31 luglio 2016

IN EDICOLA IL NUMERO DI LUGLIO 2016 DI TRE RIGHE

 


 

LINDA MELEO: L'ASSESSORA CHE STUDIA

 
 
Mentre i cittadini si abbronzano alle fermate  a causa degli autobus perennemente in ritardo o per le  corse saltate, mentre gli autobus rimangono fermi nei depositi per mancanza di pezzi di ricambio ( chissà dove vanno a finire?), mentre la linea A della metropolitana rimane chiusa perché in due la bloccano , peraltro neanche iscritti alle sigle che  hanno indetto lo sciopero, mentre i " portoghesi" la fanno da padrone e non pagano i biglietti, mentre i misteri dell'ATAC come i biglietti taroccati rimangono insoluti ( se no che misteri sarebbero?), mentre i pendolari del mare si sottopongono ad una sauna suppletiva nei vagoni "piombati" della Roma Lido, mentre la parentopoli dell'ATAC non viene neanche sfiorata  e centinaia di raccomandati continuano a ricevere uno stipendio che non gli spetterebbe e la lista potrebbe continuare ancora, la candida assessora alla Mobilità Linda Meleo  ci informa che sta studiando. Non ne avevamo dubbi: infatti è una ricercatrice e ci sembra coerente che studi. Mentre l'opinione pubblica romana è distratta dalla questione  della monnezza , dagli stipendi percepiti e dalle relazioni pericolose della sua assessora\ ex consulente,  il lavoro , pardon lo studio, della Meleo passa in secondo piano e non viene apprezzato. Certo non ha la bacchetta magica, i danni li hanno causati gli altri che hanno governato precedentemente etc etc :ormai la conosciamo questa litania che viene attaccata tutte le volte che uno si lamenta dei disservizi pubblici.
Ma noi siamo fiduciosi, vogliamo dare credito alla Meleo. Ci piace il fatto che studi e si documenti magari coadiuvata dai massimi responsabili ATAC che poi, se tanto mi da tanto, verranno ringraziati per il lavoro reso e messi alla porta.
Se i nostri lettori vogliono leggere le meraviglie che ci sta preparando l'assessora , consigliamo la lettura dell'intervista rilasciata  il 30 luglio a roma.corriere.it.
Ne leggeranno delle belle. Ma per favore :conservatevela , mettetela in qualche file e rispolveriamola insieme fra sei mesi per tracciare  un piccolo bilancio consuntivo. Magari qualche punto allora  sarà stato realizzato e gliene daremo atto. O forse no... chi lo sa. Noi stiamo qui e verificheremo .
Intanto buon lavoro , anzi buono studio.
Domenico Fischetto

30 luglio 2016

PAOLA MURARO L'ASSESSORA DOUBLEFACE

 
Troppo facile adesso per la Muraro assessora dissociarsi dalla Muraro consulente.
Siate buoni, non infierite più di tanto. La dovete capire. Anche lei avrà avuto famiglia ed anche se avesse visto dalla sua posizione di consulente e tantomeno capito che le cose in AMA andavano male, ebbene lei poverina da consulente si doveva sacrificare alzando la manina e magari sottolineando quello che non andava oppure rinunciare all'incarico che invece si è tenuta ben stretto per 12 anni, dicasi 12? Ma lei covava la rivincita. Allacciava relazioni con il  M5S , era una militante non troppo in vista ma di peso.. Ma  la correttezza e la coerenza  di militante avrebbe richiesto, lo pensiamo noi però , che da consulente avrebbe dovuto perlomeno  dissociarsi,  almeno dire io non sono d'accordo, "penso che stiate prendendo decisioni sbagliate .....". Niente di tutto questo: salvo lavorare per la sua rinascita,  che è giunta puntualmente con la vittoria della Raggi.
Allora ha buttato giù la maschera, ha smesso i panni che le stavano sicuramente un po' stretti della consulente per indossare quella dell'assessora. E che assessora? Una che conosce la macchina dal di dentro e magari finalmente si può togliere qualche soddisfazione. Peccato però che finora  le sue performance alquanto scarsine se non nulle   abbiano prodotto più danni che altro e non siano passate inosservate. Oltre ad inimicarsi i suoi ex colleghi,  con cui magari andava a prendere il caffè nelle pause , la città continua ad essere sommersa dalla monnezza, e i romani, che tutto gli puoi dire tranne che siano "fregnoni", cominciano a capire che la signora in questione se non ha le spalle coperte,   dà di sé un'immagine alquanto mediocre, non certo all'altezza che il ruolo  imporrebbe.
L'intervista, rilasciata ieri a Repubblica, che riportiamo ne è una viva testimonianza.
 
Domenico Fischetto

                                                                     Paola Muraro



Recensione film: SEGRETI DI FAMIGLIA regia di Johachim Trier


SEGRETI DI FAMIGLIA

Di Johachim Trier

Con Isabelle Hupert, Gabriel Byrne, Jesse Eisenbergh, Devid Druid, Amy Ryan, David Stratharin.

Produzione Francia, Danimarca, Norvegia del 2015

 




 

Louder than bombs, in orignale, è un film intrigante che tratta di varie tematiche all’interno della stessa famiglia. La madre Isabelle Reed, la sempre intensa Isabelle Hupert, è una nota e apprezzata fotografa di guerra che si divide tra la famiglia e il senso della sua missione in cui una foto dice più di mille parole a sostegno dei deboli che siano del Kosovo, dell’Afganistan o del Libano.

A questo proposito mi permetto un inciso. Il noto fotogiornalista della Magnum Paolo Pellegrin - di cui ho riconosciuto due foto - alla domanda “se una foto può cambiare la storia” ha risposto: «Io non credo di potere cambiare la testa a nessuno, e non è questo il compito che mi sento addosso… le fotografie entrano in un circuito sociale, cariche di informazioni e di emozioni, acquistano nel loro vagare anche una vita propria, possono incontrare persone e coscienze e far nascere qualcosa. Una fotografia non è un'ideologia che stravolge le menti, è un seme: se sposta qualcosa lo fa piano, crescendo dentro chi la guarda…».

La storia della morte di Isabelle a tre anni di distanza ritorna centrale all’interno della sua famiglia nel momento che una Galleria di New York organizza una grande retrospettiva e il “New York Times” pubblica un articolo su di lei mettendo in evidenza le ragioni della sua morte, presumibilmente, non accidentali. Il figlio Jhonah (Jesse Eisenbergh) è docente di sociologia all’Università di Providence nel Rhode Island, è appena diventato padre di una bella bambina ma sembra esserne più spaventato che contento.

L’altro figlio più piccolo Conrad (Devid Druid) nella sua difficile adolescenza non parla mai, scappa dai rapporti con il padre, si rifugia nei videogames, play-stations e realtà virtuali, e cerca disperatamente di stabilire timidamente un rapporto con una compagna di scuola. La stranezza dei suoi comportamenti fa dire al fratello Jhonah “mica finirai a fare una strage a scuola?”

In un’elegante casa Shingle Style nello Stato di New York, si assiste a un processo di crisi dei valori familiari. Tutto ruota attorno alla figura del padre Gene (un bravo Gabriel Byrne) ex attore che ha rinunciato al suo lavoro per occuparsi dei figli date le numerose assenze materne, sempre in prima linea. Sembrerebbe non azzeccarne una, come marito è pigro e noioso, con il figlio adolescente non riesce a parlare e finisce per pedinarlo dopo avergli sentito pronunciare l’ennesima bugia. Non solo, ma da un paio di anni ha una relazione (nascosta) con la Professoressa di Conrad (Amy Ryan) e, quando il figlio lo scopre casualmente, i loro rapporti diventano ancora più tesi.

