La reazione emotiva collettiva
alle tragedie delle studentesse Erasmus morte in un incidente stradale a
Tarragona e agli attentati terroristici all’aeroporto e alla metropolitana di
Bruxelles ci restituisce il senso dell’Europa come comunità di popoli e
culture.
Le conquiste dell’Europa unita sono spesso sottovalutate o date per scontate:
sia dalle generazioni che le hanno costruite e che troppo spesso le guardano
ormai con occhi disillusi e cinici, sia dalle nuove generazioni, che le
trattano come diritti acquisiti e poco rilevanti.
Eppure il fatto di sentire il peso dei fatti drammatici di Tarragona e di
Bruxelles come fossero le proprie è un effetto poderoso della costruzione
europea e forse quello che può salvarci dalla disgregazione in atto nel
nostro continente.
Generazione Erasmus
Il programma Erasmus, che consente agli studenti di tutta Europa di acquisire
esperienza e conoscenza in Paesi stranieri e di entrare in contatto con
culture diverse e nuove, ha formato generazioni di cittadini europei non più
avvezzi alle limitazioni dei confini, delle lingue, delle monete.
Eppure in anni recenti il programma ha rischiato di finire sotto la scure dei
tagli al bilancio europeo, salvo poi essere recuperato nel nuovo pacchetto
Erasmus + per il periodo 2014-2020, con un finanziamento complessivo di 14,7
miliardi di euro.
Il processo di integrazione ha garantito la creazione e lo sviluppo di
istituzioni e simboli comuni che fanno di Bruxelles la capitale d’Europa, la
sede di studio e delle prime esperienze lavorative di tanti giovani europei,
un luogo di aggregazione che è ormai diventato parte delle coscienze
individuali dei cittadini europei e il punto di riferimento per le élite
politiche che ci governano.
Se a volte è difficile comunicare l’importanza che le conquiste dell’euro e
di Schengen rivestono nella nostra vita quotidiana, è in frangenti come
quello che stiamo vivendo che il bagaglio di esperienze condivise si mostra
in tutta la sua potenza.
Occorre quindi sottolinearne la valenza, presentarla anche agli spiriti più
critici e sbandierarla come traguardo storico europeo rispetto al resto del
mondo. È sulla tenuta di questo terreno comune e sulla percezione di un demos
europeo che si deve basare una rinascita del progetto di integrazione e il
freno alle dinamiche di rinazionalizzazione e frammentazione dell’Unione.
Siamo forse disposti a rinunciare alla libertà e all’arricchimento assicurati
dal mercato unico, dalla libera circolazione e da uno spazio culturale
europeo? Possiamo permettere a dinamiche nazionaliste, populiste e financo
terroristiche di privarci di questi pilastri della nostra esistenza nello
spazio pubblico e privato europeo?
La risposta è ovviamente negativa e dovrebbe portare a conseguenze
imprescindibili a livello politico ed istituzionale, oltre che culturale e
sociale.
È essenziale in primo luogo promuovere un’Europa della cultura e della
cittadinanza, dove possano sentirsi a casa tutti coloro che si riconoscono
nei valori europei di democrazia, rispetto della stato di diritto, dei
diritti umani e delle libertà fondamentali. È possibile investendo più
risorse, umane e finanziarie, nell’integrazione culturale, nella lotta alla
povertà e alla disoccupazione soprattutto delle giovani generazioni, nella
protezione di un welfare europeo sostenibile.
Intelligence europea
Serve superare le barriere nazionali in materia di condivisione
dell’intelligence, delle forze di polizia e dei sistemi giudiziari. La
creazione di un’intelligence europea si impone in tutta la sua urgenza,
insieme al rafforzamento delle istituzioni che sono state create per
garantire una risposta europea alle minacce alla sicurezza, da Europol a
Eurojust a Frontex.
