20 marzo 2016

PINETINA DI VILLA MASSIMO: LA VITTORIA DI PIRRO

 
 
 

                                                   Pinetina di Villa Massimo
 
 
 Il TAR,  con sentenza pubblicata il 18 marzo e che trovate di seguito, ha dato torto al concessionario  E allora chi ha vinto?Ma la burocrazia ovviamente.Perchè la Pinetina continuerà ad essere chiusa fino a che il Comune non avrà espletato tutto l'iter procedurale del caso e, versosimilmente passeranno altri anni. Proprio una bella vittoria........di Pirro, se poi si considera che il concessionario potrà citare  ( e lo farà sicuramente) in sede civile per danni il Comune di Roma. Quindi una vittoria che lascia l'amaro in bocca e soprattutto i cittadini senza giardino per chissà quanto altro tempo.
Ma  qualcuno pagherà mai dalle parti del Comune di Roma per la sua  manifesta incapacità e per il danno erariale procuraro alla comunità?????
D.F.
 
 
dal post della pagina  fb del Comitato per la riapertura di Villa Massimo
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, dopo mesi di rinvii e proroghe, ha oggi emesso la sentenza che respinge il ricorso presentato dal concessionario contro la revoca da parte del Comune di Roma della concessione sull'area del giardino di viale di Villa Massimo.
I giudici amministrativi, dunque, hanno sancito che gli atti emessi dagli uffici del Comune in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato del settembre 2014 -pur non essendo adottati "in esecuzione del giudicato" ma solo nell'ambito dell' "esercizio discrezionale del potere di autotutela"- sono da considerarsi legittimi e dunque applicabili.
Quindi, cosa accadrà ora?
Il testo della sentenza parla chiaro: il Comune deve ora procedere alla nuova convocazione della conferenza dei servizi per approvare un nuovo progetto per la realizzazione del Punto Verde Infanzia ed un nuovo schema di convenzione-concessione, "fatti salvi" i procedimenti antecedenti al 2001 (anno di approvazione della precedente convenzione, ora revocata). Ovvero, è tutto da rifare, bisogna ricominciare daccapo e rifare tutto il procedimento amministrativo degli ultimi quindici anni. Con i ben noti tempi della macchina burocratica, questo nuovo procedimento potrebbe durare anni ed anni, e la villa restare chiusa per un tempo indefinito.
E, come se non bastasse, la sentenza aggiunge subito di seguito uno specifico paragrafo: "Va da sé che la tutela ordinamentale prevista in simili fattispecie per il soggetto che sostenga di aver subito un danno dall'avere incolpevolmente confidato nella legittimità dell'azione amministrativa a sé favorevole è costituito dall'eventuale preposizione dell'azione di risarcimento del danno innanzi al giudice civile". In altre parole, il concessionario -ingiustamente danneggiato- potrà rivalersi facendo causa al Comune ed ottenere un congruo risarcimento economico.
Dunque, la "giustizia" ha "giustiziato" il giardino di Villa Massimo, con enorme danno per tutti i cittadini del quartiere: i tempi si allungheranno inevitabilmente, ed i costi economici dell'intera vicenda saranno enormi. Oltre alle nuove risorse che saranno necessarie per il nuovo procedimento e per il ripristino dei luoghi, si dovranno aggiungere probabilmente diversi milioni di euro per una causa civile che il Comune è quasi certamente destinato a perdere.
Una "vittoria" della burocrazia e della cattiva amministrazione. Una sconfitta molto dura per i cittadini ed il bene pubblico.

Riportiamo di seguito la sentenza del TAR sulla annosa vicenda della Pinetina di Villa Massimo.

 http://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/
AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=TWKB3GOWOX5HBF24DDHAOU4TJ4&q=
 
 
N. 03388/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01801/2015 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1801 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Soc DAFI Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Malinconico, Antonio Villani e Maria Cristina Lenoci, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Maria Cristina Lenoci in Roma, Via Emanuele Gianturco, 1;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Angela Raimondo, domiciliata presso l’Avvocatura Capitolina in Roma, Via del Tempio di Giove, 21;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo - Soprintendenza per il Comune di Roma, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Regione Lazio;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Sessi Wolmer, Scortichini Claudio, Ortiz Almendras Giovanna, Santercole Adriano, Miglietta Marco, Gentile Arianna, Rivera Flavia, Stano Antonio, Pedatella Stefano Francesco, Salhane Abderrahim, Piroli Francesco e D’Angelo Paola, rappresentati e difesi dagli avvocati Cecilia Martelli ed Alice Baruchello, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, piazza Borghese, 3;
ad opponendum:
Società Immobiliare Antonella, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Cristina Pieretti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Panama, 26;
Patriarca Maria Teresa, Kollmar Tarantini Beatrice, Centili Maurizio e Tarantini Michela, in proprio e quali componenti del Comitato per la difesa della Pineta di Villa Massimo, rappresentati e difesi dagli avvocati Mario Sanino, Antonio Campagnola, Massimo Polizzi Di Sorrentino e Francesco Fiengo, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180;
per l'annullamento
della determinazione di Roma Capitale n. 83 in data 26 novembre 2014, recante l'annullamento in autotutela della determinazione dirigenziale n. 979 del 7 agosto 2001, della convenzione-concessione per la realizzazione e gestione del Punto Verde per l’Infanzia 3.2 “Viale di Villa Massimo”, della determinazione dirigenziale n. 820 del 9 agosto 2006 e della determinazione dirigenziale n. 731 del 31 luglio 2008;
di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale
nonché per il risarcimento
dei danni subiti e subendi dalla Società ricorrente in conseguenza dell’illegittimità degli atti gravati
nonché, quanto al primo atto di motivi aggiunti, per l’annullamento
della determinazione dirigenziale n. CB 599 del 2 aprile 2015, recante la decadenza dall'autorizzazione di somministrazione di alimenti e bevande rilasciata a Dafi con determinazione dirigenziale n. 1679 del 22 dicembre 2007
nonché, quanto al secondo atto di motivi aggiunti, per l’annullamento
della nota del Ministero dei Beni Culturali e delle Attività Culturali e del Turismo prot. n. 673 del 22 gennaio 2015.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dell’Avvocatura Generale dello Stato;
Visti gli atti di intervento ad adiuvandum e ad opponendum;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 febbraio 2016 il dott. Roberto Caponigro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO
La ricorrente Società Dafi espone che, con convenzione concessione del 9 agosto 2001 avente ad oggetto la realizzazione e gestione del punto verde per l’infanzia 3.2 ‘Viale di Villa Massimo’ su area di proprietà comunale, il Comune di Roma (ora Roma Capitale) le ha affidato la conduzione del punto di ristoro denominato ‘Casina dei Pini’ ed ha affidato al signor Diego Danaro la conduzione delle aree destinate a giochi per l’infanzia ovvero del cd. spettacolo viaggiante.
Soggiunge che tale convenzione era stata sottoscritta inter partes all’esito di una regolare procedura ad evidenza pubblica culminata con la determinazione dirigenziale n. 979 del 7 luglio (rectius: agosto) 2001 di “approvazione progetto e schema di convenzione – concessione per la realizzazione del Punto Verde Infanzia 3.2 ‘Viale di Villa Massimo’ su area di proprietà comunale in Roma”.
Rappresenta altresì quanto segue:
- nel rispetto delle previsioni convenzionali e dei tempi ivi stabiliti, la Dafi ha provveduto alla sistemazione, come da progetto approvato e per quanto di propria competenza, del punto verde in questione;
- con determinazione dirigenziale n. 820 del 9 agosto 2006, il Dipartimento X Politiche Ambientali ed Agricole di Roma Capitale ha approvato in favore della ricorrente il progetto per l’ampliamento del punto ristoro “Casina dei Pini” ubicato nel punto verde;
- con determinazione dirigenziale n. 731 del 31 luglio 2008, lo stesso Dipartimento ha approvato il progetto presentato dalla Dafi relativamente ai lavori per l’esecuzione di ulteriori modifiche presso il locale del punto ristoro;
- con determinazione dirigenziale n. 2435 del 18 dicembre 2009, Roma Capitale ha preso atto della sopravvenuta indisponibilità del signor Denaro alla gestione delle attività ludiche, approvando contestualmente il subentro della Dafi Srl nell’attività di “spettacolo viaggiante” ai sensi dell’art. 3 della convenzione – concessione stipulata nel 2001;
- divenuto unico soggetto concessionario, Dafi ha presentato all’amministrazione comunale un progetto di massima per la riqualificazione della sola aria giochi nel punto verde infanzia, progetto approvato da Roma Capitale con determinazione dirigenziale n. 1056 del 6 maggio 2010;
- con determinazione dirigenziale n. 26 del 7 gennaio 2011, sono state apportate alcune varianti al progetto approvato nel 2010 e, con determinazione dirigenziale n. 33 del 7 gennaio 2013, preceduta da conferenza di servizi, Roma Capitale ha approvato, con ulteriori variazioni, il progetto definitivo.
