Nonostante
in “Hotel Gagarin” ci siano molti attori da commedia
italiana, il film non lo è. Ha un gusto poco italiano, forse un po’ francese.
Infatti, gli elementi del sogno e della fiaba appartengono poco al nostro
cinema, sempre più neorealista e che recentemente si occupa prevalentemente di
periferie e di storie di violenza.
Anche
qui, comunque, l’ambiente romano è descritto come un milieu squallido in una realtà ostile: Nicola Speranza (Giuseppe Battiston),
professore di storia al ginnasio, ha la passione del cinema che viene presa in
giro dai suoi alunni, Sergio (Luca Argentero) è un fotografo assalito dagli spacciatori
cui deve molti soldi per aver consumato troppe canne, Elio Beato (Claudio Amendola)
è un handyman che conduce una vita
mediocre senza particolari soddisfazioni e Anna (Silvia D’Amico) fa il triste mestiere
di prostituta. Valeria (Barbora Bulova) a sua volta, è una faccendiera russa che
organizza eventi (e truffe), ma non riesce più a spillare molti soldi ai suoi
clienti.
La
vicenda, nata come un imbroglio per utilizzare i fondi europei, vede al centro
un film da girare nell’Europa orientale dove, peraltro, tutto costa meno. Franco
Paradiso (Tommaso Ragno), un improvvisato produttore truffaldino
dell’inesistente Tindaro film, riesce a spedire cinque sfigati in Armenia a
girare un film che non si farà mai perché lui stesso ne incasserà il
finanziamento prima di scomparire e scappare con i soldi. La trama del film
scritto da Nicola, parla di una ragazza che a cavallo va alla ricerca delle proprie
matrici (armene), ma più di questo non si saprà. Nessuno si è letto il copione.
Con un van guidato da Kira (Caterina
Shulha), una punk incinta piena di piercing che fuma sempre, i cinque
protagonisti (la troupe) raggiungono
la loro destinazione.
Alloggiati
nell’isolato Hotel Gagarin - un edificio della fine-Ottocento o primo-Novecento,
su un lago ghiacciato, circondato da boschi e spianate di neve che evoca, pur
nella differenza, il “Grand Budapest
Hotel” di Wes Anderson del 2014 ma anche “Shining” di Stanley Kubrick del 1980 - i nostri eroi si troveranno
invischiati in un conflitto bellico che non permette loro più né di partire né
di lasciare l’albergo. Le riprese non inizieranno mai, ma gli abitanti del
villaggio più vicino sono attratti dalla notizia dell’allestimento di un set.
Arrivano quindi in tanti, ognuno con un proprio sogno per farlo realizzare
dalla troupe confinata nell’Hotel.
Così, passando dal registro della commedia a quello della fiaba surreale, il
film mostra i cinque personaggi che si metteranno al lavoro per esaudire i
desideri di ognuno e dare un senso al loro essere lì: ciò costituirà
un’inattesa revanche creativa. «Se
vuoi essere felice, comincia!» dice Lev Tolstoi, citato da Nicola.
Nascono
e si sviluppano in questa situazione di semi-prigionia, un paio di relazioni
amorose e si consolidano e amicizie e affetti. Ci sarà posto pure per Virgil,
l’angelo che gioca a scacchi, per un’apparizione di Philippe Leroy.
Il
film è garbato e ironico, poetico e surreale, trasmette momenti di tenerezza
pur confezionando le caricature dei personaggi, scelti e addobbati con
attenzione.
Il
giovane regista Simone Spada, che ha scritto la sceneggiatura con Lorenzo Rossi
Espagnet, aveva già lavorato come aiuto-regista con registi Gabriele Mainetti
(“Lo chiamavano Jeeg Robot”), Claudio
Caligari (“Non essere cattivo”) e
Gennaro Nunziante (“Che bella giornata”).
Due
cose mi sono piaciute molto nel film. I quadri surrealisti, presentati con
delicatezza nei titoli di coda, dove sono mostrate le realizzazioni dei sogni
dei contadini armeni: i due cow-boys a
duello, il bambino cavaliere, la ginnasta olimpionica, l’uomo finalmente a New
York, quello che impersona Humprey Bogart, quello che impersona l’astronauta
Yuri Gagarin e il calciatore con la maglia n. 10 (esplicito omaggio a Totti!)…L’altra
cosa che mi ha colpito è lo sguardo maturo del regista esordiente rispetto al
paesaggio, al territorio e a Erevan, una città così diversa dalle nostre per
dimensioni degli spazi, epoche storiche e clima. Attraverso la telecamera di Spada
(e della fotografia attenta di Maurizio Calvesi, piena di riverberi e
sfumature) le architetture – perfino quelle sovietiche di industrializzazione
pesante – presentano tutte un certo fascino.
Ghisi
Grütter
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