Con la scusa di dover mettere ordine nelle ultime foto della madre, Jhonah torna nella casa di famiglia da solo lasciando moglie e bimba appena nata. Qui viene preso dai ricordi, anche quelli affettivi con una compagna del college. Jhonah traccheggia nei confronti del suo rientro e non riesce a decidere. Finalmente il padre riuscirà a prendere in mano la situazione, ad abbracciare il figlio adolescente e a riportare a casa l’adultero.

Storie di vita intense, più o meno banali, peccato che il tutto ci venga raccontato con un montaggio di vari flash-back di anni diversi che ho l’impressione abbiano il ruolo di complicare ulteriormente (apparentemente?) la storia. Il critico Roberto Manassero in cineforumweb rileva che Johachim Trier, mentre non riesce a essere convincente nel suo dispiego di media come comunicazione contemporanea, riesce a fare grande cinema nel mettere in scena frammenti poetici di intimità come ad esempio la timidezza di Conrad che lascia un suo manoscritto sulla veranda della compagna di scuola o i due fratelli che parlano di emozioni dopo anni, sulle gradinate del campo di allenamento, come si usava nei film fino agli inizi degli anni ’90.
Il regista norvegese con Louder than bombs realizza il suo primo film in lingua inglese, quattro anni dopo che il suo Oslo. 31 August aveva ottenuto una nomination agli Oscar come Migliore Film Straniero

Ghisi Grütter

29 luglio 2016

LA CAFONATA IRRESPONSABILE DEL CONCERTO AI FORI:PARLA LA REGINA

Abbiamo già scritto sull'inammissibile concerto al Foro Romano che si è tenuto il 26 luglio. Un evento voluto da una classe politica irresponsabile, autorizzato da un soprintendente prono ai desideri dei politici in cerca di visibilità. Avevamo rimpianto il vecchio soprintendente La Regina che con mano ferma aveva tutelato i beni archeologici di Roma per tanti anni.
Pubblichiamo l'intervista rilasciata al Tempo sull'argomento.

da http://www.iltempo.it/roma-capitale/2016/07/27/la-regina-sono-pazzi-installazione-criminosa-arrecheranno-sicuramente-danni-1.1562278

CONCERTO AI FORI

La Regina: "Sono pazzi, installazione criminosa"

Intervista all'ex soprintendente di Roma: "In questo modo arrecheranno sicuramente danni"



Adriano La Regina
«È una grande cafonata». Parla Adriano La Regina, archeologo e docente italiano, presidente dell’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte e soprintendente alle antichità di Roma dal 1976 al 2004 ed ex presidente del Parco dell’Appia Antica. È lui l’eroe che in molti rimpiangono alla guida dei beni archeologici di Roma. Strenuo sostenitore della necessità di tutela del ricco patrimonio e voce nettamente fuori dal coro. L’associazione delle guide turistiche la definiscono un’eroe.


Lei avrebbe permesso l’allestimento di un mega palco con tanto di 1400 posti a sedere nel cuore del Foro Romano?
«Ma siamo impazziti? Sicuramente sarei stato contrario. Non sono contrario a tenere eventi di carattere culturale all’interno di monumenti, non è questo il problema. A suo tempo autorizzai il concerto di Paul McCartney all’interno del Colosseo. Quindi non c’è una mia preclusione a priori. Occorre che si rispettino due condizioni imprescindibili. La prima: che non si arrechi danno al monumento, e questo mi pare anche abbastanza banale ma è bene ricordarlo sempre. La seconda: il monumento non deve essere sottratto ai suoi fruitori naturali che sono i turisti che vengono a Roma da tutto il mondo per conoscere, esaminare e vivere questi luoghi che tanto hanno conosciuto attraverso i libri e le immagini. E poi ovviamente non fare cose indegne come vedo attraverso alcune foto che girano su internet. Quello che sta avvenendo al Foro non rispetta nessuna di queste regole fondamentali, principi di comportamento e attenzione nei confronti del monumento e delle persone».


Crede che un’opera così invasiva in un’area protetta possa creare danni irreparabili?
«Sicuro. Installazioni così pesanti sulla piazza del Foro sono azioni criminose se si pensa che ai visitatori non è concesso di camminare sul lastricato del Foro. Lo devono guardare dal basolato che circonda la piazza perché questo contiene ancora dei segni di monumenti, trasformazioni, di cose che sono avvenute e sono tuttora al vaglio di esami e studi. Quindi è impensabile invadere così la zona. Se non si può camminare figuriamoci se è lecito installare un mega palco. È una cosa assurda. L’altro aspetto che è stato letteralmente calpestato è quello dei visitatori. Com’è possibile non rispettare chi fa viaggi di ore e ore per venire a Roma e poi si trova l’area completamente stravolta? Questi visitatori ricevono un danno, oltre al dispiacere, di non poter usufruire dell’area così come dovrebbe essere. Tutto questo è inaccettabile».


Il programma prevede una cena all’interno di Santa Maria Antiqua e un rinfresco nell’area delle Vestali. I camerini sono stati allestiti all’interno della Curia.
«Preferisco non soffermarmi su questi aspetti. Cene all’interno di Santa Maria Antiqua, drink nella casa delle Vestali? Sono cafonate inammissibili».


Cos’ha pensato vedendo i mezzi pesanti entrare in quest’area e operai dal trapano facile?
«Ho pensato che abbiamo una classe politica inconsapevole, per usare un eufemismo, del valore delle cose che sono a loro affidate. La cosa peggiore sono quegli ambienti accademici, quei studiosi che per trarre vantaggio personale si rendono proni all’adulazione, all’ossequio e al favorire qualunque richiesta che provenga dagli ambienti del potere. Perché il compito, il dovere, di chi consiglia è quello di tutelare l’interesse collettivo. La responsabilità non è solo della politica ma anche degli ambienti accademici che si sono asserviti».


Cosa vorrebbe dire a chi ha concesso e permesso un simile scempio? Il concedere spazi così facilmente può portarci ad un punto di non ritorno?
«Io non do consigli a nessuno. Posso dire quello che penso a proposito di queste cose. Occorre essere consapevoli e rispettare i propri compiti, senza distrazioni. Questa è la politica del consumo: il bene culturale non deve essere conservato ma consumato per trarne lucro. Lucro sia in solido che in consenso politico e poi chi se ne importa di quello che avviene. Il criterio vigente è quello dell’usa e getta che si ponte in contraddizione di quella che è stata la nostra tradizione italiana di studio, conservazione e valorizzazione. La valorizzazione comporta una corretta conservazione. I beni si valorizzano con l’istruzione e non con il lucro».