Pone ancora in rilievo che, nel corso dell’iter amministrativo riguardante il progetto di riqualificazione dell’area ludica, alcuni cittadini confinanti hanno impugnato innanzi a questo Tribunale, la d.d. n. 2435 del 2009, concernente il subentro di Dafi, la d.d. n. 1056 del 2010, concernente il progetto di riqualificazione, e, con motivi aggiunti, la d.d. n. 33 del 2013 di approvazione del progetto definitivo di riqualificazione dell’area ludica.
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza 9 settembre 2014, n. 4547, in riforma dell’impugnata sentenza di questo Tribunale, Sezione Seconda Bis, 29 aprile 2013, n. 4256, ha accolto il ricorso per motivi aggiunti di primo grado, nei sensi e con gli effetti di cui in motivazione.
Con determinazione dirigenziale n. 83 del 26 novembre 2014, Roma Capitale ha annullato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 octies e nonies della legge n. 241 del 1990, la determinazione dirigenziale n. 979 del 7 agosto 2001, la convenzione – concessione avente ad oggetto la realizzazione e gestione del punto verde per l’infanzia 3.2 “Viale di Villa Massimo” sottoscritta in data 9 agosto 2001, la determinazione dirigenziale n. 820 del 9 agosto 2006, la determinazione dirigenziale n. 731 del 31 luglio 2008.
La Società Dafi, con l’atto introduttivo del giudizio, ha impugnato tale provvedimento di annullamento in autotutela, articolando i seguenti motivi di impugnativa:
Violazione di legge. Violazione del principio di buona amministrazione e di affidamento del cittadino nell’azione della p.a. di cui all’art. 97 Cost. Violazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della legge n. 241 del 1990 per insussistenza delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento dell’esercizio del potere di autotutela. Eccesso di potere per falsa presupposizione e travisamento dei fatti; omessa ed errata esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato n. 4547 del 9 settembre 2014; parziale ed erronea valutazione della nota della Soprintendenza ministeriale per i beni del Comune di Roma prot. n. 12178 del 5 agosto 2014. Illogicità ed ingiustizia manifeste. Sviamento.
La determinazione dirigenziale impugnata e la relativa comunicazione di avvio del procedimento sono state adottate successivamente al deposito della sentenza del Consiglio di Stato n. 4547 del 9 settembre 2014 le cui statuizioni – che lungi dall’imporre o suggerire all’amministrazione comunale l’annullamento ex officio et tabula rasa di tutti gli atti afferenti alla concessione dell’area di “Villa Massimo”, hanno invece evidenziato la necessità di colmare deficit istruttori imputabili essenzialmente alla stessa amministrazione – non sarebbero state correttamente vagliate e sarebbero state travisate dagli uffici di Roma Capitale.
Dall’esame del decisum, si evincerebbe che la legittimità della convenzione del 9 agosto 2001, degli atti procedurali relativi all’iter che l’avevano preceduta e degli ulteriori atti annullati con la determinazione impugnata, non risulterebbero affatto incisi o messi in discussione.
Né potrebbe ritenersi che il provvedimento annullatorio contestato sia di natura vincolata rispetto alla nota della Soprintendenza Ministeriale del 5 agosto 2014.
La Soprintendenza, infatti, avrebbe espresso il proprio parere negativo unicamente sul progetto di riqualificazione sottopostole da Roma Capitale nel 2013 indicando una serie di attività istruttorie ed integrazioni documentali, mentre non si sarebbe espressa in ordine alla legittimità del progetto approvato nel 2001.
Violazione di legge. Violazione del principio di buona amministrazione e di affidamento del cittadino nell’azione della p.a. di cui all’art. 97 Cost. Violazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della legge n. 241 del 1990. Violazione dei principi generali in materia di esercizio del potere di autotutela con particolare riferimento alla irragionevolezza del termine di adozione del provvedimento di autoannullamento, alla mancata esternazione dell’interesse pubblico ed all’omessa ponderazione di quest’ultimo con l’interesse privato. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di istruttoria, difetto assoluto di motivazione, ingiustizia manifesta.
Nell’esercizio del potere di autotutela, da esercitare in un termine ragionevole, dovrebbe essere valutata la sussistenza di un interesse pubblico all’annullamento, prevalente sulle posizioni private costituitesi e consolidatesi medio tempore.
Il carattere discrezionale dell’annullamento d’ufficio imporrebbe una congrua valutazione degli interessi in conflitto, dei quali occorrerebbe dare adeguatamente conto nella motivazione del provvedimento di ritiro ogniqualvolta la posizione del destinatario di un provvedimento amministrativo si sia consolidata suscitando un ragionevole affidamento della legittimità dello stesso.
Mancherebbe l’esternazione dell’interesse pubblico all’annullamento o comunque la valutazione di soluzioni alternative all’annullamento, così come non sarebbe stato preso in considerazione l’interesse del privato concessionario.
Sarebbe carente anche l’attività istruttoria volta a verificare la compatibilità di un intervento di recupero dell’area della concessione nonché le modalità più consone per i futuri progetti, tenendo conto dell’interesse della Dafi a proseguire il rapporto quale unico concessionario, potendo oggi subentrare anche alle attività di pertinenza del signor Danaro in quanto in possesso dei requisiti soggettivi necessari.
Violazione di legge. Violazione del principio di buona amministrazione e di affidamento del cittadino nell’azione della p.a. di cui all’art. 97 Cost. Violazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della legge n. 241 del 1990. Violazione del principio del giusto procedimento. Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990. Violazione e mancata o erronea applicazione degli artt. 7, 8, 9 e 10 bis della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità, perplessità, ingiustizia manifesta.
L’amministrazione capitolina non avrebbe compiuto alcun approfondimento istruttorio, ignorando la disponibilità espressa dalla Dafi a fornire utile e fattivo apporto alle indagini conoscitive della situazione vincolistica dell’area interessata dalla concessione.
L’affrettata definizione del procedimento, oltre a dimostrare il sostanziale disinteresse dell’amministrazione all’attività di approfondimento che avrebbe dovuto svolgere in esecuzione di quanto richiesto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4547 del 2014 e dalla nota della Soprintendenza del 5 agosto 2014, avrebbe impedito l’apporto partecipativo della ricorrente che avrebbe potuto comportare l’adozione di un diverso provvedimento finale.
Violazione del principio di affidamento nell’azione della p.a. di cui all’art. 97 Cost. Violazione del principio del giusto procedimento anche in relazione alla violazione e mancata applicazione del principio tempus regit actum. Violazione ed errata applicazione degli artt. 10, 20, 21, 40, 57 bis, 106, 136 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004. Violazione ed errata applicazione della l. n. 778 del 1992 e delle norme di cui al d.lgs. n. 490 del 1999 applicabile ratione temporis nonché dell’art. 33 della legge n. 448 del 1998. Eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto e in diritto; difetto assoluto di istruttoria; difetto di motivazione ed ingiustizia manifesta.
Il provvedimento gravato muoverebbe dall’erronea presupposizione che il progetto approvato nel 2001 e la relativa convenzione stipulata inter partes dovessero essere precedute dal parere obbligatorio e vincolante della Soprintendenza, come previsto dal combinato disposto dalle norme in epigrafe di cui al d.lgs n. 42 del 2004.
Con un primo atto di motivi aggiunti, la Dafi Srl ha esteso l’impugnativa alla determinazione dirigenziale del 2 aprile 2015, con cui l’amministrazione capitolina ha disposto la decadenza dall’autorizzazione di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande rilasciata con determinazione dirigenziale del 22 dicembre 2007, proponendo le seguenti censure:
Violazione di legge. Violazione del principio del giusto procedimento anche in relazione alla violazione e mancata o falsa applicazione degli artt. 3, 7, 8, 10 e 10 bis della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto di istruttoria, carenza di motivazione, contraddittorietà, illogicità, perplessità, ingiustizia manifesta. Sviamento.
