Con Bülent Üstün, Turchia-USA del 2016. Fotografia di Alp Korfali e Charlie Wuppermann. Montaggio Mo Stoebe, musiche di Kira Fontana.
La
regista Ceyda Torun, che ha lasciato Istanbul a undici anni, evidenzia la
presenza di questi felini nella sua città. Qui i gatti sono molto rispettati
perché si dice che Maometto fu salvato dal morso di un serpente proprio grazie
a un gatto. Sono centinaia di migliaia che vivono liberi e felici nella
metropoli, interagendo con gli umani da partner
paritari.
Istanbul
è stato sempre un porto di estrema importanza nella storia e le navi, che
venivano da tutte le parti del mondo, usavano imbarcare gatti a bordo perché
cacciassero i topi. Così nei secoli sono arrivati a Istanbul vari tipi di
gatti, dai pelosissimi norvegesi ai soriani, dai certosini ai ginger-cat e così via. I gatti di questa
città sono poi saliti alla ribalta quando il presidente degli Stati Uniti
Barack Obama, nel viaggio in Turchia del 2009, fece visita a Santa Sofia e vide
un bel micione tigrato - il famoso gatto Gli – camminare indisturbatamente tra
navate e gallerie millenarie sotto gli occhi del premier turco Erdogan. Sembrerebbe che nel solo monumento bizantino
viva una colonia felina di una ventina di esemplari. Da quel momento ci si è
accorti che i gatti in città sono dappertutto, anche del Gran Bazar, diventando
una sorta di simbolo della città per tutti gli stranieri. Perfino gli
organizzatori dei campionati mondiali di basket nel 2010, hanno scelto come mascotte l’immagine di un gattone
chiamato Bascat. Così afferma Ceyda Torun: «I gatti sono integrali all’identità di
Istanbul tanto quanto i suoi monumenti, il Bosforo, il tè, i ristoranti di pesce
e raki».
Kedi
(in turco vuol dire “documentario”) non è un film sui gatti domestici che si
possono vedere nel proprio cortile, ma un documentario sulle centinaia di
migliaia di gatti che vagano liberamente nella metropoli da migliaia di anni
che vanno e vengono nelle vite degli uomini tra il selvaggio e l’addomesticato.
I gatti e i loro cuccioli sono portatori di felicità e forniscono un’occasione
di riflessione agli uomini sulla propria vita, quasi fossero un loro specchio. Così
dichiara la regista: «Spero che questo film faccia sentire lo spettatore come se gli si
fosse posato un gatto sulle ginocchia inaspettatamente, facendo le fusa,
costringendolo – perché impossibilitato a muoversi senza lasciar andare quella
morbidezza – a pensare alle cose a cui non ha il tempo di pensare normalmente».
La
presenza del gatto, inoltre è terapeutica, il prendersi cura di queste
bestioline in strada fa ritrovare la gioia in molte persone che narrano la
fuoriuscita da una depressione grazie alla gioia di vivere e all’edonismo dei
gatti. Alcuni recenti studi hanno perfino riscontrato che le vibrazioni delle
fusa hanno un potere rilassante.
Attraverso
la storia di sette gatti, la regista mostra una Istanbul
estremamente affascinante. Dopo due mesi di riprese con “macchine
fotografiche per gatti” e droni, in modo da avere sia scene in soggettiva sia
viste panoramiche sui tetti, visitiamo strade e vicoli con guide d’eccezione. Le
immagini alternano una vista dall’alto a un percorso in mare su traghetto, ad
alcuni scorci delle suggestive stradine su per la salita. Ognuno dei
gatti presi in considerazione da Ceyda Torun, abita una zona urbana diversa e
ha un carattere particolare, differente dagli altri. Nel giardino del quartiere
Nisantasi, nel distretto di Sisli, ci sono perfino una serie di cassette che
servono da alloggio per gli amici a quattro zampe.
Ogni
abitante di Istanbul può raccontarvi una storia di gatti, di cui alcuni sono più
paurosi, altri più socievoli, altri ancora più “spirituali”. Le vicende narrate
nel film parlano di Sari, la soriana bianca e rossa che ha partorito da poco, che
aspetta ore davanti a un negozio fissando i clienti, per ottenere cibo che poi
porta ai suoi cuccioli. Mentre Bengü ha un buon carattere e fa le fusa a tutti gli
operai della zona industriale, Aslan Pasçasi, soprannominato “Little Lion” per
la sua criniera, vive tra i locali di ristorazione sulle rive del Bosforo dove
svolge il compito di cacciatore di topi e, in cambio, mangia dell’ottimo pesce
fresco. Psikopat invece è la gatta matta del quartiere, vive in una delle zone
più antiche, è gelosissima e possessiva nei confronti del suo compagno,
entrambi bianchi e neri. Deniz ama molto giocare ed è la mascotte del mercato biologico, mentre Gamsiz si arrampica sugli
alberi e da lì attraverso i balconi entra nelle case di Citangir, il quartiere
degli artisti situato tra Piazza Taksim e Kabatas, caratterizzato da
molte stradine, affollate da diversi piccoli caffè. Duman è il gattone
grigio educatissimo che aspetta fuori al negozio delicatessen la sua porzione di tacchino affumicato e formaggio
leggero (per non ingrassare…) in una zona elegante di Istanbul.
“Kedi la città dei gatti” da un lato
celebra il mistero, dall’altra mette in evidenza le analogie di questi animali
con gli umani. Nel film trovano spazio voci di persone semplici che raccontano
le storie dei vari gatti, di quanto cambino quando diventano genitori, e
custodiscono grandi verità come: «Se sei capace di apprezzare la compagnia di un
gatto, di un fiore o di un uccellino, allora il mondo è tuo». Se noi ci
prendiamo cura di loro, loro lo faranno di noi, insegnandoci ad apprezzare i
valori della libertà. Il film è piuttosto godibile, da suggerire anche a
coloro che non hanno una particolare predilezione per i gatti.
Ghisi
Grütter
Nessun commento:
Posta un commento