Sul fronte dell’intelligence anti-terrorismo, va ricordato che l’Unione
europea ha creato la figura del Coordinatore anti-terrorismo nel 2004,
all’indomani degli attentati alla metropolitana di Madrid, ed ha elaborato
una Strategia contro il terrorismo nel 2005. Tuttavia, la capacità di
coordinare le azioni degli Stati membri in un’azione efficace di contrasto al
terrorismo è ancora embrionale e limitata dalle competenze nazionali in
materia.
All’interno del Servizio europeo per l’azione esterna, il nuovo servizio
diplomatico europeo, esiste un Intelligence Centre (Intcen) che però non ha
capacità autonome di raccolta e funziona soltanto su fonti open source
o sulle informazioni volontariamente condivise dai governi nazionali.
L’azione politica e militare nei confronti dei Paesi che alimentano il
terrorismo, materialmente e ideologicamente, deve essere coordinata
attraverso istituzioni e capacità comuni. Un attacco a uno dei Paesi membri
dell’Unione è un attacco a tutta l’Europa, e allo stesso tempo richiede una risposta
coordinata e compatta che sia credibile sul fronte internazionale.
L’invocazione della clausola di difesa reciproca, introdotta dal Trattato di
Lisbona all’indomani degli attentati terroristici di Parigi del novembre
scorso è stato un segnale incoraggiante, salvo poi tradursi in negoziazioni
bilaterali tra la Francia e i singoli Stati dell’Ue al fine di alleggerire le
forze di sicurezza francesi dai numerosi impegni internazionali.
Non ci sono più scuse per ritardare l’utilizzodegli strumenti creati col
Trattato di Lisbona del 2009 in materia di sicurezza e difesa, e per andare
oltre nella creazione di un quartier generale unico che traduca in azione le
decisioni di una Politica estera e di sicurezza comune.
L’Europa è nostra, noi siamo l’Europa. È il nostro patrimonio culturale che
siamo chiamati a tutelare per non soccombere e scomparire.
Nicoletta Pirozzi è responsabile di ricerca presso lo IAI.
|
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http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3380#sthash.Yx0PjMbb.dpuf
Tragedie europee
Nous sommes l’Europe
Nicoletta Pirozzi
22/03/2016
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La reazione emotiva collettiva alle
tragedie delle studentesse Erasmus morte in un incidente stradale a
Tarragona e agli attentati terroristici all’aeroporto e alla
metropolitana di Bruxelles ci restituisce il senso dell’Europa come
comunità di popoli e culture.
Le conquiste dell’Europa unita sono spesso sottovalutate o date per
scontate: sia dalle generazioni che le hanno costruite e che troppo
spesso le guardano ormai con occhi disillusi e cinici, sia dalle nuove
generazioni, che le trattano come diritti acquisiti e poco rilevanti.
Eppure il fatto di sentire il peso dei fatti drammatici di Tarragona e
di Bruxelles come fossero le proprie è un effetto poderoso della
costruzione europea e forse quello che può salvarci dalla disgregazione
in atto nel nostro continente.
Generazione Erasmus
Il programma Erasmus, che consente agli studenti di tutta Europa di
acquisire esperienza e conoscenza in Paesi stranieri e di entrare in
contatto con culture diverse e nuove, ha formato generazioni di
cittadini europei non più avvezzi alle limitazioni dei confini, delle
lingue, delle monete.
Eppure in anni recenti il programma ha rischiato di finire sotto la
scure dei tagli al bilancio europeo, salvo poi essere recuperato nel
nuovo pacchetto Erasmus + per il periodo 2014-2020, con un finanziamento
complessivo di 14,7 miliardi di euro.
Il processo di integrazione ha garantito la creazione e lo sviluppo di
istituzioni e simboli comuni che fanno di Bruxelles la capitale
d’Europa, la sede di studio e delle prime esperienze lavorative di tanti
giovani europei, un luogo di aggregazione che è ormai diventato parte
delle coscienze individuali dei cittadini europei e il punto di
riferimento per le élite politiche che ci governano.
