Riceviamo dal coordinatore di Articolo 1 del II Municipio e volentieri pubblichiamo
Premessa
Il documento parte da un appunto iniziale riportato nel Coordinamento come tentativo di analizzare il momento politico di LeU post voto. Ci ha messo mano un compagno della CGIL , a cui sono sempre grato, che lo ha sistematizzato ed integrato con le osservazioni che di volta in volta gli sono pervenute. E' chiaro che non essendo stato distribuito a tutti ha delle evidenti "falle".E' solo una base di partenza, di discussione per l'incontro di oggi pomeriggio. Diversamente si sarebbe rischiato di andare a quest'incontro a mani vuote. Sono evidenti anche nell'organizzazione di stasera e del 12 lacune organizzative impressionanti (la convocazione del 12 non è neanche firmata da uno straccio di dirigente).Per ultimo, giusto per segnalarvi la volontà di alcuni membri del coordinamento a costruire piuttosto che a "tafazzarsi", comportamento che sembra evidente da parte di alcuni nostri dirigenti che abbiamo mandato al Parlamento, il documento in questione non è stato votato .Quindi non è da ritenersi definitivo ma aperto ai contributi alle integrazioni e a tutto quello che volete voi . Ha la sola pretesa di essere da stimolo per la discussione .
Vi invito quindi a non mancare stasera.
Mimmo Fischetto
(per proseguire e
rilanciare l’esperienza di LeU)
STESURA
DEL 4 MAGGIO 2018
Il 4 marzo è giunta definitivamente a conclusione una lunga fase dell’ esperienza politica della sinistra italiana basata sulla tesi della sostanziale ineluttabilità dei principi economici e sociali dettati negli ultimi trenta anni dalla progressiva finanziarizzazione delle economie delle società moderne.
Con gli esiti delle recenti elezioni politiche e
regionali, infatti, sono giunte ad esaurimento tesi e analisi degli anni ’90,
le valutazioni sulle dinamiche di ingesso/gestione nell’euro e costruzione dell’Europa, il modello di articolazione della
rappresentanza politica dell’area di centro-sinistra teorizzato nel Congresso
del Lingotto del 2008 e le relative proposte politiche, economiche e sociali
con cui quel congresso provò a rispondere ai problemi emergenti tra i ceti
popolari e produttivi.
I
cambiamenti straordinari degli ultimi trenta anni in tema di nuovi rapporti tra lavoro e capitale, delle
nuove forme di accumulazione del capitale e distribuzione della ricchezza
prodotta, delle nuove relazioni tra rapporti di produzione e rapporti di
consumo, furono considerati, in quel congresso, coerenti con l'idea di
società liquida e la tesi dei “vincoli esterni”, sottovalutando, che attraverso
la progressiva digitalizzazione della società,
sarebbero cambiati in modo radicale i sistemi di relazione sociale,
produttivi, relazionali e di consumo.
Per questo riteniamo
insufficienti e auto assolutorie le analisi basate sulla sola stagione
“renziana” per spiegare il declinante ritiro della sinistra dalla società
reale in corso da circa trenta
anni, la sua crescente marginalizzazione teorica ed
elaborativa, la progressiva subalternità culturale a tematiche e pulsioni
proprie della destra economica prima ancora che politica.
A partire, ad esempio,
dalla progressiva disarticolazione del diritto del lavoro, dai silenzi sulle
riforme dell’irpef in corso da trenta anni che hanno determinato un gigantesco processo di ridistribuzione della
ricchezza dal basso verso l’alto, dallo straordinario drenaggio di risorse da
welfare e istruzione verso gli incentivi alle imprese, il progressivo
impoverimento e indebitamento del pubblico teso a favorire i processi di
privatizzazione dei servizi pubblici e delle proprietà immobiliari pubbliche,
il crescente spostamento dei costi della sanità sulla spesa privata dei
cittadini, la familiarizzazione dell'assistenza alla non-autosufficienza, la
gestione della accoglienza.
Processi tipici della destra
economica su cui la sx non ha mai prodotto una critica reale.