29 LUGLIO 2016:LA FINE DEL MONDO

Il mondo finirà il 29 luglio 2016, secondo una nuova teoria cospirativa

La fine del mondo avverrà il 29 luglio. Ecco tutti i dettagli su questa nuova teoria apocalittica imminente

La fine del mondo questa volta è prevista per gli ultimi giorni del mese di luglio. Si tratta di una nuova teoria cospirativa lanciata dalla End Times Prophecy, un’associazione cattolica. Essi hanno utilizzato Youtube per lanciare l’allarme, inserendo alcuni versi della Bibbia secondo i quali, a loro detta, annunciano l’apocalisse per il 29 luglio. Un po’ come la recente “bufala” dell’asteroide in collisione con la Terra.
Secondo la End Times Prophecy, la fine del mondo del 29 luglio sarà segnata dall’inversione dei poli e un arrabbiato Gesù Cristo che scenderà sulla Terra dopo ben 2000 anni. Sembra siano previsti continui e disastrosi terremoti, la caduta delle stelle dal cielo e l’abbattimento dell’atmosfera. Alla fine, prima del Giudizio Universale, il Messia dovrà scontrarsi con un anticristo islamico. Sulla pagina Facebook è persino possibile inviare donazioni in denaro per aiutarlo, chissà come, in quest’impresa.
Sono state numerose le profezie catastrofiche degli ultimi anni, ma questa lascia particolarmente perplessi i credenti. Forse perché ricavata da quella che è stata definita un’attenta analisi del maggior libro del Cristianesimo. Per convincere gli atei della veridicità dell’apocalisse del 29 luglio, i video sono stati creati come delle vere e proprie news da telegiornale. Nei video montaggi viene mostrato Gesù in groppa a un cavallo volante e seguito da un esercito.
Secondo la voce narrante, coloro ritenuti degni diverranno immortali e seguiranno il Messia nella battaglia finale. L’esercito arriverà dal cielo e scenderà a Gerusalemme spezzando a metà l’altopiano su cui è situata. Egli, in groppa a dei cavalli bianchissimi, marcerà fino a far tremare il cielo. Quando Gerusalemme e l’anticristo saranno stati sconfitti, avverrà quindi il Giudizio Universale che salverà i veri credenti.
Se dovessimo sopravvivere alla fine del mondo del 29 luglio, la prossima data dell’apocalisse è prevista per il 2035, secondo il Movimento religioso raeliano. Più preoccupante, tuttavia, è la profezia del WWF. Secondo la famosa organizzazione ambientalista, nel 2050 il pianeta esaurirà le risorse necessarie alla sopravvivenza e l’effetto serra sarà ingestibile. Per tenersi aggiornati sulla teoria apocalittica più vicina, è possibile seguire la pagina ufficiale della End of Times Prophecy. La fine del mondo è in arrivo?
Fonte: Wikimedia Commons

28 luglio 2016

LA QUESTIONE MORALE:INTERVISTA A BERLINGUER

Un anniversario inutile? 35 anni fa la questione morale

28Lug
La questione morale venne ufficialmente alla luce in tutta la sua spietata realtà 35 anni fa, in questa storica denuncia di Enrico Berlinguer nell’intervista a Eugenio Scalfari. Apparirà banale, ma la domanda è sempre la stessa: cosa è cambiato da allora?
Per tutti coloro che sono ancora in attesa e non si rassegnano e soprattutto per chi non c’era, affinché non si perdano le speranze e non si affievolisca mai l’impegno di ciascuno per un’Italia migliore.             
Berlinguer1“La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche.”
Un sentito grazie al sito dedicato a Enrico Berlinguer  che conserva il testo originale dell’intervista.

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I Partiti sono diventati macchine di potere

di Eugenio Scalfari
La Repubblica, 28 luglio 1981                                

“I partiti non fanno più politica“, mi dice Enrico Berlinguer, ed ha una piega amara sulla bocca e, nella voce, come un velo di rimpianto.
“Politica si faceva nel ‘ 45, nel ‘ 48 e ancora negli anni Cinquanta e sin verso la fine degli anni Sessanta. Grandi dibattiti, grandi scontri di idee, certo, scontri di interessi corposi, ma illuminati da prospettive chiare, anche se diverse, e dal proposito di assicurare il bene comune. Che passione c’era allora, quanto entusiasmo, quante rabbie sacrosante! Soprattutto c’era lo sforzo di capire la realtà del paese e di interpretarla. E tra avversari ci si stimava. De Gasperi stimava Togliatti e Nenni e, al di là delle asprezze polemiche, ne era ricambiato.”
Oggi non è più così?Direi proprio di no: i partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia.

La passione è finita? La stima reciproca è caduta?
Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora…
Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.
È quello che io penso.
Per quale motivo?
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c’è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.
E secondo lei non corrisponde alla situazione?
Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo. Allora delle due l’una: o gli italiani hanno, come si suol dire, la classe dirigente che si meritano, oppure preferiscono questo stato di cose degradato all’ipotesi di vedere un partito comunista insediato al governo e ai vertici del potere. Che cosa è dunque che vi rende così estranei o temibili agli occhi della maggioranza degli italiani?La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel ’74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell’81 per l’aborto, gli italiani hanno fornito l’immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane. Non nego che, alla lunga, gli effetti del voto referendario sulla legge 194 si potranno avvertire anche alle elezioni politiche. Ma è un processo assai più lento, proprio per le ragioni strutturali che ho indicato prima.                                        
C’è dunque una sorta di schizofrenia nell’elettore.Se vuole la chiami così. In Sicilia, per l’aborto, quasi il 70 per cento ha votato “no”: ma, poche settimane dopo, il 42 per cento ha votato Dc. Del resto, prendiamo il caso della legge sull’aborto: in quell’occasione, a parte le dichiarazioni ufficiali dei vari partiti, chi si è veramente impegnato nella battaglia e chi ha più lavorato per il “no” sono state le donne, tutte le donne, e i comunisti. Dall’altra parte della barricata, il Movimento per la vita e certe parti della gerarchia ecclesiastica. Gli altri partiti hanno dato, sì, le loro indicazioni di voto, ma durante la campagna referendaria non li abbiamo neppure visti, a cominciare dalla Dc. E la spiegazione sta in quello che dicevo prima: sono macchine di potere che si muovono soltanto quando è in gioco il potere: seggi in comune, seggi in parlamento, governo centrale e governi locali, ministeri, sotto-segretariati, assessorati, banche, enti. se no, non si muovono. Quand’anche lo volessero, così come i partiti sono diventati oggi, non ne avrebbero più la capacità.
Veniamo all’altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.
In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l’andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito “diverso” dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità. 
Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d’infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C’è da averne paura?
Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all’equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?
Mi pare che incuta paura a chi ha degenerato. Ma vi si può obiettare: voi non avete avuto l’occasione di provare la vostra onestà politica, perché al potere non ci siete mai arrivati. Chi ci dice che, in condizioni analoghe a quelle degli altri, non vi comportereste allo stesso modo?
Lei vuol dirmi che l’occasione fa l’uomo ladro. Ma c’è un fatto sul quale l’invito a riflettere: a noi hanno fatto ponti d’oro, la Dc e gli altri partiti, perché abbandonassimo questa posizione d’intransigenza e di coerenza morale e politica. Ai tempi della maggioranza di solidarietà nazionale ci hanno scongiurato in tutti i modi di fornire i nostri uomini per banche, enti, poltrone di sottogoverno, per partecipare anche noi al banchetto. Abbiamo sempre risposto di no. Se l’occasione fa l’uomo ladro, debbo dirle che le nostre occasioni le abbiamo avute anche noi, ma ladri non siamo diventati. Se avessimo voluto venderci, se avessimo voluto integrarci nel sistema di potere imperniato sulla Dc e al quale partecipano gli altri partiti della pregiudiziale anticomunista, avremmo potuto farlo; ma la nostra risposta è stata no. E ad un certo punto ce ne siamo andati sbattendo la porta, quando abbiamo capito che rimanere, anche senza compromissioni nostre, poteva significare tener bordone alle malefatte altrui, e concorrere anche noi a far danno al Paese.                                                                             
Veniamo alla seconda diversità.
Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.
Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.
Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant’anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi. 
Non voi soltanto.
È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell’economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l’iniziativa individuale sia insostituibile, che l’impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell’attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?
Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un’offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.
Beh, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s’intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l’occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.
Noi abbiamo messo al centro della nostra politica non solo gli interessi della classe operaia propriamente detta e delle masse lavoratrici in generale, ma anche quelli degli strati emarginati della società, a cominciare dalle donne, dai giovani, dagli anziani. Per risolvere tali problemi non bastano più il riformismo e l’assistenzialismo: ci vuole un profondo rinnovamento di indirizzi e di assetto del sistema. Questa è la linea oggettiva di tendenza e questa è la nostra politica, il nostro impegno. Del resto, la socialdemocrazia svedese si muove anch’essa su questa linea: e quasi metà della socialdemocrazia tedesca (soprattutto le donne e i giovani) è anch’essa ormai dello stesso avviso. Mitterrand ha vinto su un programma per certi aspetti analogo.
                                                  
