6 luglio 2016

Recensione film: A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT regia di Ana Lily Amirpour


 

Con Sheila Vand, Arash Marandi, Marshall Manesh, Mozhan Marnò, Dominic Rains

Fotografia di Lyle Vincent

 

Solitudini nella città industriale

 



 

In questi giorni si può finalmente vedere al cinema “A Girl Walks Home Alone At Night”, film di esordio di Ana Lily Amirpour, presentato al Festival del Cinema di Roma del 2014 e uscito nelle sale il 2015 ovunque eccetto che in Italia.

La vicenda è ambientata a Bad City, una città surreale mediorientale che vive di una dimensione industriale. Pompe di petrolio e centrali termiche costituiscono l'habitat e il paesaggio territoriale. I suoi abitanti o sono ricchissimi e vivono in palazzi sontuosi o poverissimi come i barboni homeless. In mezzo vivono i disadattati, i piccoli spacciatori, le prostitute, i delinquenti, gli eroinomani che cercano tutti di ammazzare il disagio esistenziale, la solitudine, la “diversità”. Sono solo sei i personaggi rappresentati nel film inclusa la giovane Vampira, oltre a Masuk, un bellissimo e bravissimo gatto-attore.

Il film è inquietante per come mette a nudo la situazione sociale e urbana, ma contemporaneamente è anche ottimista nel proporre soluzioni alternative che trovano la loro raison d’être nell’amore, nella dolcezza, nella solidarietà. “A Girl Walks Home Alone At Nightè anche un film ironico sempre border line con il paradosso come ad esempio la bizzarra scena dell’hamburger (probabilmente molto poco cotto…) offerto a mezzanotte da Arash alla emaciata Vampira di fronte alla Centrale termica.

Il film in alcuni punti sembrerebbe girato cinquant’anni fa cuso del suggestivo bianco e nero, presenta un tutto grigio di giorno e nitide ombre ben scandite dalla luce artificiale nella prevalente visione notturna. La città ormai globalizzata, vista come se fosse la prima volta dal protagonista impasticcato, assomiglia a una qualsiasi suburbia. Gli interni sono rappresentati come supporti: alle pareti sono appese le foto dei miti americani, i mobili sono supporti di foto-ricordo, i pavimenti costituiscono la base su cui si adagia Hossein il Tossico. Qua e là il montaggio ci propone il mimo travestito Rockabilly come per sottolineare il dato surreale della storia.

L’auto di Arash è una decapottabile degli anni Cinquanta e anche il suo modo di vestire e atteggiarsi è tipico di chi aveva a modello Elvis Presley, o meglio, James Dean (ricordate “Il Gigante”?). La Vampira è una sorta di “giustiziera della notte” che reinterpreta il ruolo del velo tradizionale usato solo nelle scorribande notturne. Tutto il film è una sorta di fumetto di una super-eroe (“Bill Kill”?), pochi e scarni sono i dialoghi, le scene sono staccate, le foto sono belle e piuttosto statiche.

Tra i personaggi c’è anche Shaydah la Principessa che aspetta di togliersi la benda dal naso rifatto per andare a scatenarsi in discoteca e farsi di droghe sintetiche. Intanto, al di là di una strada si apre una fossa comune che accoglie i cadaveri, non esistendo a Bad City tombe che possano conservare il nome di chi ha vissuto in quel non-luogo.

La musica è un elemento dominante nel film: si alterna musica techno, punk, disco con rock mediorientale(White Lies, Kiosk, Free Electric Band, Dariush, Radio Tehran, Bei Ru, Farah). Alla domanda di lui sul disco preferito lei risponde “Hello” di Lionel Richie che è un pop-R&Bdegli ani Ottanta.

Ana Lily Amirpour, la trentaseienne sceneggiatrice e regista di origini iraniane, è nata in Inghilterra e cresciuta in California, dove ha girato con attori iraniani fuoriusciti, questo film ambientato presumibilmente in Iran, che rimpasta sensazioni cinematografiche riprese da molti registi come David Lynch, Jim Jarmush e Quentin Tarantino con suggestioni tratte da Sergio Leone (pensiamo alla fuga di Arash in auto con sottofondo morriconiano) costruendo in tal modo una sorta di western-horror a metà fra due culture.

 

 

 

Ghisi Grütter

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