da http://www.patriaindipendente.it/idee/copertine/la-riforma-un-mostriciattolo/
Alessandro Bianchi*: “In un sistema democratico ciò che conta principalmente è la rappresentanza parlamentare. E non si può sacrificare in nome della governabilità”
Basta consultare Wikipedia alla voce Alessandro Bianchi: “Laureato in ingegneria civile all’Università La Sapienza di Roma nel 1970, ha proseguito la sua carriera in ambito accademico e dal 1987 al 1994 è stato professore associato di Pianificazione del territorio. Dal 1995 è titolare della cattedra di urbanistica presso la facoltà di Architettura dell’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria (ndr: di cui è stato rettore). Dal 17 febbraio 2015 è rettore dell’Università telematica Pegaso. È socio onorario della Società Geografica Italiana, membro dell’Accademia di Scienze economiche e Finanziarie di Spagna, Presidente del Comitato Scientifico dell’UNIMED-Unione delle Università del Mediterraneo, Componente del Comitato di Presidenza della SVIMEZ, Presidente del Consorzio Cultura&Innovazione”. A tutto ciò si aggiunga che è stato ministro dei Trasporti nel secondo governo Prodi. Politico, urbanista e docente, ha pubblicato decine di libri e di saggi. Conversiamo con lui sulla riforma costituzionale e sulla nuova legge elettorale. E' il fondatore dell'Associazione ProgettoRoma.
Cosa pensa della riforma costituzionale sulla quale il Paese è chiamato a decidere nel referendum?
Alcuni dei presupposti cardine di questa riforma costituzionale non convincono assolutamente. Tra i fondamenti che hanno ispirato le modifiche alla Costituzione, uno è addirittura del tutto falso. Si sostiene un rallentamento nella produzione legislativa del Parlamento, e di conseguenza nell’azione di governo, dovuto alla duplicazione in fotocopia dei passaggi di una legge alla Camera e al Senato. Invece tutte le analisi dimostrano che i tempi della produzione legislativa sono allineati alle medie europee, a volte sono anche al di sotto. È un falso problema.
Cioè la semplificazione del processo normativo non si otterrà con la fine del bicameralismo perfetto?
Il problema è una sovrapproduzione legislativa. Abbiamo una foresta di provvedimenti su uno stesso oggetto e siamo incapaci a disboscare. Questo complica la vita e le attività degli imprenditori, italiani e stranieri. Chiedere decine di permessi per costruire un capannone li allontana dal nostro Paese. Peraltro da sempre sono convinto che far percorrere a una legge esattamente lo stesso iter nelle due Camere sia eccessivo, almeno per tutte le materie. Si poteva però ben correggere questo meccanismo, e con leggi ordinarie, selezionando quelle in cui fosse richiesto il doppio passaggio per intero, rendere altre di competenza solo di una Camera, oppure decidere che una Camera potesse dare solo un parere, invece di un voto. Il vero problema è la sovrabbondanza di produzione legislativa. Il rapporto con la Francia o la Germania è di 1 a 10, in alcuni casi 1 a 50.
La riforma, secondo i fautori, assicurerà governabilità… Lei è stato Ministro dei Trasporti nel secondo governo Prodi, che cadde in seguito alla sfiducia del Senato…
Era il gennaio 2008 e in una precedente occasione ce la cavammo per il rotto della cuffia. Ma in un sistema democratico ciò che conta principalmente è la rappresentanza parlamentare. E non si può sacrificare in nome della governabilità. Forzare, piegare le istituzioni per garantire la governabilità va contro il processo democratico garantito dalla Costituzione. Ovviamente il fatto che i governi, e in parte anche i parlamenti, siano cambiati così tante volte negli ultimi decenni, non è un fatto positivo: l’azione di governo ne viene certamente compromessa. Ricordo la mia esperienza, un lavoro a testa bassa, per esempio abbiamo fatto una legge finanziaria, allora si chiamava così, di tutto rispetto. Se poi chi viene dopo cerca di smontare tutto, l’economia e la società in genere non ne traggono vantaggio. Ma l’instabilità è dovuta alla carenza di processi politici e cercare di cambiarli giocando con i calcoli, i numeri, le istituzioni, non va bene, chiunque vinca.
Per capire, Senato sì o Senato no?
Modificare il Senato, come si è fatto adesso, lo ha peggiorato in maniera straordinaria. Lo si è evidentemente depotenziato: non vota la fiducia, cioè la massima espressione del potere di controllo del Parlamento sull’azione di Governo, elemento essenziale in democrazia. Se si fosse scelto di abolirlo del tutto, forse sarebbe stato preferibile, ci si poteva ragionare. Andava ovviamente riscritto il rapporto tra il nuovo Parlamento e Governo. Inoltre, il Senato disegnato dalla riforma è un mostriciattolo.
