Il manifesto affisso da Provita a Roma – e nei giorni scorsi ricomparso a Perugia e in altre città – è ulteriore prova di quanto la legge 194, che ha reso legale l’interruzione di gravidanza, sia ancora sotto attacco dalla sua entrata in vigore avvenuta il 22 maggio 1978. La norma, frutto di una battaglia politica di cui i Radicali furono il principale traino, pose fine alla piaga dell’aborto clandestino e fu una straordinaria conquista di civiltà, liberando le donne dalle mammane. Nonostante questo – o forse proprio per questo – è ancora nel mirino dei fondamentalisti cattolici. Dai più oltranzisti come Mario Adinolfi e Antonio Socci (autore di libri come Genocidio censurato. Aborto, un miliardo di vittime innocenti), passando per consulenti del ministero della Salute e membri del Comitato nazionale per la bioetica come Eugenia Roccella e Assuntina Morresi, che hanno scritto un libro contro l’aborto farmacologico.
Si fanno chiamare Prolife ma, a bene vedere, come nota la ginecologa Elisabetta Canitano in questa storia di copertina dedicata ai quarant’anni della 194, non sono affatto per la difesa della vita umana. Non sono affatto dalla parte della donna, anzi ne mettono a rischio la salute per difendere la sacralità dell’embrione (dunque per questi cattolici come per i più granitici positivisti l’identità umana sarebbe tale in base al solo genoma!). Per portare avanti la loro crociata i Provita hanno inventato la «sindrome del boia», al fine di colpevolizzare le donne, accusandole di assassinio. Non contenti, hanno rincarato la dose di fake news con la sindrome Abc (abortion-breast-cancer), affermando che ricorrere all’aborto aumenti il rischio di sviluppare cancro al seno (addirittura, a loro dire, di oltre il 150%).
Falsità totali che vanno contro ogni evidenza scientifica, sostenute per affermare la dottrina cristiana che schizofrenicamente vuole la donna vergine e madre, e che sin dalle origini demonizza il desiderio e annulla l’identità femminile. «La legge che legittima l’aborto è un atto di violenza» diceva papa Wojtyla, che i Prolife citano come Beato Karol. «Ogni bambino non nato, ma condannato ad essere abortito, ha il volto del Signore», ha detto papa Bergoglio, che qualcuno ancora si ostina a vedere come leader della sinistra.
«Il genoma dello zigote è il punto di partenza per la costruzione della biologia umana ma non è persona», scrive la neonatologa e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti (vedi il libro Contro la violenza sulle donne edito da Left). «Come ha affermato Massimo Fagioli – aggiunge – ritenere che lo zigote sia persona significa negare la trasformazione che avviene alla nascita con l’attivazione della corteccia cerebrale e l’emergere del pensiero che è specifico della realtà umana». Per questo numero dedicato alla 194 le abbiamo chiesto di tornare a spiegare in termini scientifici perché l’aborto non è un omicidio, convinti che la liberazione delle donne dall’oppressione sia un tema cardine nella costruzione di una nuova sinistra laica e progressista. Purtroppo la cronaca ci dice che per l’altissimo numero di obiettori la legge sull’interruzione di gravidanza è ancora inapplicata in molte regioni di Italia.
Storie drammatiche e scioccanti come quella di Valentina ci dicono che nel Bel paese si può essere costrette a partorire perdendo la vita. I dati Istat, che Left aveva anticipato già nel 2016, confermano che gli aborti in Italia sono in forte calo, da quando è stata messa in commercio come farmaco da banco la pillola dei cinque giorni dopo. Ma ancora mancano campagne istituzionali di informazione sulla contraccezione. Non basta dunque lottare per la piena applicazione della 194. Occorre portare avanti la battaglia culturale sostenendola anche con azioni concrete. Come propongono le attiviste di Non una di meno (che il 22 e il 26 maggio organizzano manifestazioni in difesa della 194) dobbiamo lottare per la contraccezione gratuita, perché gli obiettori lavorino fuori dalle strutture sanitarie pubbliche e dalle farmacie, perché la Ru486 sia somministrata dai consultori pubblici, senza ospedalizzazione e, soprattutto, perché si affronti nelle scuole in modo non superficiale e scevro da pregiudizi il tema della sessualità.
Si fanno chiamare Prolife ma, a bene vedere, come nota la ginecologa Elisabetta Canitano in questa storia di copertina dedicata ai quarant’anni della 194, non sono affatto per la difesa della vita umana. Non sono affatto dalla parte della donna, anzi ne mettono a rischio la salute per difendere la sacralità dell’embrione (dunque per questi cattolici come per i più granitici positivisti l’identità umana sarebbe tale in base al solo genoma!). Per portare avanti la loro crociata i Provita hanno inventato la «sindrome del boia», al fine di colpevolizzare le donne, accusandole di assassinio. Non contenti, hanno rincarato la dose di fake news con la sindrome Abc (abortion-breast-cancer), affermando che ricorrere all’aborto aumenti il rischio di sviluppare cancro al seno (addirittura, a loro dire, di oltre il 150%).
Falsità totali che vanno contro ogni evidenza scientifica, sostenute per affermare la dottrina cristiana che schizofrenicamente vuole la donna vergine e madre, e che sin dalle origini demonizza il desiderio e annulla l’identità femminile. «La legge che legittima l’aborto è un atto di violenza» diceva papa Wojtyla, che i Prolife citano come Beato Karol. «Ogni bambino non nato, ma condannato ad essere abortito, ha il volto del Signore», ha detto papa Bergoglio, che qualcuno ancora si ostina a vedere come leader della sinistra.
«Il genoma dello zigote è il punto di partenza per la costruzione della biologia umana ma non è persona», scrive la neonatologa e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti (vedi il libro Contro la violenza sulle donne edito da Left). «Come ha affermato Massimo Fagioli – aggiunge – ritenere che lo zigote sia persona significa negare la trasformazione che avviene alla nascita con l’attivazione della corteccia cerebrale e l’emergere del pensiero che è specifico della realtà umana». Per questo numero dedicato alla 194 le abbiamo chiesto di tornare a spiegare in termini scientifici perché l’aborto non è un omicidio, convinti che la liberazione delle donne dall’oppressione sia un tema cardine nella costruzione di una nuova sinistra laica e progressista. Purtroppo la cronaca ci dice che per l’altissimo numero di obiettori la legge sull’interruzione di gravidanza è ancora inapplicata in molte regioni di Italia.
Storie drammatiche e scioccanti come quella di Valentina ci dicono che nel Bel paese si può essere costrette a partorire perdendo la vita. I dati Istat, che Left aveva anticipato già nel 2016, confermano che gli aborti in Italia sono in forte calo, da quando è stata messa in commercio come farmaco da banco la pillola dei cinque giorni dopo. Ma ancora mancano campagne istituzionali di informazione sulla contraccezione. Non basta dunque lottare per la piena applicazione della 194. Occorre portare avanti la battaglia culturale sostenendola anche con azioni concrete. Come propongono le attiviste di Non una di meno (che il 22 e il 26 maggio organizzano manifestazioni in difesa della 194) dobbiamo lottare per la contraccezione gratuita, perché gli obiettori lavorino fuori dalle strutture sanitarie pubbliche e dalle farmacie, perché la Ru486 sia somministrata dai consultori pubblici, senza ospedalizzazione e, soprattutto, perché si affronti nelle scuole in modo non superficiale e scevro da pregiudizi il tema della sessualità.
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