Vede che non ha ragione di alterarsi se dico che tra voi e un serio partito socialista non ci sono grandi differenze.
Non mi altero affatto. basta intendersi sull’aggettivo serio, che per noi significa comprendere e approfondire le ragioni storiche, ideali e politiche per le quali siamo giunti a elaborare e a perseguire la strategia dell’eurocomunismo (o terza via, come la chiamano anche i socialisti francesi), che è il terreno sul quale può aversi un avvicinamento e una collaborazione tra le posizioni dei socialisti e dei comunisti.
Dunque, siete un partito socialista serio…
…nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo…
Però, alle elezioni del 21 giugno, i socialisti di Craxi sono andati parecchio meglio di voi. Come se lo spiega?
I socialisti hanno certamente colto alcune esigenze nuove che affiorano nel paese. In modi non sempre chiari, ma comunque percettibili, stanno mandando segnali a strati di borghesia e anche di alta borghesia. La crisi profonda che ha investito la Dc non è senza riflessi sull’incremento del Psi, nonché dei socialdemocratici, dei liberali, dei repubblicani. C’è stanchezza verso la Dc e il desiderio diffuso di cambiamento. Il 21 giugno, il grosso dei voti che sono defluiti dalla Dc si è trasferito nell’area laica e socialista. Per ora è stato così.
Lo giudica un fenomeno positivo?
Complessivamente, sì, dato che si accompagna ad un calo dei fascisti del Msi e a una conferma della nostra ripresa rispetto al ’79.
Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?
No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c’è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.
Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c’è o no?
Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c’è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e senza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.                                          
Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche.               
Le cause politiche che hanno provocato questo sfascio morale: me ne dica una.
Le dico quella che, secondo me, è la causa prima e decisiva: la discriminazione contro di noi.
Non le sembra eccessivo Signor Segretario? Tutto nasce dal fatto che non siete stati ammessi al governo del Paese?
Vorrei essere capito bene. Non dico che tutto nasca dal fatto che noi non siamo stati ammessi nel governo, quasi che, col nostro ingresso, di colpo si entrerebbe nell’Età dell’ Oro (del resto noi non abbiamo mai chiesto l’elemosina d’esser “ammessi”). Dico che col nostro ingresso si pone fine ad una stortura e una amputazione della nostra democrazia, della vita dello Stato; dico che verrebbe a cessare il fatto che per trentacinque anni un terzo degli italiani è stato discriminato per ragioni politiche, che non è mai stato rappresentato nel governo, che il sistema politico è stato bloccato, che non c’ è stato alcun ricambio della classe dirigente, alcuna alternativa di metodi e di programmi. Il gioco è stato artificialmente ristretto al 60 per cento degli elettori; ma è chiaro che, con un gioco limitato al 60 per cento della rappresentanza parlamentare, i socialisti si vengono a trovare in una posizione chiave.
Questo le dispiace?
Mi sembra un gioco truccato, oltre al fatto che bisogna vedere come il Psi sta usando questa posizione chiave di cui gode anche grazie alla nostra esclusione. Per esempio, potrebbe usarla proprio per rimuovere la pregiudiziale contro di noi. A quel punto le possibilità di ricambio, cioè di una reale alternativa (e nel suo ambito, anche di un’alternanza) sarebbero possibili, sarebbero a vantaggio generale e, a me sembra, a vantaggio dello stesso Psi, in quanto partito che ha anch’esso una sua insostituibile nel rinnovamento del Paese. Oppure i socialisti possono seguitare a usare la loro posizione per accrescere il potere del loro partito nella spartizione e nella lottizzazione dello Stato. E allora la situazione italiana non può che degradare sempre di più. 
Dica la verità, signor segretario: lei ritiene che i socialisti stiano seguendo piuttosto questa seconda via, non la prima.
Ebbene, non sono io che la penso così, sono i fatti a dircelo. Nel ’77 i socialisti si impegnarono a rimuovere la pregiudiziale democristiana contro di noi. Nel ’78 ripeterono l’impegno, ma al primo veto della Dc l’accettarono come un dato immutabile. Badi bene: non dico che dovevano farlo per i nostri begli occhi. Ma se il problema di fondo della democrazia italiana è, come anche essi riconoscono, la mancanza di un ricambio di classe dirigente, capace di avviare un rinnovamento reale e profondo, dovevano farlo per se stessi e per il Paese. Nell’ 80, poi, hanno addirittura capovolto la loro linea e, da una timida richiesta di far cadere le pregiudiziali anticomuniste, sono passati all’ alleanza con la destra democristiana, quella del ‘ preambolo’ cioè della più ottusa discriminazione contro di noi e della divisione del movimento operaio. I socialisti pensano di crescere in fretta al riparo di una linea come quella del “preambolo”. Io non credo che sarà così. Ma poi quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.
 Craxi sostiene che il problema, prima ancora del ricambio della classe dirigente e di governo, è quello di un mutamento dei rapporti di forza a sinistra, tra socialisti e comunisti. Craxi dice: datemi forza, più forza; fate arrivare il Psi al 18, al 20 per cento. Allora, insieme ai socialdemocratici, l’area socialista e quella comunista saranno più o meno equivalenti, e allora sarà possibile anche allearsi con il Pci, perché allora saremmo noi socialisti a condurre il gioco e a garantirne le regole. Craxi si richiama all’esempio di Mitterrand, che ha vinto perché è diventato più forte dei comunisti. Credo sia questo il suo obiettivo. A quel punto sarà pronto ad allearsi con voi, ma non prima.
Sì, lo so che nel partito socialista c’è chi pensa in questo modo. ma, poiché è stato tirato in ballo Mitterrand, voglio farle osservare che mitterrand entrò nella Sfio, il vecchio partito socialdemocratico francese, quando la Sfio era ridotta al 6 per cento di voti, mentre il partito comunista francese stava sopra al 20. Ebbene, Mitterrand trasformò la Sfio, spazzò via la vecchia burocrazia d’apparato, aprì ai club, al sindacato, ai cattolici; ma soprattutto, cercò subito una linea unitaria a sinistra col partito comunista francese, sebbene il Pcf fosse un partito, diciamolo, alquanto diverso dal nostro.
Mitterrand non ha aspettato d’essere più forte del Pcf per ricercarne l’alleanza. In queste ultime elezioni presidenziali, durante il dibattito televisivo con Giscard, Mitterrand disse: io non escluderò mai dal governo la classe operaia francese e un partito, come il Pcf, che ne rappresenta una parte. L’ha detto e l’ha anche fatto. E ha risposto agli americani con la dignità che conosciamo. Io dico che forse proprio per questo la forza socialista francese è cresciuta fino a diventare maggioritaria nella sinistra.
    