Il provvedimento di decadenza sarebbe stato adottato in assenza della comunicazione di avvio del procedimento, in esecuzione, per di più, della determina n. 83 del 2014 impugnata con l’atto introduttivo del giudizio e quantunque fosse stata già fissata l’udienza di discussione.
Violazione di legge. Violazione del principio di buon andamento e di affidamento del cittadino nell’azione della p.a. Violazione del principio del giusto procedimento anche in relazione alla violazione e mancata applicazione del principio tempus regit actum. Violazione ed errata applicazione degli artt. 3, 7, 8, 10, e 10 bis della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto di istruttoria, carenza assoluta di motivazione, contraddittorietà, illogicità, perplessità, ingiustizia manifesta. Sviamento.
L’amministrazione avrebbe adottato il provvedimento in violazione dell’obbligo di adeguata motivazione.
La determina impugnata con il primo atto di motivi aggiunti sarebbe altresì viziata in via derivata da tutti i vizi che affliggerebbero la precedente determina n. 83 del 2014.
La ricorrente evidenzia che, a seguito della documentazione depositata dall’Avvocatura dello Stato il 16 maggio 2015, ha avuto cognizione degli atti relativi alla procedura di verifica attivata dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio con nota del 7 marzo 2013 su esposto del Comitato per la Difesa della Pineta di Villa Massimo e della relativa corrispondenza intercorsa tra Roma Capitale, la Regione Lazio ed i denuncianti
In particolare, rappresenta che, con nota prot. n. 673 del 22 gennaio 2015, il MIBACT ha confermato il vincolo notificato nel 1922, disponendo la sua riperimetrazione e la immediata inclusione nel PTPR alla Regione Lazio, in buona sostanza reiterandolo in virtù dell’espresso richiamo dell’art. 157, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 42 del 2004, secondo cui “conservano efficacia a tutti gli effetti le dichiarazioni di notevole interesse pubblico notificate ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497”.
Con un secondo atto di motivi aggiunti, la ricorrente ha esteso l’impugnativa alla suddetta nota ministeriale, proponendo le seguenti censure:
Violazione di legge. Violazione del principio di buona amministrazione e di affidamento del cittadino nell’azione della p.a. di cui all’art. 97 Cost. Violazione degli artt. 10, 12 e 157 d.lgs. n. 42 del 2004. Violazione del principio del giusto procedimento. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e dei presupposti, contraddittorietà, difetto assoluto di istruttoria e di motivazione. Sviamento.
Il provvedimento dichiarativo e costitutivo del vincolo, vale a dire il decreto che ne abbia stabilito natura ed estensione, non sarebbe stato ancora rinvenuto.
In assenza del provvedimento impositivo dell’antico vincolo, l’avvio della procedura di verifica da parte del MIBACT avrebbe indubbiamente prodotto effetti cautelari sospensivi di qualsiasi intervento in attesa della sua definizione, effetti che avrebbero potuto riguardare il futuro senza implicare effetti retroattivi e che non avrebbero potuto giustificare il provvedimento di autotutela, adottato ben prima che il procedimento di verifica fosse concluso.
La verifica del vincolo avrebbe richiesto un autonomo accertamento ed una specifica dichiarazione di interesse culturale con gli effetti di cui all’art. 13 del Testo Unico del 2004.
Violazione di legge. Violazione degli artt. 3, 7, 8 e 10 della legge n. 241 del 1990. Difetto di istruttoria e di motivazione.
Il procedimento si sarebbe concluso con la apodittica conferma di un vincolo risalente agli inizi del secolo di cui non vi sarebbe traccia. Dagli stessi documenti depositati dal Ministero, si evincerebbero elementi che inducono a ritenere il vincolo del 1922 di tipo “culturale” piuttosto che “paesaggistico”.
Il provvedimento del Ministero, in quanto conclusivo della procedura di verifica circa la situazione vincolistica dell’area oggetto della convenzione-concessione incisa dalla determinazione dirigenziale di Roma Capitale n. 83 del 2014, sarebbe inoltre viziata in via derivata per i motivi dedotti nell’atto introduttivo del giudizio.
L’Avvocatura Generale dello Stato ha eccepito la nullità della concessione – convenzione del 2001, ai sensi dell’art. 164 del d.lgs. n. 42 del 2004, per la mancanza dei pareri e nulla osta paesaggistici nel relativo procedimento nonché la tardività dell’azione di annullamento proposta con i secondi motivi aggiunti e, nel merito, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Roma Capitale – che ha anch’essa eccepito la tardività dell’impugnazione delle note intercorse nel periodo dal 2 novembre 2014 al 22 gennaio 2015 tra il Direttore Regionale del MIBACT e la Regione Lazio - ha analiticamente contestato la fondatezza delle censure proposte concludendo per il rigetto del ricorso.
La DAFI ha eccepito l’inammissibilità dell’intervento ad opponendum della Società Immobiliare Antonella, che non potrebbe ricevere alcun apprezzabile vantaggio diretto dall’eventuale rigetto del ricorso, nonché l’inammissibilità dell’eccezione di nullità della convenzione - concessione del 2001 in quanto sollevata dalla difesa Erariale con memoria anziché con ricorso incidentale.
I signori Sessi Wolmer ed altri, specificati nell’epigrafe del ricorso, sono intervenuti ad adiuvandum delle ragioni della ricorrente.
La Società Immobiliare Antonella nonché i signori Patriarca Maria Teresa, Kollmar Tarantini Beatrice, Centili Maurizio e Tarantini Michela, in proprio e quali componenti del Comitato per la difesa della Pineta di Villa Massimo, sono intervenuti ad opponendum.
Le parti hanno depositato memorie a sostegno ed illustrazione delle rispettive ragioni.
La ricorrente ha depositato relazione tecnica sulla situazione vincolistica e regolarità delle preesistenze del giardino “Giuseppe De Meo” in viale di Villa Massimo e, con memoria depositata per l’udienza del 10 febbraio 2016, nell’insistere per l’accoglimento del ricorso, ha rinunciato in questa sede alla coltivazione della domanda risarcitoria, con espressa riserva di far valere il relativo diritto in un eventuale ed autonomo giudizio.
All’udienza pubblica del 10 febbraio 2016, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio, in via preliminare, rileva che l’eccezione di inammissibilità dell’intervento in giudizio della Società Immobiliare Antonella non può essere accolta in quanto nel processo amministrativo, ai fini dell’ammissibilità dell’intervento ad opponendum, è sufficiente che l’interveniente possa vantare un interesse di fatto sotteso al mantenimento dei provvedimenti impugnati, che gli consenta di ritrarre un vantaggio indiretto e riflesso dalla reiezione del ricorso, sicché l’assenza di un vantaggio diretto non è ostativo alla legittima proposizione dell’intervento.
Ugualmente, non assume rilievo la contestazione sull’ammissibilità dell’eccezione di nullità della convenzione - concessione del 2001 in quanto sollevata dalla difesa Erariale con memoria anziché con ricorso incidentale, atteso che, ai sensi dell’art. 31, comma 4, c.p.a. la nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice.
2. Nel merito, il ricorso è infondato e va di conseguenza respinto.
3. Roma Capitale, con determinazione dirigenziale n. 83 del 26 novembre 2014, ha annullato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 octies e nonies della legge n. 241 del 1990, la determinazione dirigenziale n. 979 del 7 agosto 2011, la convenzione - concessione avente ad oggetto: Realizzazione e gestione del Punto Verde per l’Infanzia 3.2 “Viale di Villa Massimo” su area di proprietà comunale sita in Roma, tra Viale di Villa Massimo e Via Ravenna – Municipio Roma 3 sottoscritta in data 9 agosto 2001 tra il Comune di Roma (concedente) e il signor Diego Danaro e la DAFI Srl, la determinazione dirigenziale n. 820 del 9 agosto 2006, la determinazione dirigenziale n. 731 del 31 luglio 2008.
