l’art. 85 delle N.T.A. al vigente P.R.G.;
infatti, il successivo art. 113, che esclude l’applicabilità delle
disposizioni del nuovo strumento urbanistico ai “Piani e ai Programmi urbanistici già adottati”
alla data della sua entrata in vigore, risulta manifestamente non
applicabile alla riqualificazione del Punto Verde per cui è causa,
perché questa è uno specifico progetto e non un “piano” né un
“programma”; di conseguenza, esso soggiace alle prescrizioni in materia
di standard vigenti al momento della sua proposizione (e, quindi, al più stringente regime dell’art. 85 delle N.T.A.).”
La sentenza della Quarta Sezione del Consiglio di
Stato ha annullato il progetto di massima per variante di
riqualificazione dell’area Punto Verde Infanzia “Viale di Villa Massimo”
in ragione dell’illegittimo subentro della DAFI Srl nella concessione
relativa alla gestione dell’attività ludica, per mancato possesso dei
requisiti necessari al momento del disimpegno dell’originario
affidatario dall’attività di “spettacolo viaggiante”, con assorbimento
dei restanti motivi.
Di talché, non vi è dubbio che detta sentenza abbia
prodotto effetti solo con riferimento a tale attività amministrativa e
non anche agli atti annullati in autotutela con il provvedimento
impugnato.
Insomma, è evidente che il provvedimento impugnato con
l’atto introduttivo del presente giudizio non è stato adottato
nell’esecuzione del giudicato.
Nondimeno, la richiamata pronuncia del giudice di
appello ha evidenziato l’opportunità che “l’Amministrazione comunale, in
sede di eventuale rinnovazione della propria attività, approfondisca
l’esame dell’assetto storico dell’area, al fine di definirne meglio il
regime anche quanto al perdurante vigore di risalente disciplina
vincolistica; ciò anche ai fini di quanto si dirà subito appresso in
ordine alla necessità di acquisire il parere delle autorità preposte
alla salvaguardia dei vincoli medesimi”.
Tale statuizione incidentale può ritenersi che abbia
costituito l’occasione per lo svolgimento dell’attività di verifica sul
regime vincolistico dell’area oggetto di concessione - che ben avrebbe
potuto o, anzi, dovuto essere comunque svolta dall’amministrazione
capitolina - da cui sono scaturiti gli elementi che hanno indotto Roma
Capitale ad agire in autotutela.
4.2 Parimenti infondata, in quanto anch’essa basata su
una prospettazione inidonea a disvelare le ragioni essenziali
dell’azione in autotutela, è la doglianza secondo cui non potrebbe
ritenersi che il provvedimento annullatorio contestato sia di natura
vincolata rispetto alla nota della Soprintendenza Ministeriale del 5
agosto 2014, atteso che la Soprintendenza avrebbe espresso il proprio
parere negativo unicamente sul progetto di riqualificazione sottopostole
da Roma Capitale nel 2013 indicando una serie di attività istruttorie
ed integrazioni documentali, mentre non si sarebbe espressa in ordine
alla legittimità del progetto approvato nel 2001.
In proposito, non sussiste alcun dubbio sul fatto che
Roma Capitale abbia richiesto il parere alla Soprintendenza per i Beni
Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, ai sensi del
d.lgs. n. 42 del 2004, sul progetto di riqualificazione dell’area 3.2
Villa Massimo e che la Soprintendenza abbia espresso parere negativo
perché il progetto presentato rappresenta una alterazione sostanziale
dei caratteri vincolati del luogo.
Tuttavia, dal parere richiesto emergono indicazioni
sul regime vincolistico dell’area che hanno indotto l’amministrazione
capitolina ad avviare d’ufficio, con la comunicazione del 26 settembre
2014, un diverso procedimento, volto all’annullamento in autotutela
della determinazione dirigenziale n. 979 del 7 agosto 2001, della
convenzione – concessione sottoscritta il 9 agosto 2001, della
determinazione dirigenziale n. 820 del 9 agosto 2006 e della
determinazione dirigenziale n. 731 del 31uglio 2008.