Il
fallimento del PD e dell’esperienza del Csx, che ha in Renzi e nel renzismo il suo figlio legittimo e la sua conclusione
politica più logica, deriva principalmente da questa lunga incapacità, del
PD e del Csx, di produrre una analisi critica della società contemporanea e di
conseguenza di non aver proposto nulla di realmente alternativo in tema di
lavoro, genere, economia, fisco, finanza, giustizia sociale, diritti sociali e anzi in alcuni casi addirittura
peggiorando quanto in essere, si pensi come esempio non esaustivo l’abolizione
dell’art.18.
Il
rischio concreto è che LeU si avvii verso una medesima dinamica, magari più
radicale ma altrettanto povera di contenuti e
fattor ancor più grave il pericolo di un processo che non parta dalla base ma
che venga calato dall’alto. I primi chiari segnali di questo rischio si
sono riscontrati nella costruzione della leadership, nella composizione delle
liste e nella campagna elettorale.
A partire dall’inutile e fallimentare attesa di Pisapia e
di un fantomatico “Campo Progressista” scioltosi
come neve al sole, alla “investitura” di Grasso attraverso una
assemblea-teatro, al ritardo con cui la lista di Liberi e Uguali si è
presentata agli elettori senza precisi segnali di discontinuità con
l'esperienza del Csx apparendo come una poco convincente variante ad un sistema
politico ormai da superare nella coscienza collettiva del Paese, alla mancanza di un programma davvero innovativo, di
sinistra, che avesse come punti forti la riduzione della forbice sociale con
proposte forti ed impattanti sull’elettorato.
Nella composizione delle liste si è poi scelta, a tutela
dei gruppi parlamentari uscenti, una centralizzazione burocratica che per gli
esiti finali ha generato sconcerto e delusione e che in molti casi, ha prodotto
scelte verticistiche incomprensibili e non condivisibili come l’abuso delle
pluricandidature, la più bassa rappresentanza parlamentare di genere e la
totale assenza di ricambio generazionale.
Ne
si è cercato/trovato lo spazio per alcun percorso di partecipazione
sostanziale, neanche per un coordinamento collegiale di militanti che potessero
progettare ed organizzare attraverso candidature locali una campagna di
rapporto sistematico con i territori che almeno avrebbe concorso a riattivare
una rete di militanza dispersa. A partire dall’incapacità politica di raccordo con le
donne e con i loro movimenti, ponendo ai margini il protagonismo delle donne, la loro
soggettività politica e sociale, il diritto di valutare la rappresentanza di
genere.
Abbiamo parlato troppo del mondo che sta finendo, poco del mondo
che verrà, per niente di come vorremmo che fosse; una scelta frutto di un
evidente calcolo elettorale che puntava principalmente al recupero di consenso
in uscita dal PD, analisi rivelatasi totalmente
infondata: i voti usciti dal Partito Democratico sono confluiti nel M5s ed in
buona parte e soprattutto al nord, alla Lega.
In buona sostanza ci siamo
presentati come fossimo nati per svolgere una funzione suppletiva nei confronti di un Pd in perdita di consensi e con l’aggravante di essere privi di un
rinnovamento generazionale.
Ad
oggi non è possibile tracciare alcuna valutazione che sia oggettivamente
divergente dall’ipotesi di un progetto politico, ridotto, in circa 6 mesi, a
mera piattaforma logistica elettorale.
L’alibi
dei tempi stretti è appunto solo un alibi soprattutto se quelle tendenze
politiche di fondo rimangono e anzi si rafforzano.
Ripiegarsi,
infatti oggi, nelle dinamiche postelettorali dell’attesa degli sviluppi in seno
al PD e quindi della riarticolazione della rappresentanza politica
istituzionale a sinistra, ci rende subalterni a quelle dinamiche e riduce la
nostra capacità di iniziativa. Inoltre se si concretizzasse a nostro favore il
passaggio di alcuni parlamentari PD in LeU, ciò darebbe un profilo ancor più basso al partito come un assembramento di pezzi di
risulta delle dinamiche elettorali del PD, così come paiono di basso
profilo politico strategico e in perfetta continuità con l’esperienza politica
del PD, i frettolosi ammiccamenti alla
partecipazione a governi tecnici, istituzionali o di responsabilità.