L’amministrazione capitolina, ricostruita sin dall’origine la complessa vicenda procedimentale relativa alla realizzazione e gestione del punto verde in discorso, ha tra l’altro rappresentato che:
- il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4547 del 2014, ha annullato tutti gli atti riguardanti il subentro della DAFI Srl nella gestione dell’attività di spettacolo viaggiante e, in via derivata, gli atti successivi in quanto, si legge in sentenza, nel momento in cui il Sig. Denaro, originario affidatario, si disimpegnò dall’attività di “spettacolo viaggiante” la società DAFI Srl non era in possesso dei titoli autorizzatori per gestire l’impianto, determinando di fatto anche la decadenza della concessione originaria per mancanza del requisito essenziale previsto dal regolamento per la concessione di aree destinate allo spettacolo viaggiante;
- nell’ambito della propria attività di verifica è stato richiesto al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, parere di competenza ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004 sul progetto di riqualificazione dell’area 3.2 – Villa Massimo;
- il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, con nota del 5 agosto 2014, ha espresso il seguente parere vincolante e obbligatorio: “Si premette che il parco di Villa Massimo, di proprietà comunale, in quanto bene sottoposto a un duplice regime di tutela, è soggetto a parere obbligatorio e vincolante dei competenti organi ministeriali di settore non solo per le autorizzazioni ai lavori di qualunque genere (sia per gli aspetti riguardanti l’art. 21 c. 4, con l’autorizzazione rilasciata dal MIBACT, sia per gli aspetti normati dall’art. 146 con l’autorizzazione rilasciata dalla Regione o Enti subdelegati) ma anche per la definizione delle destinazioni d’uso temporanee e stabili (art. 20 e 21), e per la gestione del bene e le concessioni ai privati (art. 57 bis e art. 106). Inoltre ordinariamente i programmi e i piani conservazione dei beni del demanio culturale sono concertati tra Stato ed Enti locali (art. 40). Il vincolo di bellezza naturale D.M. 23 febbraio 1927 ex l. n. 778 del 1922. Si precisa che l’area è vincolata ai sensi dell’art. 136 del D.Lgs. n. 42/004 in forza della legge n. 778 del 1922, che ha considerato l’area di notevole interesse con un decreto del 23 febbraio 1927, riconoscendo la non comune bellezza naturale della pineta di Villa Massimo. Non risulta agli atti di questo Ufficio che siano stati espletati i procedimenti concernenti la definizione delle destinazioni d’uso temporanee e stabili e la concessione al privato né sono pervenute richieste di autorizzazione paesaggistica per interventi sull’area. Con riferimento alla richiesta in oggetto questa Soprintendenza si esprime ai sensi dell’art. 21 c. 4 del citato D. Lgs. n. 42/04. Per quanto riguarda gli aspetti concernenti l’art. 146 l’istanza dovrà pervenire dagli uffici preposti a rilasciare l’autorizzazione paesaggistica. Si sottolinea che la nota non affronta gli aspetti connessi agli artt. 57 bis e 106 del D.Lgs. n. 42/04. Premesso quanto sopra, esaminata la documentazione inviata, si rileva quanto segue. Il progetto presentato non si confronta con l’evoluzione dei lineamenti del luogo, non indaga gli aspetti delle trasformazioni avvenute nel corso del tempo, non accerta la datazione dei percorsi e delle strutture esistenti, né si esprime sulla legittimità dello stato dei luoghi e dei singoli manufatti. Non si evidenzia se vi siano stati nel corso del tempo abbattimenti di alberi e se essi siano stati autorizzati. L’istanza non è corredata né da un’analisi storica né da documentazione grafica o fotografica che testimoni se le trasformazioni avvenute siano conformi e compatibili con la disciplina di vincolo che sussiste sulla zona. Il lay out del progetto (le destinazioni d’uso e i manufatti sono privi delle autorizzazioni di questo ufficio) presenta un sistema di recinzioni e di percorsi e la connessione tra area verde e spazio ristoro connesso non coerente con le caratteristiche originarie del parco, tutelato come pineta e derivante dal frazionamento dell’originaria Villa Massimo. I manufatti previsti, le parti pavimentate, i percorsi gli arredi e le recinzioni costituiscono un insieme di elementi che interferiscono con la natura di giardino e di bosco del luogo, testimoniato nel corso del tempo. Pertanto si esprime parere negativo al progetto presentato che rappresenta una alterazione sostanziale dei caratteri vincolati del luogo. Si rimane in attesa di un progetto di restauro e recupero del giardino, comprensivo di una ricerca storica, del rilievo dello stato dei luoghi, che non solo individui l’originale modellamento del terreno con i percorsi e le aiole, la rete idrica, ma anche le specie arboree, gli arredi e elementi storicamente comprovati descrivendone lo stato che hanno caratterizzato l’uso pubblico di questo parco”.
Pertanto, l’amministrazione ha considerato che:
- il parere di vincolo assoluto rilasciato dalla Soprintendenza ai sensi dell’art. 136 d.lgs. n. 42/04, in forza della legge n. 778 del 1922, che ha considerato l’area di notevole interesse con un decreto del 23 febbraio 1927, riconoscendo la non comune bellezza naturale della pineta di Villa Massimo, non consente neanche la reinstallazione delle giostre previste nel progetto originario ed oggetto di concessione-convenzione sull’area interessata, anche in considerazione che il titolo acquisito tardivamente dal signor Miglietta inerisce la sola gestione di un tappeto elastico;
- peraltro il vincolo assoluto comunicato con il predetto parere risulta esteso all’intera area di Villa Massimo (foglio 588 part. 467 e 111), ed investe anche la legittimità dei progetti approvati con determinazioni dirigenziali n. 979 del 7 agosto 2001, n. 820 del 9 agosto 2006 e n. 731 del 31 luglio 2008, in quanto in sede di conferenza di servizi, è stato omesso di richiedere il preventivo parere della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma pur essendo i lavori da eseguirsi in una villa storica, che oltre al vincolo specifico del 1929 richiamato nel parere della Soprintendenza, risultava altresì vincolata ai sensi del d.lgs. n. 490 del 1999 – T.U. delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali;
- detta illegittimità, emersa dal più volte menzionato parere della Soprintendenza del 5 agosto 2014, rende necessario procedere, non potendosi procedere ad alcuna procedura sanante, all’annullamento in autotutela, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 octies e nonies della legge n. 241/1990 e s.m.i. delle determinazioni dirigenziali n. 979 del 7 agosto 2001, n. 820 del 9 agosto 2006 e n. 731 del 31 luglio 2008 ed in via derivata di tutti gli atti successivi.
Valutate le controdeduzioni proposte dalla DAFI nel corso del procedimento, l’amministrazione capitolina ha confermato l’esigenza di procedere all’annullamento per le seguenti ragioni:
1) il parere espresso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza per i beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma con nota del 5 agosto 2014 coinvolge direttamente anche gli atti oggetto di avvio del procedimento in quanto, diversamente da quanto sostenuto dal controinteressato, il vincolo riguarda l’intera area di Villa Massimo (foglio 588 partt. 467 e 111) ed investe anche la legittimità dei progetti approvati e realizzati dal 2001 che insistono su tale area. Coinvolge necessariamente anche le lavorazioni eseguite in esecuzione delle predette determinazioni dirigenziali n. 979 del 2001, n. 820 del 2006 e n. 731 del 2008. Quanto sopra risulta confermato anche dalla richiesta contenuta nel sopracitato parere della Soprintendenza di “un’analisi storica che testimoni se le trasformazioni avvenute siano conformi e compatibili con la disciplina di vincolo che sussiste sulla zona … e una verifica sulla legittimità dello stato dei luoghi”;
2) nel periodo dal 2001, data di approvazione del progetto oggetto di convenzione, al 2004, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004, era vigente il d.lgs. n. 490 del 1999, che non consentiva all’ente locale di rilasciare una autorizzazione paesaggistica sulla base di una autonoma valutazione tecnico discrezionale anche con riguardo alla compatibilità dell’intervento con gli eventuali vincoli gravanti sul terreno interessato. L’art. 23 di tale articolato espressamente prevedeva che i proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, dei beni culturali indicati all’art. 2, comma 1, lett. a), così come indicati al successivo comma 2 lett. f) (ville, parchi e giardini che abbiano interesse artistico o storico) hanno l’obbligo di sottoporre alla Soprintendenza i progetti delle opere di qualunque genere che intendano eseguire, al fine di ottenere la preventiva approvazione;
3) il parere del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma è obbligatorio e vincolante ed eventuali contestazioni in ordine alla legittimità dello stesso esulano dalle competenze dell’Ufficio.
