Con Pierre Niney, Paula Beer, Marie Gruber, Johann von Bülow, Ernst Stötzner, Cyrielle Clire, del 2016. Direttore della fotografia Paul Marty.
Egocentristi sulle macerie della guerra
Frantz è un bel film, apparentemente
delicato, che tratta temi importanti come l’amore, la guerra e la morte. Ma
parla anche di bugie, di tradimenti, di sensi di colpa e di egocentrismi.
Siamo
in Sassonia a Quedlinburg, una cittadina di circa 20.000 abitanti nel 1919, alla
fine della Prima Guerra Mondiale. Gli uomini e le donne piangono i propri
giovani morti al fronte e soffrono per la guerra persa. La famiglia del dott. Hoffmeister
è ancora in lutto per Frantz, il figlio ventiquattrenne morto in battaglia. Il
padre, la madre e la fidanzata Anna (la bellissima e brava Paula Beer) non
escono più da casa se non per andare a portare i fiori al cimitero sulla tomba,
in qualche modo, “simbolica” perché il corpo di Frantz non è mai stato
ritrovato.
Un
certo giorno arriva lì Adrien (un intenso Pierre Niney), un giovane francese anche
lui venuto a portare i fiori sulla tomba di Frantz.
Si
presenta agli Hoffmeister come amico di Franz e, dopo le prime reticenze
specialmente del vecchio padre patriota e antifrancese, conquista i membri
della famiglia raccontando varie storie del tempo passato con Frantz a Parigi
(lì infatti aveva studiato), dai quadri di Manet, ai caffè, alle visite al
Louvre e alle lezioni di violino. Su richiesta dei genitori, suonerà per loro
il violino di Frantz accompagnato da Anna al piano. Gli Hoffmeister trovano, in
tal modo, un momento di conforto del loro dolore sentendo i vari racconti e raffigurandosi
il figlio felice nel periodo antecedente alla guerra. In Anna nasce un nuovo
sentimento, questo giovane delicato, timido e sensibile, le ridà in qualche
modo il desiderio di ricominciare a vivere.
Adrien
però nasconde un segreto che la sera prima di ripartire rivela ad Anna: è lui
che ha ucciso Frantz, erano entrambi caduti in una trincea, uno di fronte
all’altro con i fucili in mano.
Ma
solo Adrien ha sparato. I sensi di colpa hanno distrutto la sua vita, così che
ha lasciato l’orchestra dell’Opera di Parigi (era il primo violinista) e non ha
trovato più pace. Era venuto in Germania per chiedere il perdono ai genitori di
Frantz poi però non aveva trovato il coraggio di confessare la verità. Buttando
fuori le sue angosce su Anna, lui in qualche modo si libera, ma le trasmette a
lei che si rinchiuderà di nuovo nell’infelicità senza il coraggio di rivelare
questo terribile segreto agli Hoffmeister e continuando così a mentire.
Dopo
qualche mese di bugie, di omissioni e di non-detti, sarà lei che troverà la
forza, stavolta, di andare a Parigi alla ricerca di Adrien che, nel frattempo,
ha cambiato indirizzo senza comunicarglielo. La coraggiosa Anna, dopo
persistenti indagini, riuscirà a rintracciarlo nel suo castello a Saulieu,
nella Côte-d’Or
in Borgogna. Troverà un giovane ricco, di buone maniere, viziato dalla madre e
coccolato dalla fidanzata – ebbene sì, ha una fidanzata! – e capirà che Adrien aveva
un unico interesse, diventato un’ossessione, quello di sentirsi perdonato dalla
famiglia di Frantz. In tal modo, con la sua aggraziata vigliaccheria, Adrien
ferisce per l’ennesima volta la dolce Anna che aveva intrapreso da sola il
lungo viaggio, soltanto per rivederlo e stare con lui.
Ah
questi uomini egocentrici, perfino quelli più umani e sensibili, che non vedono
e non si accorgono di null’altro che non sia il proprio problema!
Per
fortuna il finale fa sperare in un’emancipazione della protagonista. Ancora una
volta Anna troverà l’energia per restare da sola a Parigi e, tagliando
apparentemente i ponti con il passato, andrà a visitare il Louvre a cercare
quei quadri che Adrien aveva raccontato come i preferiti di Fritz, ma passo
dopo passo sarà lei a scegliersi i suoi quadri preferiti. «Questo
quadro mi dà voglia di vivere» dirà Anna a proposito di “Le suicidé” di Manet. Infatti, in tutto
il film, l’arte – in particolare la pittura e la musica - gioca un importante ruolo
consolatorio delle anime.
Ozon
ha girato il film in bianco e nero, solo nei sogni e nel finale trasforma
l’immagine in figura cromatica. Le prime inquadrature della cittadina tedesca
con i suoi vicoli e le sue donne mi hanno evocato le fotografie di Eugène Atget scattate a Parigi all’inizio del ‘900 con
l’intento di fornire a pittori e architetti le documentazioni di base di cui
avevano bisogno.
François
Ozon, inoltre, imprime al suo film un tocco omoerotico così come lui sa fare
(ricordate Una nuova amica del 2014?),
che rimarrà sempre come un velo ambiguo.
Frantz è un adattamento di una pièce del 1925 scritta da Maurice
Rostand già portata sullo schermo da Ernst Lubitsch in L’uomo che ho ucciso - Broken Lullaby nel 1932 con Lionel Barrymore
e Marie Gruber. Varie sono le citazioni del film muto, da svariate frasi – ad
esempio «se
sono stati i soldati francesi a uccidere i nostri figli nelle trincee, siamo
stati noi padri tedeschi a mandarli in guerra» afferma Hans Hoffmfmeister - al
tipo di recitazione di Pierre Niney e, probabilmente anche la stessa scelta del
bianco e nero. Gli attori sono molto bravi, infatti, Paula Beer ha ricevuto il
premio Mastroianni come attrice emergente a Venezia dove il film era in
concorso mentre Pierre Niney aveva già ottenuto il premio César per
l’interpretazione di Yves Saint Laurent
di Jalil Lespert del 2014.
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