Ci spieghi meglio…
Se questa riforma fosse confermata dal referendum, e auspico di no, andrà a costituire il Senato un personale politico-amministrativo che ha dato il peggio di sé in questi ultimi anni. Al di là degli scandali e della corruzione, le maggiori storture, vale a dire l’incapacità di spendere, le lentezze burocratiche, sono venute proprio dagli Istituti regionali. E noi consegniamo loro il Senato? Per di più, consiglieri e sindaci dovrebbero svolgere un doppio mestiere. Onoreranno alla meno peggio il primo incarico? Quando hanno tempo libero, passeranno in corso Rinascimento (ndr: dove c’è Palazzo Madama)? Già ora il Parlamento è troppo poco frequentato. Figuriamoci! Poi c’è la questione del numero dei senatori.
Perché sono ridotti a 100?
Volevamo ridurre il numero? Si poteva ragionare. Si riduceva con un provvedimento di legge ordinaria, senza una riforma costituzionale. Queste ragioni, unitamente alla nuova legge elettorale, mi fanno pensare piuttosto a un tentativo di carattere ingegneristico: provo a modificare i meccanismi di funzionamento istituzionale affinché ciò che decide di fare il Governo sia messo in discussione il meno possibile. Questa è la morale della riforma costituzionale: uno spostamento di poteri dal Legislativo in favore dell’Esecutivo. La prova generale del futuro scenario si è avuta nell’iter che ha portato al testo ora sottoposto a referendum.
Cioè?
La Costituzione non è intoccabile, ma per cambiarla doveva mettersi in moto il Parlamento. Non il Governo, come invece è avvenuto, cioè il potere rispetto al quale bisogna garantire, in termini costituzionali, l’azione del Parlamento. La Carta fondamentale della Repubblica, le regole di base, il patrimonio comune che tutti condividono, o almeno abbiamo condiviso, stabilisce che alcuni organi, in modo particolare il Parlamento, cioè il potere legislativo, fungano da contrappeso rispetto al Governo, cioè il potere esecutivo. Il Parlamento ha proprio la funzione di contenere i margini di discrezionalità del potere centrale. Estremizzando, solo per essere chiari: se non ci fosse un Parlamento, l’Esecutivo farebbe quello che vuole e assomiglieremmo alle repubbliche sudamericane.
Il Parlamento però ha approvato…
Decine di articoli della riforma costituzionale sono passati attraverso il voto di fiducia. E questa è una forma inaccettabile. Sappiamo che rischiando di far cadere il Governo, i parlamentari di ogni maggioranza fanno un passo indietro. È quanto ha fatto la minoranza interna del Pd in questi due anni. La legge di riforma costituzionale è stata approvata a botte di fiducia, votata per di più da un Parlamento illegittimo.
Illegittimo?
Per chi avesse dimenticato, ricordo la sentenza della Corte Costituzionale, secondo la quale dai Presidenti delle Camere fino all’ultimo parlamentare sono stati eletti illegittimamente. Di fronte a un pronunciamento di questa portata della Consulta, un consesso di persone civili avrebbe dovuto consentire una nuova elezione in maniera legittima. Ma invece di avere un sussulto di dignità, i nostri attuali parlamentari si sono messi operosamente a modificare la Costituzione. In altre parole, un Parlamento di illegittimi, dal punto di vista costituzionale, mette le mani sulla Carta. Una cosa mai vista, credo, nel nostro Paese. Mi chiedo come mai questo argomento sia citato così di rado.
Parlavamo di competenze delle due Camere: in futuro potrebbe essere solo la Camera dei Deputati a decidere lo stato di guerra…
Stiamo trasferendo la quasi totalità dei poteri più importanti a una sola Camera. E non va dimenticato che, se restasse immutata, la nuova legge elettorale produrrà una maggioranza “bulgara” per effetto del premio di maggioranza, appunto. In casi come quello che ha citato, delicati e importanti, bisognerebbe decidere ascoltando l’espressione più larga possibile di un Paese.
