IL PIANO DI MAGGIE
Regia di Rebecca Miller
Con Greta Gerwig, Ethan Hawke, Julianne Moore
La fiera dei
narcisismi
In
linea con certe commedie newyorkesi, ma senza averne lo stesso spessore
umoristico, “Il Piano di Maggie” presenta
la storia di Maggie (Greta Gerwig), una ragazza che, cresciuta sola con la
madre, vuole riproporre, in qualche misura, la sua esperienza cercando di fare
un figlio in provetta tutta da sola.
Vestita
come una preppy anni ’60 Maggie Hardin
non riesce proprio ad apparire sexy. Ciononostante John (Ethan Hawke) s’innamora
di lei, o meglio, di ciò che Maggie riesce a fare per lui: fungendosi sua
assidua lettrice e facendogli da sponda nella scrittura lo rende un bravo romanziere.
Peccato che John abbia già una moglie, Georgette (Julianne Moore un po’ âgé per la parte), e due figli. In particolare, sua moglie è
una donna di successo e in carriera: è Full
Professor alla Columbia, molto presa da sé, dal suo lavoro e dalla sua
immagine pubblica. In una New York più intuita che rappresentata, John e Maggie
fanno una figlia assieme e si sposeranno, ma il lanciatissimo neo-scrittore
sarà tanto preso dal suo lavoro da trascurare i tre figli, la seconda moglie e,
forse un po’ meno, la prima moglie. Quindi, in un gioco di chi fa da spalla a
chi, ognuno sfoga il proprio narcisismo su qualcun altro, mentre alla fine
Maggie, la più umile, la meno colta, la più dimessa, da semplice spalla finirà
a diventare la burattinaia che avrà in mano i tutti destini.
Film
è verboso nello stile Woody Allen, ricco di citazioni colte e sapientone (guardacaso
i suoi personaggi sono tutti professori!). Greta Gerwig è ormai destinata a
questa versione alleniana in gonnella, nell’eterno ruolo di una ragazza
slavata, un po’ goffa e passaguai. Il film però non possiede la verve di quelli di Noah Baumbach, il
regista e compagno della Gerwig, autore già di “Francis Ha” del 2012 e di “Mistress
America” del 2015, che hanno lanciato la Greta Gerwig in questo genere di personaggio
femminile.
Rebecca
Miller – figlia del grande Arthur – è alla sua quinta esperienza
cinematografica; sicuramente più portata per la scrittura, esplora una sorta di
“mumblecore”, un genere ancora poco
conosciuto nato in US all’inizio degli anni 2000, oggi nel pieno della sua
crescita e del suo sviluppo. Si tratta di un cinema indipendente, prodotto con
pochi soldi e affidato principalmente alla forza di dialoghi incessanti e
inarrestabili, ma anche alla capacità di improvvisare degli interpreti.
Ghisi Grütter
Nessun commento:
Posta un commento