Il detto parere, in particolare, ha precisato che
l’area è vincolata ai sensi dell’art. 136 d.lgs. n. 42 del 2004, in
forza della legge 778 del 1922, che ha considerato l’area di notevole
interesse con un decreto del 23 febbraio 1927, riconoscendo la non
comune bellezza naturale della pineta di Villa Massimo.
Di talché, il Comune ha tenuto conto, come
puntualmente riportato nell’atto impugnato, che il vincolo assoluto
comunicato con il predetto parere del 5 agosto 2014 risulta esteso
all’intera area di Villa Massimo ed investe anche la legittimità dei
progetti approvati con determinazioni dirigenziali n. 979 del 7 agosto
2001, n. 820 del 9 agosto 2006 e n. 731 del 31 luglio 2008 in quanto, in
sede di conferenza di servizi, è stato omesso di richiedere il
preventivo parere della Soprintendenza per i Beni Architettonici e
Paesaggistici per il Comune di Roma pur essendo lavori da eseguirsi in
una villa storica, che oltre al vincolo specifico del 1929 richiamato
nel parere della Soprintendenza, risultava altresì vincolata ai sensi
del d.lgs. n. 490 del 1999 delle disposizioni legislative in materia di
beni culturali e ambientali.
In definitiva, se è vero che il parere alla
Soprintendenza è stato chiesto nell’ambito del procedimento relativo al
progetto di riqualificazione dell’area e che il parere negativo è stato
espresso in relazione al progetto presentato, è altrettanto vero che il
provvedimento impugnato non è stato adottato nell’esecuzione vincolata
del suddetto parere, ma nell’esercizio discrezionale del potere di
autotutela, avviato d’ufficio a seguito del contenuto del parere in
discorso, dal quale l’amministrazione ha accertato la consistenza del
vizio di legittimità che ha afflitto gli atti successivamente annullati
in autotutela.
In sostanza, in doverosa applicazione del principio di
continuità che caratterizza l’azione amministrativa, Roma Capitale,
avendo ritenuto, sulla base del contenuto del parere reso dalla
Soprintendenza in data 5 agosto 2014, che gli atti a suo tempo adottati
fossero illegittimi, ha dapprima comunicato l’avvio del procedimento di
autotutela, che costituisce un tipico procedimento d’ufficio ed a
carattere discrezionale, e successivamente ha adottato il provvedimento
di annullamento gravato con l’atto introduttivo del presente giudizio.
4.3 Con successive doglianze, la ricorrente ha
contestato che, nell’esercizio del potere di autotutela, da esercitare
in un termine ragionevole, dovrebbe essere valutata la sussistenza di un
interesse pubblico all’annullamento, prevalente sulle posizioni private
costituitesi e consolidatesi medio tempore. Il carattere discrezionale
dell’annullamento d’ufficio imporrebbe una congrua valutazione degli
interessi in conflitto, dei quali occorrerebbe dare adeguatamente conto
nella motivazione del provvedimento di ritiro ogniqualvolta la posizione
del destinatario di un provvedimento amministrativo si sia consolidata
suscitando un ragionevole affidamento della legittimità dello stesso.
Mancherebbe, invece, l’esternazione dell’interesse pubblico
all’annullamento o comunque la valutazione di soluzioni alternative
all’annullamento, così come non sarebbe stato preso in considerazione
l’interesse del privato concessionario.
Le censure non sono persuasive.
L’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, ratione
temporis vigente, stabilisce che il provvedimento amministrativo
illegittimo ai sensi dell’art. 21 octies, esclusi i casi di cui al
medesimo art. 21 octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio,
sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine
ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo
previsto dalla legge.