La posizione di Mitterrand è stata anche una posizione obbligata. Obbligata dal sistema costituzionale ed elettorale francese.
Ma no, non è affatto vero. C’è stato Rocard che ancora poco tempo fa proponeva una linea del tutto diversa: proponeva una specie di centro-sinistra, l’alleanza con una parte dei centristi giscardiani. Il partito socialista francese ha vinto sulla linea di Mitterrand, non su quella di Rocard.
Onorevole Berlinguer, vorrei che adesso lei mi parlasse dello stato del suo partito. C’è una perdita di velocità? Una perdita di influenza?
Direi che abbiamo girato la boa e siamo di nuovo in ripresa. Sinceramente: dopo le politiche del ’79 rischiammo una sconfitta che poteva metterci in ginocchio. Non tanto per la perdita di voti, che pure fu grave,  quanto per un altro fatto: durante i governi di unità nazionale noi avevamo perso il rapporto diretto e continuo con le masse. Quei governi feceero anche cose pregevoli, che non rinneghiamo. Contennero l’inflazione, in politica estera presero qualche buona iniziativa, la lotta contro il terrorismo fu condotta con fermezza e dette anche risultati. Poi ci fu un’inversione di tendenza e gli accordi con noi furono violati. Ma sta di fatto che noi, anche per nostri errori di verticismo, di burocratismo e di opportunismo, vedemmo indebolirsi il nostro rapporto con le masse nel corso dell’esperienza delle larghe maggioranze di solidarietà. Ce ne siamo resi conto in tempo. Posso assicurarle che un’esperienza del genere noi non la ripeteremo mai più.
La rottura della maggioranza di unità nazionale provocò contrasti nel gruppo dirigente del partito?
Ci furono diverse opinioni e il dibattito durò a lungo.
Più tardi, pochi mesi fa, avete lanciato la linea dell’alternativa democratica. Posso ricordarle, signor segretario, che lei e il gruppo dirigente del suo partito eravate stati tenacemente contrari ad ogni discorso di alternativa, fino a quando non vi siete improvvisamente “convertiti”. Come mai?
C’è stato forse un certo ritardo. Ma ricordo che già da tempo noi definivamo l’obiettivo dell’alternativa come alternativa democratica per distinguerlo da quello di una secca alternativa di sinistra, per la quale non esistono tuttora le condizioni. Posso aggiungerle che avevamo anche puntato sulla possibilità che la Dc potesse davvero rinnovarsi e modificarsi, cambiare metodi e politica, decidersi a porsi all’altezza dei problemi veri del paese. Non ho difficoltà a dire che su questo punto abbiamo sbagliato, o meglio che i mezzi usati non conseguivano lo scopo. Quando ce ne siamo resi conto, abbiamo messo la Dc con le spalle al muro, cioè abbiamo detto che una simile Dc era incapace di dirigere l’opera di risanamento e di rinnovamento necessaria, e che si facesse da parte. L’alternativa democratica è per noi uno strumento che può servire anche a rinnovare i partiti, compresa la Dc. 
Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d’accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l’inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell’obiettivo. È anche lei del medesimo parere?Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L’inflazione è -se vogliamo- l’altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l’una e contro l’altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l’inflazione si debba pagare il prezzo d’una recessione massiccia e d’una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.
Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell’ “austerità”. Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito…Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industrializzati -di fronte all’aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all’avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la “civiltà dei consumi”, con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell’austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell’economia, ma che l’insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l’avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell’austerità e della contemporanea lotta all’inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati.
E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?Il costo del lavoro va anch’esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell’aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l’operazione non può riuscire.

LA MONNEZZA DI ROMA:PARLA IGNAZIO MARINO

Dal sito dell'ex Sindaco Ignazio Marino riprendiamo questo suo commento alle vicende drammatiche legate alla monnezza di Roma. Come persona informata sui fatti, è importante conoscere il suo punto di vista.

La "monnezza" di Roma: interessi, affari, e anche mafia



27luglio2016
 
In una intercettazione di qualche mese fa alcuni parlando di AMA,  l’azienda per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti di Roma, affermano: fuori uno adesso tocca al secondo. Di chi parlano? Del Direttore Generale Alessandro Filippi, rapidamente allontanato dopo la conclusione dell’amministrazione Marino e del Presidente Daniele Fortini. Gli uomini ai quali, per la loro preparazione e professionalità, mi affidai dopo la chiusura della discarica di Malagrotta. Chi pronunciò quelle parole doveva saperla lunga, perchè l’ing. Filippi ha lasciato l’azienda nella primavera 2016 e il Presidente Fortini nell’estate 2016. C’è da festeggiare: si torna al passato!
E’ di poche ore fa l’ultima notizia positiva per Roma legata al lavoro di questi due straordinari professionisti che decisero, tra l’altro, di interrompere l’affidamento del lavoro di spostamento dei rifiuti all’interno degli impianti ad alcuni privati che adesso sono stati arrestati con l’accusa, da provare ovviamente, di appartenere a famiglie mafiose.
Al momento del mio insediamento Roma pagava i privati persino per lo smaltimento di un bene prezioso come la carta: 140.000 tonnellate all’anno venivano cedute ai privati e Roma pagava loro (oltre a regalargli la carta) 15 euro a tonnellata. Grazie al lavoro di Fortini e Filippi oggi per le 140.000 tonnellate di carta da smaltire Roma non paga e anzi riceve 25 euro a tonnellata. E’ bastato fare una gara.
Sino a pochi mesi fa un impianto privato di separazione dei rifiuti indifferenziati fruttava ai suoi proprietari circa 175.000 euro al giorno di denaro delle tasse dei cittadini. Rendendo più efficienti gli impianti pubblici quell’impianto privato è stato fermato. E oggi si risparmiano decine di migliaia di euro al giorno dei romani.
Tra poco Roma, grazie a questi e altri risparmi, che superano i 40 milioni di euro, avrà oltre 20.000 cassonetti nuovi e le tasse per i cittadini sono scese quasi del 5%.
Ma c’è chi lavora perchè tutto torni come prima: qualcuno l’ha persino auspicato in campagna elettorale (“Roma torna Roma”) e allora forse vedremo anche tornare a sorridere coloro che si erano affezionati alle migliaia di gabbiani che sorvolavano i rifiuti in decomposizione sui duecentoquaranta ettari di Malagrotta.    

27 luglio 2016

MONNEZZA A ROMA:PARLA ORFINI

Si vede che Matteo Orfini , Presidente del Partito Democratico, non ce la faceva più a tenere la bocca cucita su un argomento scottante come la monnezza a Roma. Ci fa piacere pubblicare il suo intervento che almeno ci fornisce maggiore informazione su un argomento che purtroppo i romani sentono sulla loro pelle.
Date le premesse , ne vedremo delle belle.