In
questo schema nazionale, la lettura della pur positiva esperienza delle
elezioni regionali del Lazio ci consegna un quadro di breve medio termine
altrettanto preoccupante sia
relativamente alla gestione politica di LeU che alla solidità di medio periodo
della maggioranza.
La
tenuta della giunta appare, infatti, legata ad un equilibrio generale del
consiglio regionale estremamente instabile che rischia di essere un
condizionamento insostenibile dell’azione politica e programmatica del
centrosinistra.
Inoltre
per LeU vanno analizzati con attenzione
i punti di difficoltà sia in relazione al risultato, che in relazione
all’insediamento territoriale, che in relazione alla gestione della vicenda
dell’assessore e alla futura gestione politica dell’assessorato. Punti su cui
sarà necessario un approfondimento da condurre insieme a Daniele Ognibene e
Claudio Di Berardino.
In
questa cornice perfino la vittoria nella
Regione Lazio appare più come l’ultimo
baluardo di un mondo che non c’è più che come il possibile punto da cui
ripartire per tornare a vincere. Non sfuggirà, infatti, che quella vittoria,
per giunta dimezzata dalla mancanza di una maggioranza in consiglio regionale,
è dovuta a una congiuntura particolarmente favorevole (candidato presidente
molto stimato, divisione nel centro destra) che difficilmente si potrà ripetere
in caso di nuove elezioni a breve.
Un quadro di insieme a livello nazionale e
territoriale che fornisce più elementi di preoccupazione che di ottimismo sia
per LeU che per la sinistra in generale anche alla
luce dei pesanti risultati delle elezioni regionali in Molise ed in Friuli
Venezia Giulia, due regioni passate alla destra.
Eppure se guardiamo al contesto europeo, vediamo
che la sinistra pur essendo raramente forza di governo non è tutta in crisi. In
Gran Bretagna, Francia, Spagna, Portogallo e non solo, la sinistra ha
saputo/provato a reinventarsi nelle forme e nei contenuti più diversi, spesso
addirittura tra loro incoerenti, ma ha tentato di ridefinire la linea politica
e reinsediarsi socialmente e comunque ha saputo tornare competitiva con una
critica alla crisi delle politiche liberiste e dei loro interpreti.
E' pur vero che con la sola eccezione della Gran
Bretagna non si trovano in queste esperienze analisi e soluzioni innovative del
tempo contemporaneo e dei relativi processi produttivi, sociali e finanziari.
Purtuttavia è percepibile la volontà di uscire dall'angolo in cui la storia
sembra aver messo la sinistra.
In Italia, per avviare questa fase, bisogna
innanzitutto avere il coraggio politico e programmatico di rimettere in
discussione il reticolo del sistema delle rendite individuali e collettive sia
politiche che economiche che domina e strangola il Paese e soprattutto bisogna essere pronti a schierarsi al fianco di chi subisce quelle
rendite.
Altrimenti è inutile parlare di popolo, periferie, lavoro.
LeU è stata una esperienza sin qui
deludente, anche perché la sensazione è che una parte del gruppo
dirigente nazionale ci sia arrivata più
per contrarietà e necessità che per convinzione, ma la realtà è che non abbiamo alternative a ripartire proprio
da LeU e da un suo necessario allargamento (testimonianza
della reale potenzialità elettorale è data da quel 1.100.000 voti di persone
che hanno creduto a scatola chiusa all’idea di un progetto politico nuovo e di
sinistra) e paiono veramente velleitarie
e subalterne politicamente ipotesi di ulteriori nuovi partiti ancorati agli
schemi dei vecchi Democratici di Sinistra che lasciammo esangui nel 2007
ancorati ad un misero 16% e in caduta verticale di consensi così come paiono
velleitarie e politiciste le preincoronazioni di leader di un nuovo
nebuloso e pluriarticolato Csx.