La ampia motivazione dell’atto di autotutela si fonda, come in precedenza esposto, sulle seguenti ragioni:
1) il parere espresso dal Ministero per i Beni e le
Attività Culturali Soprintendenza per i beni Architettonici e
Paesaggistici per il Comune di Roma, con nota del 5 agosto 2014,
coinvolge direttamente anche gli atti oggetto di avvio del procedimento
in quanto, diversamente da quanto sostenuto dal controinteressato, il
vincolo riguarda l’intera area di Villa Massimo ed investe anche la
legittimità dei progetti approvati e realizzati dal 2001 che insistono
su tale area. Coinvolge necessariamente anche le lavorazioni eseguite in
esecuzione delle determinazioni dirigenziali n. 979 del 2001, n. 820
del 2006 e n. 731 del 2008;
2) nel periodo dal 2001, data di approvazione del
progetto oggetto di convenzione, al 2004, data di entrata in vigore del
d.lgs. n. 42 del 2004, era vigente il d.lgs. n. 490 del 1999, che non
consentiva all’ente locale di rilasciare una autorizzazione
paesaggistica sulla base di una autonoma valutazione tecnico
discrezionale anche con riguardo alla compatibilità dell’intervento con
gli eventuali vincoli gravanti sul terreno interessato. L’art. 23 di
tale articolato espressamente prevedeva che i proprietari, possessori o
detentori, a qualsiasi titolo, dei beni culturali indicati all’art. 2,
comma 1, lett. a), così come indicati al successivo comma 2, lett. f),
(ville, parchi e giardini che abbiano interesse artistico o storico)
hanno l’obbligo di sottoporre alla Soprintendenza i progetti delle opere
di qualunque genere che intendano eseguire, al fine di ottenere la
preventiva approvazione;
3) il parere del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali Soprintendenza per i beni Architettonici e Paesaggistici per
il Comune di Roma è obbligatorio e vincolante ed eventuali contestazioni
in ordine alla legittimità dello stesso esulano dalle competenze
dell’Ufficio.
Va da sé che l’amministrazione ha ritenuto che il
vincolo assoluto comunicato dalla Soprintendenza con il parere del 5
agosto 2014, esteso all’intera area di Villa Massimo, determina un vizio
di legittimità radicale dei progetti approvati con determinazioni
dirigenziali n. 979 del 7 agosto 2001, n. 820 del 9 agosto 2006 e n. 731
del 31 luglio 2008 in quanto, in sede di conferenza di servizi, non è
stato chiesto il preventivo parere della Soprintendenza per i Beni
Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma.
D’altra parte, al termine del parere reso in data 5
agosto 2014, come in precedenza riportato, la Soprintendenza ha
affermato di rimanere in attesa “di un progetto di restauro e recupero
del giardino, comprensivo, di una ricerca storica, del rilievo dello
stato dei luoghi … “, per cui ha rappresentato l’esigenza di un
ripristino dello stato originario dei luoghi.
L’intervento dell’Autorità preposta alla tutela delle
bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico, ora
previsto dal codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. nl. 42
del 2004), era, al momento dell’originaria concessione del 2001,
previsto dalla legge n. 1497 del 1939, testo unico delle disposizioni
legislative in materia di beni culturali e ambientali, il cui art. 19 ha
abrogato la legge n. 77 del 1922, vigente all’epoca del decreto del 23
febbraio 1927, con cui è stata riconosciuta la non comune bellezza
naturale della pineta di Villa Massimo, cui fa riferimento la
Soprintendenza nel parere del 5 agosto 2014.
La tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione è un valore costituzionalmente rilevante (art. 9).
Nella definizione di “paesaggio” può identificarsi il
c.d. “ambiente visibile”, in cui rientrano tutti gli aspetti relativi al
rapporto tra uomo e natura, mentre nella definizione di “patrimonio
storico e artistico” (i cc.dd. beni culturali) vanno identificati tutti
quei beni, mobili e immobili, di proprietà pubblica o privata, che
rivestono interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico,
archivistico, bibliografico.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio è stato
adottato in attuazione dell’art. 9 Cost., con cui, come detto, la
Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale.