4. L’azione di annullamento proposta con l’atto introduttivo del giudizio non può essere accolta.
4.1 Con la prima doglianza, la DAFI ha sostenuto che la determinazione dirigenziale impugnata e la relativa comunicazione di avvio del procedimento sono state adottate successivamente al deposito della sentenza del Consiglio di Stato n. 4547 del 9 settembre 2014, le cui statuizioni – che lungi dall’imporre o suggerire all’amministrazione comunale l’annullamento ex officio et tabula rasa di tutti gli atti afferenti alla concessione dell’area di “Villa Massimo”, hanno invece evidenziato la necessità di colmare deficit istruttori imputabili essenzialmente alla stessa amministrazione – non sarebbero state correttamente vagliate e sarebbero state travisate dagli uffici di Roma Capitale. Dall’esame del decisum, in sostanza, si evincerebbe che la legittimità della convenzione del 9 agosto 2001, degli atti procedurali relativi all’iter che l’avevano preceduta e degli ulteriori atti annullati con la determinazione impugnata, non risulterebbero affatto incisi o messi in discussione.
Le argomentazioni formulate, pur oggettivamente condivisibili, sono inidonee a dimostrare l’illegittimità dell’azione amministrativa in quanto inconferenti con le ragioni per le quali il provvedimento impugnato è stato adottato.
L’impugnato provvedimento di annullamento, infatti, come chiaramente indicato nel richiamato sviluppo motivazionale, è stato adottato nell’esercizio del potere di autotutela, non già in esecuzione della sentenza della Quarta Sezione del Consiglio di Stato n. 4547 del 9 settembre 2014.
Tale pronuncia giurisdizionale - emanata in esito all’appello proposto da alcuni interventori ad opponendum (o, più propriamente, controinteressati) nel presente giudizio avverso la sentenza con la quale questo Tribunale aveva respinto il ricorso dagli stessi proposto per l’annullamento delle determinazioni dirigenziali, e di tutti gli atti presupposti, coordinati e connessi, posti in essere dal Comune di Roma (oggi Roma Capitale) circa il progetto di massima per variante di riqualificazione dell’area Punto Verde Infanzia “Viale di Villa Massimo”, ha tra l’altro statuito:
“7. …. La prima questione da delibare riguarda il subentro di DAFI S.r.l. nella concessione relativa alla gestione dell’attività ludica, in relazione alla quale gli appellanti ripropongono le proprie doglianze di illegittimità per mancato possesso dei requisiti necessari.
La censura è fondata.
Infatti, come risulta dagli atti, nel momento in cui il sig. Denaro, originario affidatario, si disimpegnò dall’attività di “spettacolo viaggiante” la società DAFI S.r.l. non era in possesso dei titoli autorizzatori per la gestione dei relativi impianti; al riguardo, va evidenziato che l’art. 3 della convenzione – che disciplina il subentro nella stessa – non consentiva il subingresso di un nuovo concessionario sub condicione del futuro ottenimento delle autorizzazioni (ciò che le parti resistenti assumono essere in fatto avvenuto), bensì prevedeva che chi intendesse subentrare al concessionario dovesse a sua volta essere già in possesso di tutti i necessari requisiti.
Sul punto DAFI S.r.l. non sembra smentire in fatto gli assunti di parte attorea, affermando anzi che solo nel 2010 e nel 2011 avrebbe ottenuto dal Comune di Roma le autorizzazioni necessarie ai sensi dell’art. 69 T.U.L.P.S.: ciò che induce a concludere, in buona sostanza, che l’Amministrazione comunale abbia di fatto “tollerato” per quasi due anni in loco un esercizio abusivo dell’attività di pubblico intrattenimento.
Ne discende la fondatezza del vizio sul punto lamentato in primo grado, non essendo stata smentita la censura formulata in primo grado, la quale afferiva proprio alla mancanza del requisito soggettivo previsto ex art. 3, requisito richiesto all’attualità del subentro e non “integrabile” in un momento successivo.
8. ……
9. Dal momento che l’accoglimento della censura esaminata al punto 7 che precede, inficiando il subentro dell’odierna controinteressata nel rapporto concessorio, investe la stessa legittimazione di DAFI S.r.l. a poter presentare il progetto di riqualificazione de quo, esso può considerarsi assorbente di tutti i restanti motivi.
Tuttavia, appare opportuno esaminare alcuni degli ulteriori motivi di ricorso articolati in primo grado, anche al fine di orientare la futura attività dell’Amministrazione in sede di eventuale riedizione del proprio giudizio sul progetto di riqualificazione (ove ritualmente ripresentato), ai sensi dell’art. 34, comma 1, lettera e), cod. proc. amm.
10. Per quanto concerne la questione del vincolo boschivo, asseritamente violato dall’intervento per cui è causa, occorre esaminare due distinti profili.
10.1. Il primo profilo attiene alla stessa esistenza del vincolo, contestata da parte appellata ma ben documentata dagli appellanti con la memoria depositata in data 24 aprile 2014: sul punto, parte appellata eccepisce l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 104, comma 2, cod. proc. amm., della documentazione prodotta in una a detta memoria, ma è evidente che trattasi di documentazione ammissibile, essendo di data successiva alla sentenza impugnata e, quindi, per definizione non producibile in primo grado.
Tuttavia, se detta documentazione illumina sulle più recenti vicende del vincolo boschivo di cui si discorre (e, in particolare, sulla sua “derubricazione” e sulla successiva revoca in autotutela di essa), resta incerta la fonte del vincolo medesimo, facendosi bensì riferimento a un vincolo notificato in data 23 febbraio 1929 ai sensi della legge 11 giugno 1922, nr. 778, senza però che vi sia documentazione dell’epoca che ciò confermi.
Sul punto è opportuno che l’Amministrazione comunale, in sede di eventuale rinnovazione della propria attività, approfondisca l’esame dell’assetto storico dell’area, al fine di definirne meglio il regime anche quanto al perdurante vigore di risalente disciplina vincolistica; ciò anche ai fini di quanto si dirà subito appresso in ordine alla necessità di acquisire il parere delle autorità preposte alla salvaguardia dei vincoli medesimi.
10.2. Il secondo profilo problematico, dato per acquisito che un vincolo boschivo effettivamente vi sia, attiene alla verifica della compatibilità con esso del progetto di riqualificazione per cui è causa.
Sul punto, la Sezione si limita a osservare come siano del tutto inconferenti le doglianze di parte istante – e, correlativamente, anche le difese del Comune e della società appellata – sullo sradicamento di alberi che vi sarebbe stato, sul numero delle piante che lo avrebbero subito e sulla sua riconducibilità ad attività deliberata della società concessionaria piuttosto che a imprevedibili agenti atmosferici; infatti, è evidente che in questa sede non interessa occuparsi di condotte materiali di danneggiamento al patrimonio arboreo, delle quali – se del caso – altre Autorità potranno essere chiamate a valutare la natura e la rilevanza.
Ciò che rileva, invece, è il contenuto del progetto per cui è causa, che secondo gli appellanti prevede un massiccio ridimensionamento dell’area boschiva che si assume vincolata, mentre per l’appellata ne prevede la pressoché totale “ripiantumazione”.
Al riguardo, è sufficiente precisare che, ove dalla nuova istruttoria da compiere risultasse l’effettiva esistenza in loco del vincolo boschivo, la compatibilità con questo dell’intervento progettato dovrà formare specifico oggetto del parere da chiedere alla competente Soprintendenza (la quale, pur avendo reso parere favorevole nell’ambito della Conferenza di servizi a suo tempo tenutasi, non risulta aver preso in considerazione – forse sempre a causa del deficit istruttorio evidenziato – la possibile esistenza di un vincolo boschivo, e quindi la necessità di esprimersi anche in ordine a questo).
10.3. Altra questione di merito da affrontare, sollevata dagli istanti nel ricorso di primo grado, riguarda la normativa urbanistica sulle aree a standard da destinare a parcheggio: al riguardo, durante la Conferenza di servizi conclusasi con la determinazione dirigenziale nr. 1056 del 2010 non risulta fornita risposta chiara e univoca al preliminare quesito dell’individuazione della norma di P.R.G. applicabile nella fattispecie, e pertanto è anche questo un tema che l’Amministrazione dovrà affrontare in sede di eventuale riesame della vicenda.