Se a volte è difficile comunicare l’importanza che le conquiste
dell’euro e di Schengen rivestono nella nostra vita quotidiana, è in
frangenti come quello che stiamo vivendo che il bagaglio di esperienze
condivise si mostra in tutta la sua potenza.
Occorre quindi sottolinearne la valenza, presentarla anche agli spiriti
più critici e sbandierarla come traguardo storico europeo rispetto al
resto del mondo. È sulla tenuta di questo terreno comune e sulla
percezione di un demos europeo che si deve basare una rinascita del
progetto di integrazione e il freno alle dinamiche di
rinazionalizzazione e frammentazione dell’Unione.
Siamo forse disposti a rinunciare alla libertà e all’arricchimento
assicurati dal mercato unico, dalla libera circolazione e da uno spazio
culturale europeo? Possiamo permettere a dinamiche nazionaliste,
populiste e financo terroristiche di privarci di questi pilastri della
nostra esistenza nello spazio pubblico e privato europeo?
La risposta è ovviamente negativa e dovrebbe portare a conseguenze
imprescindibili a livello politico ed istituzionale, oltre che culturale
e sociale.
È essenziale in primo luogo promuovere un’Europa della cultura e della
cittadinanza, dove possano sentirsi a casa tutti coloro che si
riconoscono nei valori europei di democrazia, rispetto della stato di
diritto, dei diritti umani e delle libertà fondamentali. È possibile
investendo più risorse, umane e finanziarie, nell’integrazione
culturale, nella lotta alla povertà e alla disoccupazione soprattutto
delle giovani generazioni, nella protezione di un welfare europeo
sostenibile.
Intelligence europea
Serve superare le barriere nazionali in materia di condivisione
dell’intelligence, delle forze di polizia e dei sistemi giudiziari. La
creazione di un’intelligence europea si impone in tutta la sua urgenza,
insieme al rafforzamento delle istituzioni che sono state create per
garantire una risposta europea alle minacce alla sicurezza, da Europol a
Eurojust a Frontex.
Sul fronte dell’intelligence anti-terrorismo, va ricordato che l’Unione
europea ha creato la figura del Coordinatore anti-terrorismo nel 2004,
all’indomani degli attentati alla metropolitana di Madrid, ed ha
elaborato una Strategia contro il terrorismo nel 2005. Tuttavia, la
capacità di coordinare le azioni degli Stati membri in un’azione
efficace di contrasto al terrorismo è ancora embrionale e limitata dalle
competenze nazionali in materia.
All’interno del Servizio europeo per l’azione esterna, il nuovo servizio
diplomatico europeo, esiste un Intelligence Centre (Intcen) che però
non ha capacità autonome di raccolta e funziona soltanto su fonti open source o sulle informazioni volontariamente condivise dai governi nazionali.
L’azione politica e militare nei confronti dei Paesi che alimentano il
terrorismo, materialmente e ideologicamente, deve essere coordinata
attraverso istituzioni e capacità comuni. Un attacco a uno dei Paesi
membri dell’Unione è un attacco a tutta l’Europa, e allo stesso tempo
richiede una risposta coordinata e compatta che sia credibile sul fronte
internazionale.
L’invocazione della clausola di difesa reciproca, introdotta dal
Trattato di Lisbona all’indomani degli attentati terroristici di Parigi
del novembre scorso è stato un segnale incoraggiante, salvo poi tradursi
in negoziazioni bilaterali tra la Francia e i singoli Stati dell’Ue al
fine di alleggerire le forze di sicurezza francesi dai numerosi impegni
internazionali.
Non ci sono più scuse per ritardare l’utilizzodegli strumenti creati col
Trattato di Lisbona del 2009 in materia di sicurezza e difesa, e per
andare oltre nella creazione di un quartier generale unico che traduca
in azione le decisioni di una Politica estera e di sicurezza comune.
L’Europa è nostra, noi siamo l’Europa. È il nostro patrimonio culturale
che siamo chiamati a tutelare per non soccombere e scomparire.
Nicoletta Pirozzi è responsabile di ricerca presso lo IAI.
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