Pertanto, non sussiste alcun dubbio che il mancato
coinvolgimento delle Autorità preposte alla tutela di tali interessi nei
procedimenti volti a consentire interventi su un’area vincolata
costituisce un vizio di legittimità di particolare intensità, tanto che
l’art. 164 del d.lgs. n. 42 del 2004 dichiara nulli tutti gli atti
giuridici compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del
titolo I della parte seconda, o senza l’osservanza delle condizioni e
modalità da essa prescritte.
Ne consegue che il bilanciamento tra contrapposti
interessi pubblici e privati, immanente in sede di esercizio del potere
di autotutela, si è concluso del tutto ragionevolmente nel senso di
procedere all’annullamento d’ufficio in ragione del vizio di legittimità
rilevato che, come visto, non ha consentito all’amministrazione
preposta alla tutela dei valori costituzionalmente rilevanti afferenti
il paesaggio ed i beni culturali, di intervenire nel procedimento per
garantire la detta protezione.
In definitiva, l’amministrazione capitolina,
nell’evidenziare gli aspetti relativi al regime vincolistico dell’area
ed al relativo vizio di legittimità che ha affetto gli atti dal 2001 in
poi, ha evidentemente ritenuto prevalente l’interesse pubblico leso,
tutelato da altra amministrazione specificamente preposta,
sull’interesse privato della ricorrente che, peraltro, dei 22 anni di
durata della concessione ha beneficiato, in base ad attività
amministrativa illegittima, del “bene della vita” per oltre tredici
anni, senza trascurare che lo stesso art. 21 nonies della legge n. 241
del 1990 impone di considerare anche gli interessi dei
controinteressati, che hanno una posizione giuridica equivalente, sia
pure di segno opposto a quella della ricorrente, e che nel caso di
specie si sono costituiti in giudizio ad opponendum nonché, alcuni di
essi, hanno proposto il ricorso giurisdizionale al cui esito la Quarta
Sezione del Consiglio di Stato ha pronunciato la richiamata sentenza n.
4547 del 2014 che ha annullato il subentro di DAFI nella gestione
dell’attività di “spettacolo viaggiante”.
L’interesse pubblico che ha condotto l’amministrazione
ad adottare l’atto impugnato, pertanto, è chiaramente percepibile e,
nel bilanciamento dei contrapposti interessi, tale interesse pubblico,
di rilievo costituzionale, è stato ritenuto, in modo del tutto
ragionevole, prevalente sull’interesse del privato ricorrente, pur
meritevole, al pari dell’interesse dei controinteressati, della più
elevata considerazione.
4.4 La DAFI ha ancora sostenuto che sarebbe stata
carente l’attività istruttoria volta a verificare la compatibilità di un
intervento di recupero dell’area della concessione nonché le modalità
più consone per i futuri progetti, tenendo conto del suo interesse a
proseguire il rapporto quale unico concessionario, potendo oggi
subentrare anche alle attività di pertinenza del signor Danaro in quanto
in possesso dei requisiti soggettivi necessari.
La tesi non è persuasiva.
La ragione per la quale Roma Capitale ha proceduto
all’annullamento in autotutela è stata l’assenza di un essenziale ed
imprescindibile atto endoprocedimentale, necessario in ragione del
vincolo gravante sull’intera area di Villa Massimo, e tale profilo, come
visto, è senz’altro idoneo a legittimare l’esercizio del potere di
autoannullamento, per cui – anche a voler prescindere dal fatto che Roma
Capitale ha posto in rilievo come la DAFI non abbia mai ottenuto tutte
le autorizzazione necessarie a subentrare nella posizione del signor
Denaro per l’esercizio dello spettacolo viaggiante e parchi di
divertimento avendo ottenuto un’autorizzazione limitata al trampolino
elastico - nessun’altra attività istruttoria l’amministrazione era
tenuta a compiere.
Tuttavia, occorre precisare che l’effetto retroattivo
naturalmente connaturato all’annullamento in autotutela, così come
all’annullamento in sede giurisdizionale, comporta, sul piano
sostanziale, la necessità per l’amministrazione di rinnovare il
procedimento a partire dal momento segnato dalla statuizione
demolitoria, sostituendo alla determinazione eliminata dal mondo
giuridico una nuova determinazione.