Abbiamo
la necessità di riavviare immediatamente
il percorso di costituzione di LeU in partito a partire dall’impegno
assunto alla vigilia del voto dai dirigenti delle tre diverse organizzazioni
politiche costituenti LeU:
“…….saremo
promotori, insieme ad altre ed altri, di un processo largo e partecipato, inclusivo ed innovativo, un percorso
democratico, mettendo insieme ciò che si è attivato ed organizzato. Più e meglio della somma di ciò che c’è.
Per farlo, per farlo bene, occorrono coraggio, umiltà ed unità………”
adottando
come tesi fondamentale del nuovo partito il
principio che:
“l'essenza
della Democrazia e' nella Partecipazione popolare alle decisioni della politica
e nel controllo sociale sulle istanze elettive e sulla gestione della cosa
pubblica.”
Avviando,
immediatamente, un processo largo e come si dice oggi “partecipativo”.
Strutturare LeU a Roma, nell’Area
metropolitana, nel Lazio, serve a costruire le condizioni oggettive per
concorrere a definire una serie di punti programmatici, (peraltro in parte già
delineati dal programma della lista), per avviare una fase, non breve, di
consultazione popolare, eleggendo un’assemblea
territoriale deliberante, democraticamente legittimata e votata dalle assemblee locali, che
divenga il nucleo centrale del nuovo Partito, evitando il rischio di
essere, invece e di nuovo, privi di senso e privi di contenuti condivisi con la
società marginale alla politica; intendendo con questo termine tutte quelle
persone che aspettano un cenno concreto dalla politica per offrire un
contributo alla Politica stessa, siano esse le elités culturali cittadine, i
ceti produttivi da recuperare alla politica come gli artigiani e il piccolo
commercio, così come gli strati popolari organizzati intorno al lavoro, al
volontariato, al civismo, al tempo libero.
Il
primo tema da affrontare per ridare piena dignità alla politica è come separare, nel partito, la funzione
amministrativa da quella politica, riportando il primato delle decisioni e
delle elaborazioni nell’ambito dell’organizzazione partito.
Trenta
anni di primato dell’amministrazione sulla politica hanno ridotto la politica
alla gestione della amministrazione rinchiudendendola nel perimetro delle “compatibilità” economiche, politiche e sociali,
consumando così la capacità elaborativa e di aggregazione sociale della
sinistra politica italiana.
Per questo è
necessario in questa fase di riuscire a coniugare operativamente Organizzazione, Elaborazione, Azione.
In
tema di Organizzazione e Comunicazione è necessario costituire
un gruppo di lavoro tematico che avvii la discussione sulla forma partito locale, sulla struttura
organizzativa, sulla costruzione di rapporti con il mondo produttivo, sul sistema delle relazioni con
l’associazionismo politico, culturale, civile; un luogo dove pensare un partito
capace di costruire rapporti strutturali
e organici con le sezioni territoriali e aziendali ma anche di costruire rapporti strutturali informali con
pezzi della società che non hanno interesse ad essere coinvolti organicamente
in un partito, magari attraverso un
sistema di “consulte” dell’artigianato e del piccolo commercio al dettaglio,
dei saperi, dei lavori non strutturati contrattualmente, delle professioni,
coinvolgendo anche parti della rappresentanza civile/sociale come ad esempio il
Coordinamento delle Periferie individuando
elaborando e proponendo soluzioni ai problemi gravi ed inderogabili delle
popolose periferie, abbandonate da una sinistra con una impostazione culturale
liberal e benpensante come ben testimoniano i nuovi insediamenti elettorali del
Pd e di LeU.
Una
organizzazione-Partito in grado di riflettere e ragionare su come tornare ad intrecciare i bisogni reali
delle persone con la proposta politica, su come modellarsi per rappresentare una società e un mondo del
lavoro (dipendente, autonomo, professionale) ormai entrambi frammentati e individualizzati ma che trovano poi
nell’autorganizzazione sui temi civici, sociali, assistenziali elementi di
contraddizione e resistenza attiva.
