9 ottobre 2016

Recensione film: FRANTZ regia di Francois Ozon





Con Pierre Niney, Paula Beer, Marie Gruber, Johann von Bülow, Ernst Stötzner, Cyrielle Clire, del 2016. Direttore della fotografia Paul Marty.



 




 

Egocentristi sulle macerie della guerra

 

Frantz è un bel film, apparentemente delicato, che tratta temi importanti come l’amore, la guerra e la morte. Ma parla anche di bugie, di tradimenti, di sensi di colpa e di egocentrismi.

Siamo in Sassonia a Quedlinburg, una cittadina di circa 20.000 abitanti nel 1919, alla fine della Prima Guerra Mondiale. Gli uomini e le donne piangono i propri giovani morti al fronte e soffrono per la guerra persa. La famiglia del dott. Hoffmeister è ancora in lutto per Frantz, il figlio ventiquattrenne morto in battaglia. Il padre, la madre e la fidanzata Anna (la bellissima e brava Paula Beer) non escono più da casa se non per andare a portare i fiori al cimitero sulla tomba, in qualche modo, “simbolica” perché il corpo di Frantz non è mai stato ritrovato.

Un certo giorno arriva lì Adrien (un intenso Pierre Niney), un giovane francese anche lui venuto a portare i fiori sulla tomba di Frantz.

Si presenta agli Hoffmeister come amico di Franz e, dopo le prime reticenze specialmente del vecchio padre patriota e antifrancese, conquista i membri della famiglia raccontando varie storie del tempo passato con Frantz a Parigi (lì infatti aveva studiato), dai quadri di Manet, ai caffè, alle visite al Louvre e alle lezioni di violino. Su richiesta dei genitori, suonerà per loro il violino di Frantz accompagnato da Anna al piano. Gli Hoffmeister trovano, in tal modo, un momento di conforto del loro dolore sentendo i vari racconti e raffigurandosi il figlio felice nel periodo antecedente alla guerra. In Anna nasce un nuovo sentimento, questo giovane delicato, timido e sensibile, le ridà in qualche modo il desiderio di ricominciare a vivere.

Adrien però nasconde un segreto che la sera prima di ripartire rivela ad Anna: è lui che ha ucciso Frantz, erano entrambi caduti in una trincea, uno di fronte all’altro con i fucili in mano.
Ma solo Adrien ha sparato. I sensi di colpa hanno distrutto la sua vita, così che ha lasciato l’orchestra dell’Opera di Parigi (era il primo violinista) e non ha trovato più pace. Era venuto in Germania per chiedere il perdono ai genitori di Frantz poi però non aveva trovato il coraggio di confessare la verità. Buttando fuori le sue angosce su Anna, lui in qualche modo si libera, ma le trasmette a lei che si rinchiuderà di nuovo nell’infelicità senza il coraggio di rivelare questo terribile segreto agli Hoffmeister e continuando così a mentire.

Dopo qualche mese di bugie, di omissioni e di non-detti, sarà lei che troverà la forza, stavolta, di andare a Parigi alla ricerca di Adrien che, nel frattempo, ha cambiato indirizzo senza comunicarglielo. La coraggiosa Anna, dopo persistenti indagini, riuscirà a rintracciarlo nel suo castello a Saulieu, nella Côte-d’Or in Borgogna. Troverà un giovane ricco, di buone maniere, viziato dalla madre e coccolato dalla fidanzata – ebbene sì, ha una fidanzata! – e capirà che Adrien aveva un unico interesse, diventato un’ossessione, quello di sentirsi perdonato dalla famiglia di Frantz. In tal modo, con la sua aggraziata vigliaccheria, Adrien ferisce per l’ennesima volta la dolce Anna che aveva intrapreso da sola il lungo viaggio, soltanto per rivederlo e stare con lui.

Ah questi uomini egocentrici, perfino quelli più umani e sensibili, che non vedono e non si accorgono di null’altro che non sia il proprio problema!

Per fortuna il finale fa sperare in un’emancipazione della protagonista. Ancora una volta Anna troverà l’energia per restare da sola a Parigi e, tagliando apparentemente i ponti con il passato, andrà a visitare il Louvre a cercare quei quadri che Adrien aveva raccontato come i preferiti di Fritz, ma passo dopo passo sarà lei a scegliersi i suoi quadri preferiti. «Questo quadro mi dà voglia di vivere» dirà Anna a proposito di “Le suicidé” di Manet. Infatti, in tutto il film, l’arte – in particolare la pittura e la musica - gioca un importante ruolo consolatorio delle anime.

Ozon ha girato il film in bianco e nero, solo nei sogni e nel finale trasforma l’immagine in figura cromatica. Le prime inquadrature della cittadina tedesca con i suoi vicoli e le sue donne mi hanno evocato le fotografie di Eugène Atget scattate a Parigi all’inizio del ‘900 con l’intento di fornire a pittori e architetti le documentazioni di base di cui avevano bisogno.

François Ozon, inoltre, imprime al suo film un tocco omoerotico così come lui sa fare (ricordate Una nuova amica del 2014?), che rimarrà sempre come un velo ambiguo.

Frantz è un adattamento di una pièce del 1925 scritta da Maurice Rostand già portata sullo schermo da Ernst Lubitsch in L’uomo che ho ucciso - Broken Lullaby nel 1932 con Lionel Barrymore e Marie Gruber. Varie sono le citazioni del film muto, da svariate frasi – ad esempio «se sono stati i soldati francesi a uccidere i nostri figli nelle trincee, siamo stati noi padri tedeschi a mandarli in guerra» afferma Hans Hoffmfmeister - al tipo di recitazione di Pierre Niney e, probabilmente anche la stessa scelta del bianco e nero. Gli attori sono molto bravi, infatti, Paula Beer ha ricevuto il premio Mastroianni come attrice emergente a Venezia dove il film era in concorso mentre Pierre Niney aveva già ottenuto il premio César per l’interpretazione di Yves Saint Laurent di Jalil Lespert del 2014.
 
 Ghisi Grütter

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