In sostanza, se e quando una singola fase di un
procedimento amministrativo sia a sua volta scomponibile in singoli atti
o segmenti, occorre valutare quando e come si sia manifestato il vizio,
perché da ciò discendono gli effetti che l’annullamento dovuto a tale
vizio è in grado di produrre.
Gli effetti del provvedimento di annullamento in
autotutela, nel caso di specie, sono limitati al segmento procedimentale
della conferenza di servizi e non si estendono alle fasi procedimentali
o sub procedimentali ad esso antecedenti.
In altri termini, essendo stato il vizio di
legittimità degli atti individuato nel fatto che nelle conferenze di
servizi relative ai progetti approvati con le determinazioni
dirigenziali n. 979 del 2001, n. 820 del 2006 e n. 731 del 2008 è stato
omesso di richiedere il preventivo parere alla Soprintendenza per i beni
Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma gli effetti del
detto annullamento importano che l’Autorità debba riprovvedere
riesercitando il potere a partire dal segmento procedimentale nel cui
ambito è stato accertato il vizio di legittimità fonte
dell’annullamento, con salvezza, quindi, di tutte le fasi ed i segmenti
procedimentali precedenti, vale a dire debba riprovvedere, tenendo fermi
i segmenti procedimentali pregressi a suo tempo espletati, attraverso
la convocazione di una nuova conferenza di servizi nell’ambito
dell’originario procedimento del 2001 per l’eventuale approvazione del
progetto definitivo per la realizzazione del punto verde e l’eventuale
approvazione dello schema di convenzione-concessione per il residuo
periodo e adozione della concessione e, in caso di esito favorevole e,
quindi, di adozione del provvedimento attributivo del “bene della vita”,
anche con riferimento ai successivi iter procedimentali del 2006 e del
2008.
Va da sé, inoltre, che la tutela ordinamentale
prevista in simili fattispecie per il soggetto che sostenga di avere
subito un danno dall’avere incolpevolmente confidato nella legittimità
dell’azione amministrativa a sé favorevole (cd. danno da legittimo
affidamento) è costituito dalla eventuale proposizione dell’azione di
risarcimento del danno innanzi al giudice civile (cfr. in proposito la
recente ordinanza delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione 4
settembre 2015, n. 17586 e le cc.dd. ordinanze gemelle delle stesse
Sezioni Unite 23 marzo 2011, nn. 6594, 6595 e 6596).
4.5 La DAFI ha infine sostenuto che il provvedimento
gravato muoverebbe dall’erronea presupposizione che il progetto
approvato nel 2001 e la relativa convenzione stipulata inter partes
dovessero essere precedute dal parere obbligatorio e vincolante della
Soprintendenza, come previsto dal combinato disposto dalle norme di cui
al d.lgs n. 42 del 2004.
La tesi non può essere condivisa.
Con ordinanza 9 luglio 2015, n. 2893, questa Sezione
ha ravvisato l’opportunità di acquisire al fascicolo di causa ulteriori
elementi di valutazione dai quali emerga la situazione vincolistica
dell’area su cui insiste l’attività in questione al momento della
stipula della convenzione-concessione.
Il Ministero per i beni, le attività culturali e il
turismo, in data 5 novembre 2015, ha depositato una relazione con unita
documentazione.
Nella relazione, è indicato tra l’altro che “la Pineta
di Villa Massimo è sottoposta ai dispositivi di tutela di cui all’art.