Ora vi racconto una storia.
A Roma c'è l'emergenza rifiuti. Non è la prima volta. Le ragioni sono molte, ma in questo caso il problema è chiaro e non è nuovo. I... camion dell'Ama arrivano al Tmb di Malagrotta, impianto di Colari (cioè Cerroni) e restano fuori. Perché non vengono fatti entrare? Sono troppi per essere trattati adeguatamente, direte voi.
E invece non è così. La ragione è che la società adduce difficoltà logistiche. Così i camion restano lì, saltano i turni e nella città si accumulano rifiuti. Non è la prima volta che accade, come dicevo. In questi casi l'amministrazione chiede alla prefettura di intervenire per far smaltire senza intoppi "logistici" i rifiuti, intervenendo su chi gestisce l'impianto (Colari).
L'amministrazione Raggi fa una scelta diversa. Il neo assessore Muraro si presenta come un'invasata all'Ama e in diretta streaming chiede ai vertici dell'azienda di risolvere attivando il tritovagliatore di Rocca Cencia.
Si potrebbe far notare che il movimento 5 stelle ha fino a ieri fatto battaglie durissime contro la gestione del ciclo dei rifiuti a Rocca Cencia, ma per un momento lasciamo stare la polemica.
Il fatto grave è che il tritovagliatore costa, non risolve perché comunque i rifiuti andranno poi portati in un Tmb. E non si capisce perché un assessore invece di chiedere che la prefettura estenda gli orari previsti per il conferimento dei rifiuti così da superare gli intoppi logistici, si inventa una soluzione non conveniente e impone all'Ama di metterla in pratica.
Vi do qualche indizio.
Primo indizio: Il tritovagliatore è di proprietà di Colari (anche se ceduto in affitto). Come il Tmb di Malagrotta. Se il Tmb di Colari rallenta, il tritovagliatore di Colari risolve. E i cittadini pagano.
Secondo indizio: Colari (cioè Cerroni) è la società con cui la allora non ancora nominata neo assessore e Vignaroli - deputato grillino - si incontrarono in segreto (altro che streaming).
Convocando a quell'incontro i vertici Ama, senza alcun titolo per farlo. Con l'aggravante che Vignaroli è vice presidente di una commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e quindi dovrebbe tenersi mille miglia lontano da riunioni operative con i soggetti su cui dovrebbe vigilare.
Ora forse abbiamo capito meglio le ragioni di quell'incontro e il quadro che emerge è ancora più allarmante.
Onestamente ho dei dubbi che il comportamento dell'assessore sia corretto. L'obiezione dei vertici Ama che per affidare a quello specifico impianto il trattamento dei rifiuti servirebbe una gara mi pare abbastanza sensata.
Ma la cosa che davvero fa impressione è questa commistione impropria tra interessi privati, amministrazione e parlamentari grillini.
È tutto molto poco chiaro e per niente trasparente.
Non so quanto Virginia Raggi sia consapevole di quello che fanno i suoi collaboratori. Su questi temi non ha speso una parola. Oggi si è solo limitata a rivendicare l'assunzione delle maestre come primo risultato della sua amministrazione, ignorando che quel risultato è dovuto a un atto del governo a cui i grillini si sono opposti in parlamento. Fossi in lei lascerei stare la cattiva propaganda e cotrollerei meglio come i suoi assessori gestiscono i dossier più delicati. Perché stanno accadendo cose davvero inquietanti.

Matteo Orfini

A PROPOSITO DEI POKEMON


A proposito della moda dei Pokemon, assurti ad un livello tale da essere persino citati a sproposito) dal nostro Presidente Mattarella, tanto per fare il giovane, leggetevi questo gustoso articolo, in francese.

da http://pie-maskoutaine.com/articles.php?id=81

Pokémon GO :  Le symptôme d’une société handicapée mentale

Publié le 2016-07-25 08:23:41 par Marc-André Noiseux
Nous vivons une ère de régression intellectuelle sans précédent partout sur la planète. Des gens se tirent dessus à coup de fusils dans les WAL MART presque à chaque BLACK FRIDAY, d’autres veulent imposer leur maudite religion à toute la planète. L’humanité part littéralement en sucette. Toutes les tares de nos sociétés semblent s’exacerber à un niveau jamais vu depuis des siècles. Je me pose souvent la question suivante :
« Est-ce qu’on va atteindre le stade où l’humain deviendra incapable de supporter la technologie qu’il a jadis inventée ? Est-ce que le scénario du film IDIOCRACY est en train de se réaliser sous nos yeux et dans une déconcertante absence de réaction ? »



L’enjeu qui nous rassemble, ce n’est plus de découvrir un remède au SIDA, d’éliminer la pollution, de sortir les milliers d’itinérants de la rue, ce n’est plus de créer des cellules solaires efficaces à 90% et palier aux sécheresses meurtrières en Afrique, c’est de retrouver une version virtuelle inusitée de Pikachu dans un trou à 150 kilomètres de notre lieu de vie pendant que notre grand-mère s’ébouillante 2 fois par semaines dans un foyer pour personnes âgées.

Je regardais ces gens complètement hystériques à la télévision, bloquant une rue pour chercher un Pokémon et je me suis demandé si un jour, l’ennemi mondial numéro un ne serait plus l’État Islamique mais un personnage virtuel rare de Pokémon GO qui lance des bananes et tue tous les Télétubies virtuels. À mon avis, c’est le scénario de Terminator qui devient de plus en plus réaliste. Imaginez si en 2024, le serveur de données gérant le jeu Pokémon GO réalisait que l’humain est devenu taré et décidait de guérir la planète en faisant exploser toutes les tablettes reliées à un réseau ?



Nos technologies sont en train de nous rendre zombies,  de faire de nous des handicapés mentaux. Je suis né avec certaines différences issues d’un trouble ASPIE et ce qui m’étonne depuis quelques temps, c’est que pendant que moi je tente de m’adapter aux humains moyens et m’ouvrir aux autres, la majorité de mes semblables semblent favoriser l’autisme et tout faire pour s’isoler socialement. Les seules raisons de se rassembler sont pratiquement toutes des causes qui n’ont aucun maudit impact sur notre évolution.

J’ai peur pour nos générations d'adultes à venir qui ne s’intéresseront plus à la politique ni à leur histoire mais à s’acheter un personnage virtuel d’émission pour enfants qui transforme les pissenlits en sourires et qui éjacule des arc-en-ciels.

Si je faisais partie d’une race extraterrestre désireuse de prendre possession de la terre, je me ferais passer pour un personnage de Pokémon GO et j’offrirais des crédits gratuits pour le jeu Candy Crush dans le but d’accéder à toutes les données confidentielles des gens et localiser leur position. J’irais ensuite leur implanter des poupées vaudous extraterrestres dans l’anus pour les contrôler à distance et en faire des esclaves. Nous ne mériterions pas mieux.

J’espère que «  l’élite intellectuelle » est préoccupée en ce moment.


Marc-André Noiseux


[ Vous êtes un usager de Pokémon Go et vous sentez lésé par cette publication teintée de sarcasme acide ? Vous ressentez le besoin de me traiter de «  mangeux de marde » ? Imaginez le sans-abri qui vous regarde tous vous activer pour trouver une figurine virtuelle dans un dépotoir à vidanges alors que vous levez les yeux sur eux tous les jours dans LES RUES PROPRES DE VOTRE VILLE. J’imagine qu’eux aussi se sentent lésés par vous alors prenez votre gaz égal au lieu de venir  «  incendier mon compte Facebook ». Je trouve pathétique l'ampleur que prend ce jeu et j’en ai encore le droit… du moins d’ici à ce que Justin Trudeau et Philippe Couillard proposent des motions Pokémon ‘o’ phobes pour se téter des votes faciles et nous empêcher de s’exprimer. ]


Date : 2016-07-25 08:23:41

OLIMPIADI DI RIO, TRA RISCHI E SCENARI

L'allarme terrorismo attraversa l'Europa e arriva sino in Sudamerica, alla vigilia dell'inizio delle Olimpiadi di Rio de Janeiro: alcuni brasiliani arrestati e attenzione alta sui Giochi. Nel Vecchio continente, oltre la Francia colpita ancora ieri da un attacco terroristico, anche la Germania si scopre nel mirino: tre attacchi in una settimana hanno messo a nudo l'imprevedibilità delle minacce, mentre Berlino potenzia la macchina della difesa. Insomma tutti mobilitati contro un nemico invisibile ed imprevedibile.

