Con Alberto Casiraghy e Josef Weiss, del 2016.
Il film Il
fiume ha sempre ragione è un delizioso documentario un po’ anacronistico,
che costituisce un elogio delle arti “utili” - come si chiamavano una volta -
cioè delle arti applicate. È anche un’apologia della creatività artigiana che
ancora si ritrova in alcuni appassionati e ostinati personaggi che la
praticano.
A mio avviso, questo film dovrebbe essere
proiettato obbligatoriamente nelle scuole, specialmente in quelle di studi
artistici, per la cura con la quale spiega il lavoro di due specifici
artigiani. In un mondo ormai sempre più in balìa degli smartphone, dei tablet e dei
computer, il film mostra cos’era - e ancora è - l’arte della stampa. I
tipografi sono i progenitori dei graphic
designers e fino alla fine dell’Ottocento erano loro che elaboravano le
tavole a colori, progettavano i libri e disegnavano i manifesti; solo talvolta,
lo facevano i pittori cosiddetti “cartellonisti”. Nel film è mostrata la stampa
a caratteri mobili - così come pensata da Johannes Gutenberg nel Quattrocento –
metodo con cui si è stampato in tutti questi secoli fino circa agli anni ’70
del Novecento. Si ritrova anche un insegnamento sul lettering i cui caratteri citati
sono soprattutto: il Bodoni, un font romano
moderno dell’inizio dell’Ottocento, il cui tipografo elaborò il manuale
tipografico uscito postumo nel 1818,
e l’Helvetica,
un elegante font novecentesco senza
grazie creato da Eduard Hoffman nel 1957.
Silvio Soldini riprende i due
artigiani-tipografi al lavoro nelle proprie botteghe. Uno è il poliedrico
brianzolo Alberto Casiraghy che vive a Osnago, un piccolo paesino in Lombardia.
È pittore, violinista, editore e un appassionato degli aforismi cui abbina con
estrema attenzione font, disegni e supporti cartacei. Un po’ come
faceva Apollinaire che univa le poesie a forme grafiche (Caligrammes) o anche, in qualche misura, i futuristi italiani,
Casiraghy lega gli aforismi alla loro rappresentazione Alberto si racconta, mostra le foto dei suoi
genitori giovani e innamorati, mostra i tantissimi suoi lavori, i libri d’arte a
bassa tiratura costruiti con pazienza e tanto amore. Alberto vanta rapporti
prestigiosi: ha editato anche le poesie di Pietro Ingrao con cui ha avuto uno
scambio epistolare. Cita le poesie di Ginzburg, i lavori di Bruno Munari e di
vari altri grandi delle arti “applicate”.
L’altro artigiano è Josef Weiss, un grafico di
Mendrisio– città nota per la scuola di Architettura di Mario Botta - in Canton
Ticino, più tecnico forse di Casiraghy, che ama la rilegatura dei libri che restaura,
quasi a fornire loro una seconda vita. Riflettendo su come si farà senza i
caratteri quando non ci saranno più le fonderie, pensa che le stampanti 3D
potrebbero rimpiazzarle. Peccato però che «la tecnologia non abbia
intuizione…».
Josef regalerà ad Alberto Casiraghy un
esemplare del suo Dîvân, una collana di libri con un foglio piegato a
fisarmonica su cui esprimersi a piacimento con disegni e/o scrittura. I due tipografi amici, nel finale del film, si
incontrano a Porto Ceresio sul lago di Lugano dove consumano un buon pasto
tradizionale in un ristorante con vista incantevole, come fossero fuori dal
mondo. «Bello questo fiasco di vino, dice Albert, ha una bella forma» denotando
l’amore per il dettaglio e per le forme degli oggetti demodé.
Il fiume
ha sempre ragione ha partecipato alla XII
edizione del Biografilm festival, nel giugno 2016 a Bologna. Così narra il
regista milanese in un’intervista in “Cinequanonline”: «Con questo film ho
cercato di riportare da questo viaggio anche l’emozione che ho provato
nell’incontro, nella conoscenza con loro e credo che questo sia il compito di
un regista. Il mondo del documentario è vastissimo, oramai ci sono documentari
che corrono sulla linea della finzione o atri che sono solo finzione, io credo
invece che debba essere aderente alla realtà che abbiamo davanti, ed è quello
che ho cercato di fare con questo piccolo film, soprattutto grazie ad Alberto e
Josef».
Ghisi Grütter
Nessun commento:
Posta un commento