Per
farlo è necessario evitare inutili
rincorse al passato, perché la struttura, l’organizzazione e la
comunicazione di un Partito che opera in una società frammentata e
individualista non possono essere le
stesse di un Partito che operava in una società collettiva e coesa anche
perchè LeU non disporrà mai delle risorse economiche di cui disponevano quei
partiti.
Un
partito in cui tutte le posizioni di
responsabilità devono essere di carattere elettivo ed è compito degli
organi dirigenti selezionare i candidati alle elezioni evitando la deriva delle
autocandidature e con una partecipazione attiva della base.
Il partito a cui pensiamo, deve essere
un “partito strutturato”, un
soggetto politico dove il livello di
partecipazione dei propri iscritti alla costruzione delle decisioni è molto
elevato per consentire la formazione del processo
di mandato e il coinvolgimento politico dei cittadini in modo che a livello
decisionale vengano presi realmente in considerazione bisogni e necessità dei ceti popolari e medi.
Anche
in tema di Elaborazione è necessario
avviare gruppi di lavoro su Lavoro,
Welfare, Beni Comuni, Sanità, Servizi
Pubblici Locali e Istruzione/Ricerca; partendo dalla consapevolezza che “il
populismo” pur nell’ambito di soluzioni sbagliate segnala l’emergere di
problemi reali o percepiti come reali dalle persone e a cui va data una
risposta di sinistra.
Per
questo è necessario proporre un nuovo
punto di vista su questi temi, per contrastare la narrazione del reale di
cui “il populismo” e il sistema economico finanziario globale hanno bisogno per
vivere e affermarsi, basata su una società
strutturata su legami deboli e individualizzata
articolata in un sistema comunicativo complesso che utilizza il linguaggio come arma di riconversione di massa manipolando il significato delle parole
e delle consuetudini sociali.
Ad
esempio, nel campo dell’economia, crescita e sviluppo sono utilizzati come
sinonimi di progresso sociale pur essendone solo una precondizione.
Mentre
“il consumo” è progressivamente divenuto un’altra forma di lavoro e sfruttamento (anche minorile) che incessantemente dobbiamo svolgere a produttività crescente perché occorre riempire ogni attimo di tempo e ogni momento di vita di una
quantità sempre maggiore di attività economiche,
siano esse lavoro (la produttività da aumentare), consumo (che non deve fermarsi mai), produzione di
dati (dover essere sempre connessi), con una rincorsa
infinita alla eliminazione di quelli che per donne e uomini sarebbero i tempi di vita sociali legati alla loro compiuta
autorealizzazione (riposo, riflessione, pensiero, conoscere, amare,
socializzare).
Per
questo è necessario cambiare il paradigma
ideologico di riferimento della destra dominante da trenta anni, che alla
fine degli anni ’80 ha posto “l’impresa
e le sue esigenze al centro della società” piegando così ogni articolazione
della società stessa e dell’azione pubblica al servizio esclusivo degli
interessi imprenditoriali.
Questo
vincolo ideologico ci consegna dopo 30 anni un Paese più povero, più diseguale,
più precario, più individualista, arretrato tecnologicamente e socialmente,
privo di innovazione produttiva e sociale diffusa.
Dobbiamo
scardinare questo paradigma proponendone un altro su cui costruire l’alleanza
sociale con il Paese, dobbiamo adottare come nuovo paradigma della sinistra che “al centro della società ci sono le persone e i loro processi di
mobilita’ sociale, autorealizzazione ed emancipazione sociale”, proponendo
al territorio una visione della politica
come elemento di orientamento sui temi inesplorati e complessi del prossimo
futuro, come sui temi presenti connessi alla mercificazione del lavoro e alla
frantumazione dei diritti sociali.
Un
partito in grado di innescare una riflessione
collettiva sulla grande trasformazione digitale in corso nel Paese che
cambierà non solo le modalità del lavoro ma anche e soprattutto il sistema delle relazioni sociali e - in assenza di
efficaci politiche redistributive -
esaspererà i sistemi
di accumulazione del capitale e quindi di concentrazione delle ricchezze che tenderanno sempre più a impoverire individui, welfare e servizi
pubblici locali.