DA http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3558

Sicurezza e minaccia terroristica
Olimpiadi di Rio, tra rischi e scenari
Diego Bolchini
25/07/2016
 
Lo spettro di nuovi attentati terroristici firmati dall’autoproclamatosi “stato islamico”- già richiamato dall’Europol in relazione agli europei di calcio svoltisi gli scorsi mesi di giugno e luglio in Francia – potrebbe tornare ad aleggiare in occasione delle ormai prossime Olimpiadi di Rio de Janeiro.

I numeri che ruotano attorno all’evento sono oggettivamente rilevanti: sono attese circa 300 mila persone tra turisti, spettatori e team di atleti internazionali, controbilanciate da un contestuale dispiegamento di circa 80.000 agenti di polizia, forze armate ed operatori di sicurezza.

Una ipotesi di rischio attentati è data come possibile da diversi osservatori, ma non ovviamente sostanziabile quanto a eventuali target e modalità di azione su suolo brasiliano. I margini di imprevedibilità sono elevatissimi, come gli eventi di Dacca del 1̊ luglio e di Nizza del 14 luglio e di Monaco del 22 luglio hanno tristemente dimostrato.

I fattori di rischio sociale per la propaganda di Isis
Alcuni fattori di rischio precursori e facilitanti sono stati individuati dall’Abin (Agencia Brasileira de Inteligencia), ovvero il servizio intelligence federale brasiliano e veicolati ai media.

In un contesto socio-economico fortemente degradato rispetto a 10 anni fa (con un Pil contrattosi del 7% negli ultimi due anni), richiami radicalizzanti nel Paese verde-oro potrebbero attecchire più facilmente in individui appartenenti alle fasce sociali più indigenti, facendosi strada in aree a devianza criminale endogena (favelas, criminalità comune, narcotraffico, tifoseria violenta). Il timore è quello di una islamizzazione di micro-contesti, catalizzando i disagi e gli squilibri sociali.

Sotto questa prospettiva, gli arresti operati dalla polizia federale brasiliana nel mese di luglio nei confronti di una sedicente cellula jihadista brasiliana avrebbero evidenziato l’esistenza di una retorica jihadista già annidata in alcuni circuiti web locali.

Non va inoltre dimenticata l’esistenza di diversi milioni di brasiliani di ascendenza araba, principalmente di origine libanese e siriana (ed in quota minoritaria maghrebina, egiziana, giordana ed irachena). Giunti nel Paese sin dalla metà dell’Ottocento, sono oggi per la gran parte di cittadini di terza o quarta generazione, generalmente ben integrati, dei quali solo poche migliaia arabo-parlanti e di fede musulmana.

Elementi di mitigazione del rischio
Di contro, c’è da dire che il Brasile non è certo un Paese politicamente esposto o inviso di per sé agli occhi dell’estremismo jihadista. Nel 2014 l’ex ministro degli Esteri brasiliano, Luiz Alberto Figueiredo, aveva addirittura ribadito la contrarietà brasiliana all’effettuazione di raid aerei contro lo “stato islamico” in assenza di una legittimazione forte dell’Onu.

La distanza geografica dai centri di interesse del “Califfato” è inoltre notevole e storicamente il Brasile non ha subito episodi di terrorismo di matrice jihadista.

Altro elemento di mitigazione del rischio su cui riflettere è che in Brasile, a differenza dell’Europa e delle sue periferie urbane, la gran parte degli arabo-brasiliani è di religione cattolica e, soprattutto, parte attiva della vita economica locale. Ciò in virtù nei processi integrativi di lungo corso esercitati nel tempo sulle diaspore libanesi e siriane in Brasile, oggi per lo più dinamici rappresentanti dell’imprenditoria e del mondo degli affari locali.

Vi è infine da osservare come la cultura di vita brasiliana - intesa come liberalità di agire e di costumi - sia per molti versi incompatibile con i precetti oscurantisti dell’islamismo più radicale.

Tra opportunità mediatiche e modelli di minaccia
I terroristi cercano di massimizzare il danno prodotto, secondo differenti metriche del danno e della perdita: numero di vittime, distruzione materiale, economica o simbolica. Secondo un principio di visibilità mediatica, le Olimpiadi di Rio potrebbe essere un target di opportunità sostanzioso, caratterizzando la città carioca in senso narrativo-manipolativo come “lasciva e corruttrice”.

Nella selezione degli obiettivi da colpire, inoltre, quasi sempre le grandi città metropolitane - come Bali (2002), Casablanca (2003), Madrid (2004), Londra (2005), Mumbai (2008), Boston (2013), Parigi (2015), Ankara (2016), Bruxelles (2016) o Dacca (2016) per citare casi di eventi associati al jihadismo islamico - sono state ritenute dai terroristi appetibili nelle Nazioni -bersaglio individuate.

Detto quanto sopra dei luoghi e dei possibili scenari rappresentativi per lo “stato islamico”, un’analisi strutturale dei network terroristici porta a enunciare il seguente principio generale: maggiore è il numero di componenti della cellula, maggiore è la probabilità che la stessa venga intercettata dalle forze di sicurezza.

Nel caso di una radicalizzazione improvvisa o di una azione condotta su base isolata, come potrebbe essere il caso di un ipotetico lupo solitario brasiliano, appare molto più difficile un’opera di prevenzione e monitoraggio.

In definitiva, un attentato terroristico appartiene ad una classe di eventi del tutto peculiare, basata certo su singole, caotiche e talvolta contraddittorie volontà umane, ma possibilmente da inquadrare anche all’interno di principi tendenzialmente lineari.In questo contesto, massima attenzione andrà esercitata dagli apparati di sicurezza affinché i colori del carnevale olimpico restino immacolati, preservando i valori ecumenici sottesi all’evento a cinque cerchi.

Diego Bolchini è analista di relazioni identitarie, autore di contributi per diverse riviste specializzate nei settori afferenti geopolitica, sicurezza e difesa.

