Con
Sheila Vand, Arash Marandi, Marshall Manesh, Mozhan Marnò, Dominic Rains
Fotografia
di Lyle Vincent
Solitudini nella città
industriale
In
questi giorni si può finalmente vedere al cinema “A Girl Walks Home Alone At Night”, film di esordio di Ana
Lily Amirpour, presentato al Festival del Cinema di Roma del 2014 e uscito
nelle sale il 2015 ovunque eccetto che in Italia.
La
vicenda è ambientata a Bad City, una città surreale mediorientale che vive di
una dimensione industriale. Pompe di petrolio e centrali termiche costituiscono
l'habitat e il paesaggio territoriale. I suoi abitanti o sono ricchissimi e
vivono in palazzi sontuosi o poverissimi come i barboni homeless. In mezzo vivono i disadattati, i piccoli spacciatori, le prostitute,
i delinquenti, gli eroinomani che cercano tutti di ammazzare il disagio
esistenziale, la solitudine, la “diversità”. Sono solo sei i personaggi rappresentati
nel film inclusa la giovane Vampira, oltre a Masuk, un bellissimo e bravissimo
gatto-attore.
Il
film è inquietante per come mette a nudo la situazione sociale e urbana, ma contemporaneamente
è anche ottimista nel proporre soluzioni alternative che trovano la loro raison d’être nell’amore, nella dolcezza, nella solidarietà. “A Girl Walks Home Alone At Night” è
anche un film ironico sempre border line
con il paradosso come ad esempio la bizzarra scena dell’hamburger (probabilmente
molto poco cotto…) offerto a mezzanotte da Arash alla emaciata Vampira di
fronte alla Centrale termica.
Il
film in alcuni punti sembrerebbe girato cinquant’anni fa cuso del suggestivo bianco
e nero, presenta un tutto grigio di giorno e nitide ombre ben scandite dalla
luce artificiale nella prevalente visione notturna. La città ormai globalizzata,
vista come se fosse la prima volta dal protagonista impasticcato, assomiglia a
una qualsiasi suburbia. Gli interni sono
rappresentati come supporti: alle pareti sono appese le foto dei miti
americani, i mobili sono supporti di foto-ricordo, i pavimenti costituiscono la
base su cui si adagia Hossein il Tossico. Qua e là il montaggio ci propone il mimo travestito Rockabilly
come per sottolineare il dato surreale della storia.
L’auto
di Arash è una decapottabile degli anni Cinquanta e anche il suo modo di
vestire e atteggiarsi è tipico di chi aveva a modello Elvis Presley, o meglio,
James Dean (ricordate “Il Gigante”?).
La Vampira è una sorta di “giustiziera della notte” che reinterpreta il ruolo
del velo tradizionale usato solo nelle scorribande notturne. Tutto il film è una sorta
di fumetto di una super-eroe (“Bill Kill”?),
pochi e scarni sono i dialoghi, le scene sono staccate, le foto sono belle e
piuttosto statiche.
Tra
i personaggi c’è anche Shaydah la Principessa che aspetta di togliersi la
benda dal naso rifatto per andare a scatenarsi in discoteca e farsi di droghe
sintetiche. Intanto, al di là di una strada si apre una fossa comune che
accoglie i cadaveri, non esistendo a Bad City tombe che possano conservare il
nome di chi ha vissuto in quel non-luogo.
La musica è un elemento dominante nel
film: si alterna musica techno, punk, disco con rock mediorientale(White Lies, Kiosk, Free Electric Band, Dariush, Radio
Tehran, Bei Ru, Farah). Alla domanda di lui sul disco preferito lei risponde
“Hello” di Lionel Richie che è un pop-R&Bdegli ani Ottanta.
Ana Lily Amirpour, la trentaseienne sceneggiatrice
e regista di origini iraniane, è nata in Inghilterra e cresciuta in California,
dove ha girato con attori iraniani fuoriusciti,
questo film ambientato presumibilmente in Iran, che
rimpasta sensazioni cinematografiche riprese da molti registi come David Lynch,
Jim Jarmush e Quentin Tarantino con suggestioni tratte da Sergio Leone
(pensiamo alla fuga di Arash in auto con sottofondo morriconiano) costruendo in
tal modo una sorta di western-horror
a metà fra due culture.
Ghisi Grütter
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