Al riguardo, la Sezione condivide l’assunto di parte istante secondo cui la norma sulla base della quale va verificato il rispetto degli standard è l’art. 85 delle N.T.A. al vigente P.R.G.; infatti, il successivo art. 113, che esclude l’applicabilità delle disposizioni del nuovo strumento urbanistico ai “Piani e ai Programmi urbanistici già adottati” alla data della sua entrata in vigore, risulta manifestamente non applicabile alla riqualificazione del Punto Verde per cui è causa, perché questa è uno specifico progetto e non un “piano” né un “programma”; di conseguenza, esso soggiace alle prescrizioni in materia di standard vigenti al momento della sua proposizione (e, quindi, al più stringente regime dell’art. 85 delle N.T.A.).”
La sentenza della Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha annullato il progetto di massima per variante di riqualificazione dell’area Punto Verde Infanzia “Viale di Villa Massimo” in ragione dell’illegittimo subentro della DAFI Srl nella concessione relativa alla gestione dell’attività ludica, per mancato possesso dei requisiti necessari al momento del disimpegno dell’originario affidatario dall’attività di “spettacolo viaggiante”, con assorbimento dei restanti motivi.
Di talché, non vi è dubbio che detta sentenza abbia prodotto effetti solo con riferimento a tale attività amministrativa e non anche agli atti annullati in autotutela con il provvedimento impugnato.
Insomma, è evidente che il provvedimento impugnato con l’atto introduttivo del presente giudizio non è stato adottato nell’esecuzione del giudicato.
Nondimeno, la richiamata pronuncia del giudice di appello ha evidenziato l’opportunità che “l’Amministrazione comunale, in sede di eventuale rinnovazione della propria attività, approfondisca l’esame dell’assetto storico dell’area, al fine di definirne meglio il regime anche quanto al perdurante vigore di risalente disciplina vincolistica; ciò anche ai fini di quanto si dirà subito appresso in ordine alla necessità di acquisire il parere delle autorità preposte alla salvaguardia dei vincoli medesimi”.
Tale statuizione incidentale può ritenersi che abbia costituito l’occasione per lo svolgimento dell’attività di verifica sul regime vincolistico dell’area oggetto di concessione - che ben avrebbe potuto o, anzi, dovuto essere comunque svolta dall’amministrazione capitolina - da cui sono scaturiti gli elementi che hanno indotto Roma Capitale ad agire in autotutela.
4.2 Parimenti infondata, in quanto anch’essa basata su una prospettazione inidonea a disvelare le ragioni essenziali dell’azione in autotutela, è la doglianza secondo cui non potrebbe ritenersi che il provvedimento annullatorio contestato sia di natura vincolata rispetto alla nota della Soprintendenza Ministeriale del 5 agosto 2014, atteso che la Soprintendenza avrebbe espresso il proprio parere negativo unicamente sul progetto di riqualificazione sottopostole da Roma Capitale nel 2013 indicando una serie di attività istruttorie ed integrazioni documentali, mentre non si sarebbe espressa in ordine alla legittimità del progetto approvato nel 2001.
In proposito, non sussiste alcun dubbio sul fatto che Roma Capitale abbia richiesto il parere alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, sul progetto di riqualificazione dell’area 3.2 Villa Massimo e che la Soprintendenza abbia espresso parere negativo perché il progetto presentato rappresenta una alterazione sostanziale dei caratteri vincolati del luogo.
Tuttavia, dal parere richiesto emergono indicazioni sul regime vincolistico dell’area che hanno indotto l’amministrazione capitolina ad avviare d’ufficio, con la comunicazione del 26 settembre 2014, un diverso procedimento, volto all’annullamento in autotutela della determinazione dirigenziale n. 979 del 7 agosto 2001, della convenzione – concessione sottoscritta il 9 agosto 2001, della determinazione dirigenziale n. 820 del 9 agosto 2006 e della determinazione dirigenziale n. 731 del 31uglio 2008.
Il detto parere, in particolare, ha precisato che l’area è vincolata ai sensi dell’art. 136 d.lgs. n. 42 del 2004, in forza della legge 778 del 1922, che ha considerato l’area di notevole interesse con un decreto del 23 febbraio 1927, riconoscendo la non comune bellezza naturale della pineta di Villa Massimo.
Di talché, il Comune ha tenuto conto, come puntualmente riportato nell’atto impugnato, che il vincolo assoluto comunicato con il predetto parere del 5 agosto 2014 risulta esteso all’intera area di Villa Massimo ed investe anche la legittimità dei progetti approvati con determinazioni dirigenziali n. 979 del 7 agosto 2001, n. 820 del 9 agosto 2006 e n. 731 del 31 luglio 2008 in quanto, in sede di conferenza di servizi, è stato omesso di richiedere il preventivo parere della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma pur essendo lavori da eseguirsi in una villa storica, che oltre al vincolo specifico del 1929 richiamato nel parere della Soprintendenza, risultava altresì vincolata ai sensi del d.lgs. n. 490 del 1999 delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali.
In definitiva, se è vero che il parere alla Soprintendenza è stato chiesto nell’ambito del procedimento relativo al progetto di riqualificazione dell’area e che il parere negativo è stato espresso in relazione al progetto presentato, è altrettanto vero che il provvedimento impugnato non è stato adottato nell’esecuzione vincolata del suddetto parere, ma nell’esercizio discrezionale del potere di autotutela, avviato d’ufficio a seguito del contenuto del parere in discorso, dal quale l’amministrazione ha accertato la consistenza del vizio di legittimità che ha afflitto gli atti successivamente annullati in autotutela.
In sostanza, in doverosa applicazione del principio di continuità che caratterizza l’azione amministrativa, Roma Capitale, avendo ritenuto, sulla base del contenuto del parere reso dalla Soprintendenza in data 5 agosto 2014, che gli atti a suo tempo adottati fossero illegittimi, ha dapprima comunicato l’avvio del procedimento di autotutela, che costituisce un tipico procedimento d’ufficio ed a carattere discrezionale, e successivamente ha adottato il provvedimento di annullamento gravato con l’atto introduttivo del presente giudizio.
4.3 Con successive doglianze, la ricorrente ha contestato che, nell’esercizio del potere di autotutela, da esercitare in un termine ragionevole, dovrebbe essere valutata la sussistenza di un interesse pubblico all’annullamento, prevalente sulle posizioni private costituitesi e consolidatesi medio tempore. Il carattere discrezionale dell’annullamento d’ufficio imporrebbe una congrua valutazione degli interessi in conflitto, dei quali occorrerebbe dare adeguatamente conto nella motivazione del provvedimento di ritiro ogniqualvolta la posizione del destinatario di un provvedimento amministrativo si sia consolidata suscitando un ragionevole affidamento della legittimità dello stesso. Mancherebbe, invece, l’esternazione dell’interesse pubblico all’annullamento o comunque la valutazione di soluzioni alternative all’annullamento, così come non sarebbe stato preso in considerazione l’interesse del privato concessionario.
Le censure non sono persuasive.
L’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, ratione temporis vigente, stabilisce che il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 21 octies, esclusi i casi di cui al medesimo art. 21 octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.
La ampia motivazione dell’atto di autotutela si fonda, come in precedenza esposto, sulle seguenti ragioni:
1) il parere espresso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza per i beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, con nota del 5 agosto 2014, coinvolge direttamente anche gli atti oggetto di avvio del procedimento in quanto, diversamente da quanto sostenuto dal controinteressato, il vincolo riguarda l’intera area di Villa Massimo ed investe anche la legittimità dei progetti approvati e realizzati dal 2001 che insistono su tale area. Coinvolge necessariamente anche le lavorazioni eseguite in esecuzione delle determinazioni dirigenziali n. 979 del 2001, n. 820 del 2006 e n. 731 del 2008;
2) nel periodo dal 2001, data di approvazione del progetto oggetto di convenzione, al 2004, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004, era vigente il d.lgs. n. 490 del 1999, che non consentiva all’ente locale di rilasciare una autorizzazione paesaggistica sulla base di una autonoma valutazione tecnico discrezionale anche con riguardo alla compatibilità dell’intervento con gli eventuali vincoli gravanti sul terreno interessato. L’art. 23 di tale articolato espressamente prevedeva che i proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, dei beni culturali indicati all’art. 2, comma 1, lett. a), così come indicati al successivo comma 2, lett. f), (ville, parchi e giardini che abbiano interesse artistico o storico) hanno l’obbligo di sottoporre alla Soprintendenza i progetti delle opere di qualunque genere che intendano eseguire, al fine di ottenere la preventiva approvazione;
3) il parere del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza per i beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma è obbligatorio e vincolante ed eventuali contestazioni in ordine alla legittimità dello stesso esulano dalle competenze dell’Ufficio.