BANDO PER LA RIQUALIFICAZIONE URBANA: APPELLO PER UNA PROROGA DEI TERMINI

Coordinamento Periferie Roma                              Osservatorio Pubblica Amministrazione               
 
 
CONFERENZA STAMPA
 
APPELLO AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO MATTEO RENZI:
Ripristini le pari opportunità per tutte le periferie italiane
 
Le periferie delle città che hanno avuto le elezioni nel Giugno scorso rischiano di essere discriminate e di perdere importanti opportunità per la riqualificazione e la sicurezza delle periferie, perché le nuove Giunte, che si sono appena insediate, non hanno a disposizione i tempi tecnici necessari per partecipare con proposte qualificate al bando per il “Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia – G.U. Serie Generale n. 127 del 1/06/2016”.
Per questo il Coordinamento Periferie di Roma - dopo avere contattato tutte le Amministrazioni dei Comuni capoluogo di provincia e delle Città metropolitane - e l’Osservatorio Pubblica Amministrazione chiedono che vengano prolungati i termini di scadenza del bando e invitano i giornalisti e gli operatori della comunicazione alla conferenza stampa che si terrà
 
Mercoledì 27 luglio
alle ore 12.00
In Via Liberiana 17, Roma
(c/o Centri di Servizio per il volontariato del Lazio, accanto a Santa Maria Maggiore)
 
Il bando in questione scade il 30 Agosto e stanzia 500 milioni per interventi di riqualificazione urbana con diversi obiettivi, che vanno dal decoro urbano alla manutenzione e riuso di aree pubbliche e di strutture edilizie esistenti, alla sicurezza, ai servizi di welfare, alla mobilità sostenibile e all’adeguamento delle infrastrutture destinate al sociale e alla cultura.
Si tratta di interventi importanti, che sarebbero più incisivi se progettati con la partecipazione di tutte le aree territoriali e se i Comuni fossero nelle effettive condizioni di presentare progetti realmente innovativi ed idonei al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Tutto questo però è impossibile per le Amministrazioni che si sono insediate da poco tempo, tra cui la Capitale d’Italia e le principali Città metropolitane del Paese (Milano, Napoli, Torino, ma anche Bologna e Cagliari e Trieste).



 

Oggetto: Istanza di differimento dei termini del bando per la presentazione di progetti per la predisposizione del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia – G.U. Serie Generale n. 127 del 1/06/2016. Ripristino delle pari opportunità e garanzie di partecipazione per tutti i comuni destinatari del bando.  

 

Preg.mo Presidente Renzi,  

in rappresentanza di associazioni e cittadini impegnati da anni in azioni a tutela del territorio, per la crescita della qualità della vita e lo sviluppo dell’integrazione sociale nelle periferie urbane, ci rivolgiamo a Lei per porre alla Sua attenzione rilevanti profili di criticità del bando in oggetto, indetto per finanziare progetti volti alla riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia.  

Si tratta di profili, come vedrà, che determinano una sostanziale disparità di trattamento tra le diverse città interessate, tale da precludere - di fatto - a larga parte della popolazione delle periferie di beneficiare dei progetti finanziati con il presente bando.  

Come è noto, gli interventi di riqualificazione urbana finanziabili riguarderanno diverse tipologie di azione volte al miglioramento della qualità del decoro urbano; alla manutenzione, riuso e rifunzionalizzazione di aree pubbliche e di strutture edilizie esistenti, per finalità di interesse pubblico; all’accrescimento della sicurezza territoriale e della capacità di resilienza urbana; al potenziamento delle prestazioni e dei servizi di scala urbana, tra i quali lo sviluppo di pratiche del terzo settore e del servizio civile, per l’inclusione sociale e la realizzazione di nuovi modelli di welfare metropolitano e urbano; al miglioramento della mobilità sostenibile e l’adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali e culturali, educativi e didattici, nonché alle attività culturali ed educative promosse da soggetti pubblici e privati.  

Tale procedura di selezione, se realmente aperta alla massima partecipazione di tutte le aree territoriali, può rappresentare un’opportunità per il miglioramento della qualità di vita nei nostri comuni e per la riqualificazione delle aree urbane maggiormente degradate, in cui è più vivo l’allarme di un grave disagio sociale.  

A tale fine è molto importante, sia per i cittadini sia per le associazioni ed enti che da anni si occupano di tali aspetti, che il comune - di cui sono cittadini o dove svolgono la propria attività partecipi o comunque sia messo nelle effettive condizioni di poter partecipare con progetti realmente innovativi ed idonei al raggiungimento degli obiettivi prefissati, anche in considerazione del fatto che il bando espressamente prevede che i progetti presentati devono essere definitivi o esecutivi (art. 6 del bando).  

Il termine di presentazione delle domande è di 90 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ossia il 30 agosto 2016.  

Come è ben noto nelle città italiane con le maggiori aree periferiche, tra cui la Capitale d’Italia e le principali Città metropolitane del Paese (Milano, Napoli, Torino, ma anche Bologna e Cagliari e altre significative città quali Trieste), nei mesi di maggio e giugno dell’anno in corso si sono tenute le elezioni amministrative. 

Le nuove amministrazioni sono state elette, a seguito di ballottaggio, solo il 15 giugno 2016 e si sono insediate a livello istituzionale solo nella prima decade di luglio, necessitando di ulteriori passaggi che attengono al concreto funzionamento dell’amministrazione (vedi elezioni Commissioni Consiliari e avvio rapporti con le Istituzioni territoriali di secondo livello come Municipi e/o Circoscrizioni). A ciò si aggiunga che il termine di partecipazione scade alla fine del mese di agosto, vale a dire alla conclusione del periodo feriale.  

Tali circostanze obiettive e non contestabili precludono di fatto una seria e fruttuosa partecipazione al bando per i comuni che hanno dovuto rinnovare la propria amministrazione. Tra di essi, come già accennato, vi sono le maggiori città italiane tra cui la stessa Capitale e, pertanto, proprio le realtà sociali più rilevanti a cui il bando è destinato e nelle quali è avvertito in modo crescente il disagio sociale ed in cui risulta maggiormente necessario operare in modo proficuo per il recupero delle periferie. 

E’ di tutta evidenza che l’impossibilità o la difficile partecipazione dei maggiori comuni si tradurrà in un conseguente ingiusto danno per i propri cittadini con violazione del principio ispiratore del bando volto a favorire la più ampia partecipazione.  

In tal modo si determinerà una rinnovata percezione di lontananza delle istituzioni dalla vita degli abitanti delle periferie più disagiate, di sperequazione e parzialità tra i comuni che hanno potuto preparare al meglio la partecipazione al bando e quelli nei quali si è insediata una amministrazione nuova rispetto alle precedenti, con conseguente inevitabile ritardo e/o in scelte non ponderate nella predisposizione di un serio progetto di riqualificazione delle periferie urbane.  

Quanto sopra premesso, Le rivolgiamo la presente istanza affinché vengano differiti, posticipati o comunque prorogati i termini per la presentazione delle proposte progettuali per il bando indicato in epigrafe.  

Siamo certi che Lei comprenderà questa nostra preoccupazione, dato che viviamo queste realtà territoriali quotidianamente, e vorrà garantire l’effettiva possibilità di partecipazione di tutti i comuni e, soprattutto, tutelare gli abitanti delle periferie delle maggiori città italiane anche dalle possibili giustificazioni di una eventuale inerzia.  

Una preoccupazione che intendiamo portare all’attenzione sia della nostra Amministrazione Capitolina, ma anche delle altre città metropolitane e dell’ANCI, che svolge il ruolo di rappresentanza Istituzionale dei Comuni del nostro Paese, nonché delle forze politiche del Parlamento affinché vengano ripristinate pari opportunità per tutti, in quanto crediamo che quanto denunciato con la presente, a maggior ragione ad elezioni già indette, sia frutto di una disattenzione da parte delle strutture burocratiche preposte.  

Cogliamo l’occasione di inviare i nostri distinti saluti  

Roma 20 luglio 2016  

 

Coordinamento Periferie Roma periferiediroma@tiscali.it

 

 

Pino Galeota                      Eugenio De Crescenzo       Renato Mastrosanti 3356790027                     3388311456                        3331214925

galeota.pino@libero.it          eudec50@gmail.com           renato.mastrosanti@gmail.com

 

 

 

 

                                    

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