134, co. 1, lett. b) ed è inserita in zona classificata nel PTPR – Lazio
come segue. Nella TAV. 24 A – Sistemi ed Ambiti del Paesaggio come
Paesaggio Naturale (All. 6): nella TAV. 24 B – Beni Paesaggistici:
Ricognizione delle aree tutelate per legge – art. 134 co. 1 lett. b e
art. 142 co. 1 D.vo 42/2004 lett. g) i territori coperti da foreste e da
boschi, ancorchè percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a
vincolo di rimboschimento, come definiti dall’articolo 2, commi 2 e 6,
del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227 (All. 7)”, per cui la
Pineta di Villa Massimo è sottoposta “anche a tutti i dispositivi di
tutela di cui alla Parte Terza – Beni paesaggistici – del D.Lgs. 42/2004
e in particolare alle procedure di autorizzazione dei progetti ai sensi
dell’art. 146 medesimo Codice, che rende obbligatorio l’acquisizione
del parere vincolante del Soprintentende”.
Per quanto riguarda il vincolo di bellezza naturale DM
23 febbraio 1927 ex l. 778 del 1922, il Ministero, nella detta
relazione, ha precisato che “l’area è vincolata ai sensi dell’art. 136
del D.Lgs. 42/04, in forza della legge 778 del 1922, che ha considerato
l’area di notevole interesse con un decreto del 23 febbraio 1927,
riconoscendo la non comune bellezza naturale della pineta di Villa
Massimo” ed ha rammentato “che il DM è stato trascritto e notificato
tramite messo comunale, come previsto dall’art. 33 della L. 448 del 23
dicembre 1998 e pertanto lo stesso mantiene efficacia anche (ai) sensi
della normativa vigente per il combinato disposto tra gli artt. 13 e 160
del D.Lgs. 490/1999. Inoltre il dispositivo di tutela stesso mantiene
efficacia anche ai sensi del combinato disposto della successiva
normativa di tutela, ovvero ai sensi degli artt. 136, co. 1 lett. b e
157, co. 1, lett. a) del D.Lgs. 4272004”.
Di talché, oltre a quanto già esaustivamente espresso
dalla Soprintendenza nel parere del 5 agosto 2014, risulta confermato
che, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente, il progetto
approvato nel 2001 e la relativa convenzione stipulata inter partes
dovessero essere precedute dal parere obbligatorio e vincolante della
Soprintendenza.
Infatti, da un lato, l’art. 136, co. 1, lett. b), del
codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004)
dispone che siano assoggettati alle disposizioni del Titolo de quo, per
il loro notevole interesse pubblico, le ville, i giardini e i parchi non
tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del codice, che si
distinguono per la loro non comune bellezza, dall’altro, l’art. 157
dello stesso codice sancisce che conservano efficacia a tutti gli
effetti le dichiarazioni di importante interesse pubblico delle bellezze
naturali o panoramiche, notificate in base alla legge 11 giugno 1992,
n. 778.
Né a tal fine può assumere rilievo dirimente la
relazione tecnica depositata dalla ricorrente in quanto, come più volte
esposto, il vizio di legittimità degli atti è stato individuato
nell’omessa richiesta di parere alla Soprintendenza per i Beni
Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma.
5. Con un primo atto di motivi aggiunti, la Dafi Srl
ha esteso l’impugnativa alla determinazione dirigenziale del 2 aprile
2015, con cui l’amministrazione capitolina ha disposto la decadenza
dall’autorizzazione di somministrazione al pubblico di alimenti e
bevande rilasciatale con determinazione dirigenziale del 22 dicembre
2007.
Le censure proposte in via derivata sono infondate in
ragione dell’infondatezza dell’azione di annullamento proposta con
l’atto introduttivo del giudizio.
Parimenti infondate sono le censure proposte in via autonoma per le seguenti ragioni:
l’omessa comunicazione di avvio del procedimento,
trattandosi di atto vincolato in quanto conseguente alla determina
dirigenziale n. 83 del 2014, non può determinare l’annullamento
dell’atto impugnato atteso che, ai sensi dell’art. 21 octies l. n. 241
del 1990, non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo
non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato;
la circostanza che, al momento dell’adozione
dell’atto, fosse stata già fissata l’udienza di discussione del ricorso
proposto avverso la determina dirigenziale presupposta, in ragione della
perdurante efficacia di quest’ultima, non assume ovviamente alcun
rilievo ai fini della legittimità dell’atto in contestazione;
il provvedimento impugnato, già attraverso il richiamo
all’atto presupposto, si presenta congruamente motivato, dando conto
del suo carattere vincolato e delle ragioni logico giuridiche a base
della sua adozione.