Una rivoluzione, quella digitale, che
proseguirà - in assenza di controllo politico - l’opera di disarticolazione dei soggetti collettivi e del concetto di
popolo e quindi dell’ interesse generale già in atto da trenta anni;
un’opera di disorientamento di massa che cambierà anche attraverso la
disarticolazione del linguaggio (popolo – cittadini – individui) il senso
collettivo dell’appartenenza sociale e politica, trasformando il popolo sempre
più verso la deriva della trasformazione in una moltitudine indistinta facilmente manipolabile.
In
questa chiave di lettura della contemporaneità digitale, i “dati” debbono
essere considerati come una sorta di materia prima, alla stregua del petrolio o
del carbone, materia prima che può venire lavorata ed acquistare valore, in un processo di “produzione immateriale”
che apre le porte ad una nuova forma di
“fabbrica capitalista”. Considerando i dati da questo punto di vista,
ritroviamo di nuovo attori che parevano spariti: capitalisti ed operai, ma
questo pone il tema di come si difende
un esercito industriale disseminato sul pianeta e tante volte nascosto, pone il
tema della difficoltà ad affrontare la lotta per i diritti degli operai quando
la fabbrica è “virtuale”.
Sul tema lavoro la sinistra, deve rielaborare una teoria cogliendo del
lavoro l’essenza contemporanea, rielaborando l’analisi su lavoro sociale e
lavoro necessario, assumendo il lavoro e
la partecipazione al progresso sociale della società come principale punto di
recupero della funzione sociale collettiva e individuale del lavoro stesso.
Una forza di sinistra deve assumere il lavoro come la sua principale battaglia
perché tutti devono partecipare
attraverso il lavoro all’attività di sviluppo socio-economico del Paese, per
questo la richiesta della riduzione dell’orario di lavoro sotto le 30 ore per
legge a parità di salario, ad una paga oraria
minima inderogabile. Non è una questione di equilibrio economico
complessivo, ne una questione meramente salariale, ma una questione che attiene
alla ricomposizione del valore sociale contemporaneo del lavoro, alla
partecipazione collettiva allo sviluppo socio-economico, alla dirompente
entrata in scena, non tanto della robotica, quanto della intelligenza
artificiale, alla rottura dei pilastri fondamentali del rapporto di lavoro
classico.
Non è un caso che proprio all’orario
di lavoro è dedicato, oggi, il nuovo attacco da parte del capitale finanziario;
le affermazioni del Ministro del Lavoro Poletti “….sulla necessità di retribuire le competenze anziché il tempo di lavoro….” tendono a cancellare la misura oggettiva del
lavoro e del salario data dal tempo di lavoro introducendo la piena
discrezionalità della valutazione delle competenze e quindi delle relative
retribuzioni, per poi intervenire, anche qui, con una manipolazione del
significato delle parole confondendo artificiosamente il significato tra
salario nominale (valore economico dello stipendio), salario reale (potere di
acquisto relativo nel tempo) e salario relativo (quantità del plusvalore
prodotto destinato al salario nominale). Il tentativo è di introdurre nuove e
ulteriori forme di individualizzazione e frammentazione del lavoro e
dissimulare la reale misura economica del lavoro nella discrezionalità
imprenditoriale; in questa dimensione del problema strategico è “richiamare” il
sindacato verso una azione di Ri-Socializzazione del lavoro e del lavoratore.