Va da sé che l’amministrazione ha ritenuto che il vincolo assoluto comunicato dalla Soprintendenza con il parere del 5 agosto 2014, esteso all’intera area di Villa Massimo, determina un vizio di legittimità radicale dei progetti approvati con determinazioni dirigenziali n. 979 del 7 agosto 2001, n. 820 del 9 agosto 2006 e n. 731 del 31 luglio 2008 in quanto, in sede di conferenza di servizi, non è stato chiesto il preventivo parere della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma.
D’altra parte, al termine del parere reso in data 5 agosto 2014, come in precedenza riportato, la Soprintendenza ha affermato di rimanere in attesa “di un progetto di restauro e recupero del giardino, comprensivo, di una ricerca storica, del rilievo dello stato dei luoghi … “, per cui ha rappresentato l’esigenza di un ripristino dello stato originario dei luoghi.
L’intervento dell’Autorità preposta alla tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico, ora previsto dal codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. nl. 42 del 2004), era, al momento dell’originaria concessione del 2001, previsto dalla legge n. 1497 del 1939, testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, il cui art. 19 ha abrogato la legge n. 77 del 1922, vigente all’epoca del decreto del 23 febbraio 1927, con cui è stata riconosciuta la non comune bellezza naturale della pineta di Villa Massimo, cui fa riferimento la Soprintendenza nel parere del 5 agosto 2014.
La tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione è un valore costituzionalmente rilevante (art. 9).
Nella definizione di “paesaggio” può identificarsi il c.d. “ambiente visibile”, in cui rientrano tutti gli aspetti relativi al rapporto tra uomo e natura, mentre nella definizione di “patrimonio storico e artistico” (i cc.dd. beni culturali) vanno identificati tutti quei beni, mobili e immobili, di proprietà pubblica o privata, che rivestono interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico, bibliografico.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio è stato adottato in attuazione dell’art. 9 Cost., con cui, come detto, la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale.
Pertanto, non sussiste alcun dubbio che il mancato coinvolgimento delle Autorità preposte alla tutela di tali interessi nei procedimenti volti a consentire interventi su un’area vincolata costituisce un vizio di legittimità di particolare intensità, tanto che l’art. 164 del d.lgs. n. 42 del 2004 dichiara nulli tutti gli atti giuridici compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del titolo I della parte seconda, o senza l’osservanza delle condizioni e modalità da essa prescritte.
Ne consegue che il bilanciamento tra contrapposti interessi pubblici e privati, immanente in sede di esercizio del potere di autotutela, si è concluso del tutto ragionevolmente nel senso di procedere all’annullamento d’ufficio in ragione del vizio di legittimità rilevato che, come visto, non ha consentito all’amministrazione preposta alla tutela dei valori costituzionalmente rilevanti afferenti il paesaggio ed i beni culturali, di intervenire nel procedimento per garantire la detta protezione.
In definitiva, l’amministrazione capitolina, nell’evidenziare gli aspetti relativi al regime vincolistico dell’area ed al relativo vizio di legittimità che ha affetto gli atti dal 2001 in poi, ha evidentemente ritenuto prevalente l’interesse pubblico leso, tutelato da altra amministrazione specificamente preposta, sull’interesse privato della ricorrente che, peraltro, dei 22 anni di durata della concessione ha beneficiato, in base ad attività amministrativa illegittima, del “bene della vita” per oltre tredici anni, senza trascurare che lo stesso art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 impone di considerare anche gli interessi dei controinteressati, che hanno una posizione giuridica equivalente, sia pure di segno opposto a quella della ricorrente, e che nel caso di specie si sono costituiti in giudizio ad opponendum nonché, alcuni di essi, hanno proposto il ricorso giurisdizionale al cui esito la Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha pronunciato la richiamata sentenza n. 4547 del 2014 che ha annullato il subentro di DAFI nella gestione dell’attività di “spettacolo viaggiante”.
L’interesse pubblico che ha condotto l’amministrazione ad adottare l’atto impugnato, pertanto, è chiaramente percepibile e, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, tale interesse pubblico, di rilievo costituzionale, è stato ritenuto, in modo del tutto ragionevole, prevalente sull’interesse del privato ricorrente, pur meritevole, al pari dell’interesse dei controinteressati, della più elevata considerazione.
4.4 La DAFI ha ancora sostenuto che sarebbe stata carente l’attività istruttoria volta a verificare la compatibilità di un intervento di recupero dell’area della concessione nonché le modalità più consone per i futuri progetti, tenendo conto del suo interesse a proseguire il rapporto quale unico concessionario, potendo oggi subentrare anche alle attività di pertinenza del signor Danaro in quanto in possesso dei requisiti soggettivi necessari.
La tesi non è persuasiva.
La ragione per la quale Roma Capitale ha proceduto all’annullamento in autotutela è stata l’assenza di un essenziale ed imprescindibile atto endoprocedimentale, necessario in ragione del vincolo gravante sull’intera area di Villa Massimo, e tale profilo, come visto, è senz’altro idoneo a legittimare l’esercizio del potere di autoannullamento, per cui – anche a voler prescindere dal fatto che Roma Capitale ha posto in rilievo come la DAFI non abbia mai ottenuto tutte le autorizzazione necessarie a subentrare nella posizione del signor Denaro per l’esercizio dello spettacolo viaggiante e parchi di divertimento avendo ottenuto un’autorizzazione limitata al trampolino elastico - nessun’altra attività istruttoria l’amministrazione era tenuta a compiere.
Tuttavia, occorre precisare che l’effetto retroattivo naturalmente connaturato all’annullamento in autotutela, così come all’annullamento in sede giurisdizionale, comporta, sul piano sostanziale, la necessità per l’amministrazione di rinnovare il procedimento a partire dal momento segnato dalla statuizione demolitoria, sostituendo alla determinazione eliminata dal mondo giuridico una nuova determinazione.
In sostanza, se e quando una singola fase di un procedimento amministrativo sia a sua volta scomponibile in singoli atti o segmenti, occorre valutare quando e come si sia manifestato il vizio, perché da ciò discendono gli effetti che l’annullamento dovuto a tale vizio è in grado di produrre.
Gli effetti del provvedimento di annullamento in autotutela, nel caso di specie, sono limitati al segmento procedimentale della conferenza di servizi e non si estendono alle fasi procedimentali o sub procedimentali ad esso antecedenti.
In altri termini, essendo stato il vizio di legittimità degli atti individuato nel fatto che nelle conferenze di servizi relative ai progetti approvati con le determinazioni dirigenziali n. 979 del 2001, n. 820 del 2006 e n. 731 del 2008 è stato omesso di richiedere il preventivo parere alla Soprintendenza per i beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma gli effetti del detto annullamento importano che l’Autorità debba riprovvedere riesercitando il potere a partire dal segmento procedimentale nel cui ambito è stato accertato il vizio di legittimità fonte dell’annullamento, con salvezza, quindi, di tutte le fasi ed i segmenti procedimentali precedenti, vale a dire debba riprovvedere, tenendo fermi i segmenti procedimentali pregressi a suo tempo espletati, attraverso la convocazione di una nuova conferenza di servizi nell’ambito dell’originario procedimento del 2001 per l’eventuale approvazione del progetto definitivo per la realizzazione del punto verde e l’eventuale approvazione dello schema di convenzione-concessione per il residuo periodo e adozione della concessione e, in caso di esito favorevole e, quindi, di adozione del provvedimento attributivo del “bene della vita”, anche con riferimento ai successivi iter procedimentali del 2006 e del 2008.
Va da sé, inoltre, che la tutela ordinamentale prevista in simili fattispecie per il soggetto che sostenga di avere subito un danno dall’avere incolpevolmente confidato nella legittimità dell’azione amministrativa a sé favorevole (cd. danno da legittimo affidamento) è costituito dalla eventuale proposizione dell’azione di risarcimento del danno innanzi al giudice civile (cfr. in proposito la recente ordinanza delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione 4 settembre 2015, n. 17586 e le cc.dd. ordinanze gemelle delle stesse Sezioni Unite 23 marzo 2011, nn. 6594, 6595 e 6596).
4.5 La DAFI ha infine sostenuto che il provvedimento gravato muoverebbe dall’erronea presupposizione che il progetto approvato nel 2001 e la relativa convenzione stipulata inter partes dovessero essere precedute dal parere obbligatorio e vincolante della Soprintendenza, come previsto dal combinato disposto dalle norme di cui al d.lgs n. 42 del 2004.