Non è tra i sostenitori dell’Italicum, abbiamo capito…
Negli Anni 50, quando la Democrazia Cristiana presentò, per voce di De Gasperi, la cosiddetta “Legge truffa”, il Paese si rivoltò. E consideri che prevedeva un premio a chi avesse già ottenuto il 51% nelle urne, cioè a chi aveva già vinto con la maggioranza assoluta. L’Italicum è pura ingegneria partitica, prevede una forzatura inedita del meccanismo di formazione del Parlamento. Chi raggiunge il 40% dei voti ottiene 340 seggi su 630, una maggioranza straripante. In aggiunta, si è introdotto il ballottaggio tra le due liste più votate, se nessuna dovesse raggiungere la soglia del 40%. La terza lista passerà i suoi voti a chi ritiene più opportuno e, in sostanza, deciderà il vincitore, come è successo a Roma con la Raggi. Oggi, se consideriamo l’astensionismo, i coefficienti dei votanti, si capisce che un’esigua minoranza dei cittadini consentirà di mettere nelle mani del Presidente del Consiglio tutto il “potere” possibile e immaginabile. Il bipolarismo è stato seppellito dal tripolarismo con le elezioni nazionali del 2013. Ma si pensa agli interessi dei cittadini e al loro diritto di esprimersi e scegliere i loro rappresentanti? Se spunta un quarto partito, che facciamo?
La riforma costituzionale rafforza il ricorso a leggi di iniziativa popolare…
In democrazia, la volontà popolare andrebbe sempre favorita e incoraggiata. A questo proposito però ricordo che i referendum consultivi troppo spesso sono stati ignorati. Un esempio è il referendum sull’acqua bene pubblico. Le risulta siano stati varati provvedimenti di legge per adempiere alla volontà popolare? Al contrario le Regioni stanno introducendo, in maniera variegata, procedure d’appalto a soggetti privati nella fornitura dell’acqua. L’esito del referendum è stato completamente disatteso.
Come commenta l’intervento di alcune cancellerie straniere e dell’ambasciatore Usa in Italia?
È un’indebita interferenza. Basti immaginare il putiferio che accadrebbe se l’ambasciatore italiano negli Usa dicesse agli americani di votare per Trump o la Clinton. Il rappresentante di un’altra nazione non può intromettersi in questioni di carattere istituzionale, cercare di spostare l’elettorato a favore del governo in carica. Sottotraccia, in verità, succede da tempo e tutti i giorni. Che lo si faccia con dichiarazioni pubbliche è inaccettabile.
Lei ha fatto parte del Partito democratico, è ancora nel Pd?
Vi avevo aderito dopo la caduta di Prodi. Per una istintiva propensione, mi riconoscevo nel tentativo di dare concretezza all’impostazione prodiana nella creazione di un luogo di incontro tra mondo cattolico e mondo comunista. Ero in Direzione nazionale. Ma sono uscito dal Pd, scrivendo all’allora Segretario Cofferati, perché le idee da me sostenute venivano semplicemente ignorate. La mia presenza era inutile, sono andato via. Oggi non avrei alcuna motivazione per farvi parte.
Conosce i giovani; andranno a votare al referendum costituzionale?
Ho vissuto fasi che hanno visto una presenza dei giovani nella vita politica del Paese molto accesa, addirittura esuberante. Mi riferisco al ’68 e al ’77. Da diversi anni però registro freddezza, un distacco dei giovani dalla politica. Sono indifferenti. Difatti nell’astensionismo dilagante solo una piccola quota è composta da chi si è disamorato. A non votare sono soprattutto milioni di giovani che alla politica non si sono mai voluti avvicinare. Una riforma della Costituzione ha però una portata culturale e doveva essere sottoposta alla loro attenzione. Il referendum è confermativo e non ha quorum, ma la scarsa partecipazione al voto sarebbe un fallimento per chi la riforma l’ha voluta. Si tratta del futuro del Paese e sono i giovani il futuro del Paese.
*Alessandro Bianchi: “Laureato in ingegneria civile all’Università La Sapienza di Roma nel 1970, ha proseguito la sua carriera in ambito accademico e dal 1987 al 1994 è stato professore associato di Pianificazione del territorio. Dal 1995 è titolare della cattedra di urbanistica presso la facoltà di Architettura dell’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria (ndr: di cui è stato rettore). Dal 17 febbraio 2015 è rettore dell’Università telematica Pegaso. È socio onorario della Società Geografica Italiana, membro dell’Accademia di Scienze economiche e Finanziarie di Spagna, Presidente del Comitato Scientifico dell’UNIMED-Unione delle Università del Mediterraneo, Componente del Comitato di Presidenza della SVIMEZ, Presidente del Consorzio Cultura&Innovazione”. A tutto ciò si aggiunga che è stato ministro dei Trasporti nel secondo governo Prodi. Politico, urbanista e docente, ha pubblicato decine di libri e di saggi. Fondatore dell'associazione ProgettoRoma.
Pubblicato venerdì 23 settembre 2016
Stampato il 24/09/2016 da Patria indipendente alla url http://www.patriaindipendente.it/idee/copertine/la-riforma-un-mostriciattolo/
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