Sul welfare, e in particolare sul dibattito in corso sui redditi di
sostegno, c’è da chiarire che una
sinistra vera non potrà mai appoggiare queste politiche di workfare (reddito di
inclusione e/o reddito di cittadinanza). Il workfare è selettivo ed è una
politica per controllare ed istituzionalizzare la povertà, introducendo
elementi di sterilizzazione del conflitto sociale funzionali ad una
distribuzione strutturalmente ineguale della ricchezza prodotta e mantenendo
altrettanto strutturalmente un esercito di riserva del lavoro come
elemento permanente di contrasto ai
conflitti sociali provenienti del lavoro. Allo stesso tempo il reddito di
cittadinanza implica, per la continuità dell’erogazione, l’accettazione di un
lavoro qual sia e a qual sia salario, introducendo quindi, un ulteriore
elemento di segmentazione della forza lavoro e dell’abbassamento del valore
globale dei salari. Il vero reddito (salario) minimo è quello già pagato oggi dalle
imprese dopo trenta anni di corsa inarrestabile della massimizzazione del
profitto collegata alla pressoché totale appropriazione, da parte degli
imprenditori, degli incrementi di plusvalore realizzati attraverso la nuova
organizzazione globale della produzione, delle tecnologie, del mercato del
lavoro, dei diritti contrattuali. Il
welfare per sua natura deve essere universale, collettivo, sociale. Tutti danno
a secondo delle loro possibilità per garantire un livello di vita decente alla
collettività, e come è scritto nella Costituzione tutti hanno il diritto/dovere
di partecipare a questo processo. Le stesse “politiche attive del lavoro”
interpretate in modo liberista rappresentano solo una forma di ulteriore
liberazione di costi da parte delle imprese e di drenaggio di risorse dal
welfare.
Sempre in tema di elaborazione è poi
necessario strutturare nuove relazioni sociali per il Partito.
Così come ci appare evidente che
prima di andare “ad aprirsi” al territorio c’è bisogno di capire cosa dire al territorio stesso a partire da una definizione condivisa di Diritti Sociali e Beni
Comuni.
Ciò è necessario in
quanto, ad esempio, nella categoria Diritti
Sociali confluiscono più ipotesi di perimetri, per cui sarebbe opportuno
che nel tentativo di ricostruzione di una armatura di diritti sociali
adottassimo come perimetro la seguente definizione: ” i diritti sociali sono
quei diritti che trovano la loro giustificazione contemporaneamente nel
principio di solidarietà e nell’eguaglianza sostanziale”.
Vale a dire che si tratta di diritti a
prestazioni pubbliche (solidarietà) finalizzate ad evitare che una qualche
circostanza materiale o esistenziale (salute, indigenza, disoccupazione, ecc.)
impedisca il pieno sviluppo della persona umana e la sua partecipazione alla
vita sociale su un piede di libertà ed eguaglianza (eguaglianza sostanziale).
Questo è coerente, peraltro, con l’idea alquanto
diffusa che i diritti sociali siano
funzionali ad assicurare la libertà attraverso lo Stato (Bobbio).
Analogo lavoro andrebbe
fatto nei confronti dei Beni Comuni
magari partendo dalla definizione assunta dalla Commissione Rodotà: “I beni
comuni sono quei beni a consumo non rivale, ma esauribile, come i fiumi, i
laghi, l’aria, i lidi, i parchi naturali, le foreste, i beni ambientali, la
fauna selvatica, i beni culturali, etc. (compresi i diritti di immagine sui
medesimi beni), i quali, a prescindere dalla loro appartenenza pubblica o
privata, esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali e
al libero sviluppo delle persone e dei quali, perciò, la legge deve garantire
in ogni caso la fruizione collettiva, diretta e da parte di tutti, anche in
favore delle generazioni future”.
Poi dovremmo rivolgere una attenzione ai cambiamenti sociali ed
economici della Città e del territorio.
Negli ultimi 20 anni la
Città, le Persone, le Istituzioni, il Lavoro, i Bisogni sociali e individuali,
infatti, sono profondamente cambiati
e sarebbe estremamente interessante ragionare collettivamente su come, ad
esempio, la riorganizzazione della politica locale possa tornare ad
intrecciare bisogni, interessi, aspettative delle persone.
La composizione sociale di Roma e' molto cambiata dagli inizi degli anni
'90, a partire dal lavoro, che ha sempre rappresentato lo zoccolo duro della
nostra rappresentanza politica.