6. Con un secondo atto di motivi aggiunti, DAFI ha
impugnato la nota prot. n. 673 del 22 gennaio 2015 con cui il MIBACT ha
confermato il vincolo notificato nel 1922, disponendo la sua
riperimetrazione e la immediata inclusione nel PTPR alla Regione Lazio,
in buona sostanza reiterandolo in virtù dell’espresso richiamo dell’art.
157, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 42 del 2004, secondo cui “conservano
efficacia a tutti gli effetti le dichiarazioni di notevole interesse
pubblico notificate ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497”.
DAFI, oltre a censurare l’atto in via derivata, ha
dedotto che il provvedimento dichiarativo e costitutivo del vincolo,
vale a dire il decreto che ne abbia stabilito natura ed estensione, non
sarebbe stato ancora rinvenuto, per cui, in assenza del provvedimento
impositivo dell’antico vincolo, l’avvio della procedura di verifica da
parte del MIBACT avrebbe indubbiamente prodotto effetti cautelari
sospensivi di qualsiasi intervento in attesa della sua definizione,
effetti che avrebbero potuto riguardare il futuro senza implicare
effetti retroattivi e che non avrebbero potuto giustificare il
provvedimento di autotutela, adottato ben prima che il procedimento di
verifica fosse concluso.
L’infondatezza nel merito dell’azione impugnatoria
consente di prescindere dall’esame dell’eccezione di tardività proposta
dalle controparti.
In proposito, nel ribadire che le censure dedotte in
via derivata non possono trovare accoglimento per l’infondatezza
dell’impugnazione avverso la determinazione dirigenziale n. 83 del 2014,
è sufficiente rilevare che il competente Ministero, nella richiamata
produzione del 5 novembre 2015, pur non producendo il documento nella
sua materialità, ha fornito elementi sufficienti per far ritenere
esistente e produttivo di effetti il decreto del 23 febbraio 1927, che
ha riconosciuto la non comune bellezza naturale della pineta di Villa
Massimo.
In particolare, ha precisato che “la sussistenza del
vincolo paesaggistico trova conferma nella trascrizione alla Regia
Conservatoria delle ipoteche di Roma, dichiarata della Direzione
Generale delle Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione di
notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 2 della legge 11 giugno
1922, n. 778 sulla pineta esistente nel fondo di proprietà della Società
Anonima Terreni Edili Roma (SATER) segnata in catasto al numero 2882
della mappa 65, confinate con via di Villa Massimo, via Alessandro
Torlonia, via Belluno (All. 8). L’esistenza del vincolo paesaggistico
sulla pineta è confermato anche nella corrispondenza e negli atti con
planimetrie, conservati presso la Soprintendenza, riguardanti i piani di
lottizzazione nella zona di Villa Torlonia e della Nomentana, del
periodo 1927/1933 successivo al decreto, Soprintendenti Munoz e
Terenzio: i documenti attestano innumerevoli gruppi di alberature
pregiate anche nei lotti circostanti la villa Massimo”.
Il competente Ministero ha fornito inoltre altri
elementi documentali in relazione ai quali non può ragionevolmente
dubitarsi che, anche in assenza del decreto nella sua forma cartacea, lo
stesso sia sussistente e spieghi efficacia.
La copia della trascrizione a favore del Ministero
della Pubblica Istruzione (Direzione Generale per le Belle Arti) della
dichiarazione ministeriale del 23 febbraio 1927 è stata anche allegata
all’atto di intervento ad adiuvandum del signor Sessi Wolmer ed altri.
7. Le spese del giudizio, in ragione della particolare
complessità fattuale e giuridica della fattispecie, possono essere
integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Seconda Sezione, respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Silvia Martino, Consigliere
Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/03/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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