La tesi non può essere condivisa.
Con ordinanza 9 luglio 2015, n. 2893, questa Sezione ha ravvisato l’opportunità di acquisire al fascicolo di causa ulteriori elementi di valutazione dai quali emerga la situazione vincolistica dell’area su cui insiste l’attività in questione al momento della stipula della convenzione-concessione.
Il Ministero per i beni, le attività culturali e il turismo, in data 5 novembre 2015, ha depositato una relazione con unita documentazione.
Nella relazione, è indicato tra l’altro che “la Pineta di Villa Massimo è sottoposta ai dispositivi di tutela di cui all’art. 134, co. 1, lett. b) ed è inserita in zona classificata nel PTPR – Lazio come segue. Nella TAV. 24 A – Sistemi ed Ambiti del Paesaggio come Paesaggio Naturale (All. 6): nella TAV. 24 B – Beni Paesaggistici: Ricognizione delle aree tutelate per legge – art. 134 co. 1 lett. b e art. 142 co. 1 D.vo 42/2004 lett. g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorchè percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall’articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227 (All. 7)”, per cui la Pineta di Villa Massimo è sottoposta “anche a tutti i dispositivi di tutela di cui alla Parte Terza – Beni paesaggistici – del D.Lgs. 42/2004 e in particolare alle procedure di autorizzazione dei progetti ai sensi dell’art. 146 medesimo Codice, che rende obbligatorio l’acquisizione del parere vincolante del Soprintentende”.
Per quanto riguarda il vincolo di bellezza naturale DM 23 febbraio 1927 ex l. 778 del 1922, il Ministero, nella detta relazione, ha precisato che “l’area è vincolata ai sensi dell’art. 136 del D.Lgs. 42/04, in forza della legge 778 del 1922, che ha considerato l’area di notevole interesse con un decreto del 23 febbraio 1927, riconoscendo la non comune bellezza naturale della pineta di Villa Massimo” ed ha rammentato “che il DM è stato trascritto e notificato tramite messo comunale, come previsto dall’art. 33 della L. 448 del 23 dicembre 1998 e pertanto lo stesso mantiene efficacia anche (ai) sensi della normativa vigente per il combinato disposto tra gli artt. 13 e 160 del D.Lgs. 490/1999. Inoltre il dispositivo di tutela stesso mantiene efficacia anche ai sensi del combinato disposto della successiva normativa di tutela, ovvero ai sensi degli artt. 136, co. 1 lett. b e 157, co. 1, lett. a) del D.Lgs. 4272004”.
Di talché, oltre a quanto già esaustivamente espresso dalla Soprintendenza nel parere del 5 agosto 2014, risulta confermato che, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente, il progetto approvato nel 2001 e la relativa convenzione stipulata inter partes dovessero essere precedute dal parere obbligatorio e vincolante della Soprintendenza.
Infatti, da un lato, l’art. 136, co. 1, lett. b), del codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004) dispone che siano assoggettati alle disposizioni del Titolo de quo, per il loro notevole interesse pubblico, le ville, i giardini e i parchi non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza, dall’altro, l’art. 157 dello stesso codice sancisce che conservano efficacia a tutti gli effetti le dichiarazioni di importante interesse pubblico delle bellezze naturali o panoramiche, notificate in base alla legge 11 giugno 1992, n. 778.
Né a tal fine può assumere rilievo dirimente la relazione tecnica depositata dalla ricorrente in quanto, come più volte esposto, il vizio di legittimità degli atti è stato individuato nell’omessa richiesta di parere alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma.
5. Con un primo atto di motivi aggiunti, la Dafi Srl ha esteso l’impugnativa alla determinazione dirigenziale del 2 aprile 2015, con cui l’amministrazione capitolina ha disposto la decadenza dall’autorizzazione di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande rilasciatale con determinazione dirigenziale del 22 dicembre 2007.
Le censure proposte in via derivata sono infondate in ragione dell’infondatezza dell’azione di annullamento proposta con l’atto introduttivo del giudizio.
Parimenti infondate sono le censure proposte in via autonoma per le seguenti ragioni:
l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto vincolato in quanto conseguente alla determina dirigenziale n. 83 del 2014, non può determinare l’annullamento dell’atto impugnato atteso che, ai sensi dell’art. 21 octies l. n. 241 del 1990, non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato;
la circostanza che, al momento dell’adozione dell’atto, fosse stata già fissata l’udienza di discussione del ricorso proposto avverso la determina dirigenziale presupposta, in ragione della perdurante efficacia di quest’ultima, non assume ovviamente alcun rilievo ai fini della legittimità dell’atto in contestazione;
il provvedimento impugnato, già attraverso il richiamo all’atto presupposto, si presenta congruamente motivato, dando conto del suo carattere vincolato e delle ragioni logico giuridiche a base della sua adozione.
6. Con un secondo atto di motivi aggiunti, DAFI ha impugnato la nota prot. n. 673 del 22 gennaio 2015 con cui il MIBACT ha confermato il vincolo notificato nel 1922, disponendo la sua riperimetrazione e la immediata inclusione nel PTPR alla Regione Lazio, in buona sostanza reiterandolo in virtù dell’espresso richiamo dell’art. 157, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 42 del 2004, secondo cui “conservano efficacia a tutti gli effetti le dichiarazioni di notevole interesse pubblico notificate ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497”.
DAFI, oltre a censurare l’atto in via derivata, ha dedotto che il provvedimento dichiarativo e costitutivo del vincolo, vale a dire il decreto che ne abbia stabilito natura ed estensione, non sarebbe stato ancora rinvenuto, per cui, in assenza del provvedimento impositivo dell’antico vincolo, l’avvio della procedura di verifica da parte del MIBACT avrebbe indubbiamente prodotto effetti cautelari sospensivi di qualsiasi intervento in attesa della sua definizione, effetti che avrebbero potuto riguardare il futuro senza implicare effetti retroattivi e che non avrebbero potuto giustificare il provvedimento di autotutela, adottato ben prima che il procedimento di verifica fosse concluso.
L’infondatezza nel merito dell’azione impugnatoria consente di prescindere dall’esame dell’eccezione di tardività proposta dalle controparti.
In proposito, nel ribadire che le censure dedotte in via derivata non possono trovare accoglimento per l’infondatezza dell’impugnazione avverso la determinazione dirigenziale n. 83 del 2014, è sufficiente rilevare che il competente Ministero, nella richiamata produzione del 5 novembre 2015, pur non producendo il documento nella sua materialità, ha fornito elementi sufficienti per far ritenere esistente e produttivo di effetti il decreto del 23 febbraio 1927, che ha riconosciuto la non comune bellezza naturale della pineta di Villa Massimo.
In particolare, ha precisato che “la sussistenza del vincolo paesaggistico trova conferma nella trascrizione alla Regia Conservatoria delle ipoteche di Roma, dichiarata della Direzione Generale delle Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 2 della legge 11 giugno 1922, n. 778 sulla pineta esistente nel fondo di proprietà della Società Anonima Terreni Edili Roma (SATER) segnata in catasto al numero 2882 della mappa 65, confinate con via di Villa Massimo, via Alessandro Torlonia, via Belluno (All. 8). L’esistenza del vincolo paesaggistico sulla pineta è confermato anche nella corrispondenza e negli atti con planimetrie, conservati presso la Soprintendenza, riguardanti i piani di lottizzazione nella zona di Villa Torlonia e della Nomentana, del periodo 1927/1933 successivo al decreto, Soprintendenti Munoz e Terenzio: i documenti attestano innumerevoli gruppi di alberature pregiate anche nei lotti circostanti la villa Massimo”.
Il competente Ministero ha fornito inoltre altri elementi documentali in relazione ai quali non può ragionevolmente dubitarsi che, anche in assenza del decreto nella sua forma cartacea, lo stesso sia sussistente e spieghi efficacia.
La copia della trascrizione a favore del Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione Generale per le Belle Arti) della dichiarazione ministeriale del 23 febbraio 1927 è stata anche allegata all’atto di intervento ad adiuvandum del signor Sessi Wolmer ed altri.
7. Le spese del giudizio, in ragione della particolare complessità fattuale e giuridica della fattispecie, possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Seconda Sezione, respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Silvia Martino, Consigliere
Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore
 

 

L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/03/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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