La
forte disoccupazione giovanile, la precarizzazione dei contratti e del reddito
degli anni duemila, la progressiva disarticolazione del lavoro
"protetto" e dei sistemi degli orari di lavoro e di vita, la crisi
economica in corso da dieci anni, la crisi di
interi settori come quelli del commercio e dell’edilizia, la crescita di
nuovi bisogni sociali, l'ampliarsi dell'area del disagio e della marginalità
sociale, hanno indotto una frammentazione
degli interessi nella parte di blocco sociale a noi più vicino, che ha
inciso sulla sua dimensione identitaria storica,
determinando così la rottura dello
schema consolidato della nostra rappresentanza politica che vedeva legati
in una logica sequenziale “identità - interessi - rappresentanza
politica".
I valori identitari che
oggi determinano l’aggregazione delle persone, sono più spostati sulla sfera individuale (la salute, la crescita dei figli,
la dimensione familiare, le tante solitudini, i problemi del proprio microterritorio
di residenza, ambiente, hobby, solidarietà, volontariato, associazionismo
civile), rispetto ad un passato in cui la centralità del valore identitario del
lavoro era fondante e quasi esclusiva.
Per questo andrebbero individuati i principi e gli strumenti di
una azione politica territoriale capace di “entrare” in queste dinamiche
fornendo risposte aggregative solidaristiche in relazione ai bisogni emergenti
anche in collaborazione con i Comitati di Quartiere soprattutto nelle
periferie.
Sarebbe estremamente interessante discutere di
come il Partito territoriale possa svolgere vecchie e nuove funzioni di cerniera tra politiche generali
e interventi locali; di come le sezioni possano rappresentare la
capacità del Partito di raccogliere ed
elaborare le proposte di utilizzo e impiego delle risorse pubbliche
economiche da offrire agli amministratori locali; di come si possano sviluppare
nuovi sistemi di partecipazione sociale
attiva e di formazione di nuovi
dirigenti politici locali.
E’ possibile costruire il
Partito politicamente e organizzativamente, ignorando o bypassando queste
riflessioni? E’ possibile riformare senza identità, senza un
sistema valoriale certo, comune, condiviso e costruito nella dialettica
democratica e nella condivisione delle soluzioni?
E’ poi evidente che LeU non può fermarsi unicamente a
crogiolarsi nel perimetro della elaborazione e della costruzione organizzativa,
l’instabilità politica a livello nazionale e regionale con il rischio a breve
di nuove elezioni ci impongono una immediata riflessione sull’Azione.
E’ necessario “stare” nel conflitto sociale sia esso di natura
locale, che municipale, che sindacale; vanno presidiati e alimentati i processi
di socializzazione dei conflitti evitando che il partito si pieghi però verso
radicalismi sterili e inutili o si adagi sull’idea di una sinistra minoritaria
e di mera testimonianza; è necessario rilanciare e diffondere i punti
qualificanti del nostro programma regionale; e’ necessario andare oggi, lontani
da scadenze elettorali nei luoghi di lavoro in cui le crisi aziendali
determinano disagi collettivi; davanti alle
scuole e le università, nei mercati, nelle piazze è necessario
denunciare anche con piccoli presidi le dinamiche di potere ed economiche delle
guerre in corso.
Cgil Cisl Uil lanceranno a
breve una vertenza Roma; LeU deve
essere nella vertenza come soggetto attivo e proponente entrando soprattutto
nel campo dei diritti sociali; così come nella vicenda Atac sottolineando che
nel percorso del concordato, ammesso che vada bene, tutti i soggetti coinvolti
pagheranno un prezzo, lavoratori, fornitori, utenti, Comune, Regione tutti meno
i dirigenti intermedi e apicali di Atac, un blocco consolidato di potere che
rimane stabile da più di venti anni senza che nessuno presenti mai il conto
delle responsabilità di scelte sbagliate e su cui LeU dovrebbe far luce.
Organizzazione, Elaborazione, Azione sono gli impegni a cui
chiamiamo tutte/i, perchè è necessario lavorare su LeU per il rilancio e
l’allargamento dell’esperienza fin qui condotta, con l’obiettivo di proporre un
nuovo punto di analisi e soluzioni adeguate evitando l’autoreferenzialità dei
gruppi dirigenti, la deriva politicista degli ultimi mesi e la subalternità ai
processi interni al PD.
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